2 agosto 1944: la strage nazista di rom e sinti a Birkenau
Nella notte tra il 1 e il 2 agosto del 1944, gli ultimi 3.000 rom e sinti deportati nel campo di sterminio nazista di Birkenau vengono uccisi nelle camere a gas. Per commemorare questa tragica pagina di storia, Luca Bravi – docente presso il Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Firenze e autore di numerose pubblicazioni sul porrajmos – ha scritto l’articolo che segue per Associazione 21 luglio.
Piero Terracina ricorda perfettamente la notte in cui rom e sinti scomparvero da Birkenau: “Io non avevo ancora 16 anni ed arrivai a Birkenau; quello era un Vernichtunglager (campo di sterminio) dove non è che si poteva morire, si doveva morire. Erano tutti settori separati che si distinguevano per una lettera che era stata loro associata e dall’altro lato del nostro filo spinato c’era il settore che era conosciuto come lo Zigeunerlager ovvero il campo degli zingari[…]. In quel campo c’erano tantissimi bambini, molti di quei bambini certamente erano nati in quel recinto […]. La notte del 2 agosto 1944, ero rinchiuso ed era notte e la notte nel lager c’era il coprifuoco, però ho sentito tutto. In piena notte sentimmo urlare in tedesco e l’abbaiare dei cani, dettero l’ordine di aprire le baracche del campo degli zingari, da lì grida, pianti e qualche colpo di arma da fuoco. All’improvviso, dopo più di due ore, solo silenzio e dalle nostre finestre, poco dopo, il bagliore delle fiamme altissime del crematorio. La mattina, il primo pensiero fu quello di volgere lo sguardo verso lo Zigeunerlager che era completamente vuoto, c’era solo silenzio e le finestre delle baracche che sbattevano”.
Nella notte tra il 1 e il 2 agosto furono uccisi gli ultimi tremila rom e sinti dello Zigeunerlager di Birkenau poi, sul genocidio dei rom e dei sinti calò il silenzio. C’è una data fondamentale che ha permesso di tornare a raccontare: il 13 gennaio 1949, Tadeusz Joachimowski (matricola 3720), sopravvissuto polacco ad Auschwitz, ha indicato con sicurezza il luogo in cui, nell’estate del 1944, insieme ai compagni di prigionia Irenuesz Pietrzyk (matricola 1761) ed Eryk Porebski (matricola 5805), aveva sotterrato un secchio di latta con dentro il libromastro dello Zigeunerlager (campo degli zingari) di Birkenau, prima che quell’area del campo di sterminio fosse totalmente liquidata. Senza quest’azione coraggiosa, dei 23 mila rom e sinti deportati a Birkenau sotto la categoria zingari sarebbe rimasta soltanto la cenere e l’impossibilità di provarne la prigionia, oggi invece il libromastro è stato pubblicato ed è costituito da due volumi (uomini e donne) e riporta le matricole di quei prigionieri che sono tornati ad avere un nome ed una storia personale.
La vicenda dei nomi dello Zigeunerlager di Birkenau dimostra inoltre che la costruzione della memoria europea non è un fatto relegabile ad un’unica categoria di internati: le memorie si incrociano e si costruiscono a vicenda come fossero tessere di un mosaico da ricostruire interamente. Il genocidio dei rom e sinti di Auschwitz è oggi una pagina di storia che possiamo raccontare a partire dall’azione concreta di Tadeusz Joachimowski, deportato politico, ma anche grazie a Piero Terracina, deportato ebreo di cittadinanza italiana, insieme alle testimonianze dirette di sinti e rom tra le quali quelle di Otto Rosenberg, Ceija Stojka ed Hugo Hollenreiner.
Il racconto è quindi iniziato, ma in Italia, il riconoscimento istituzionale del genocidio dei rom, attende da tempo nell’anticamera della memoria ed è un’attesa lunga anni.
Così di quel genocidio si parla, anche al Quirinale in questi ultimi anni, concedendo argomentazioni generiche e letture che commuovono, purché il tutto abbia il meno possibile a che fare con la ricostruzione storica dell’evento e metta insieme un’inerme celebrazione liturgica. Su tutto questo è necessario riflettere, a più di settant’anni dal 2 agosto del 1944.
È importante rifletterci in Italia ed in Europa proprio perché potrebbe accadere che sotto la pressione dell’attivismo civile europeo si arrivasse al riconoscimento del 2 agosto come giorno da dedicare alle vittime del solo genocidio rom, anche nella nostra nazione. Il risultato sarebbe salutato da molti come una vittoria, ma in realtà, ancora una volta, non avremmo fatto uscire quel racconto dall’anticamera della memoria.
Saremmo in una condizione che accentuerebbe ancor di più la separatezza, come se ogni categoria potesse al massimo ambire ad ottenere un giorno riconosciuto istituzionalmente durante il quale piangere le proprie vittime, in un immobile mausoleo di morti che insegnerebbero ai vivi soltanto la retorica della celebrazione dei propri caduti. Non credo sia questo l’obiettivo da raggiungere.
In presenza di ricostruzione storica documentata, di testimonianze dirette ed indirette degli internati, di fronte al memoriale di Berlino che ricorda le vittime del genocidio di sinti e rom a fianco di quelle della Shoah, spinti dall’idea che si debba studiare il processo che ha condotto ad Auschwitz (sotto qualsiasi categoria adoperata dal nazifascismo) piuttosto che fermarsi alla logica della commemorazione ciascuno delle proprie vittime, credo che il tempo dell’attesa nell’anticamera sia da dichiararsi concluso. Sono almeno due le proposte di legge che sono state presentate in Senato per includere il genocidio dei rom e dei sinti nel testo della legge che ha istituito il Giorno della Memoria. Questo 2 agosto sia il giorno in cui si torna a porre l’attenzione su questa pagina di storia, perché il 27 gennaio possa ricomporre quel mosaico di storie che solo insieme possono avere la forza di costruire politiche di pace per il futuro.
Luca Bravi
Foto di L’altracittà