Rom contrari alla scolarizzazione? Mio figlio va all’università
I figli di Dzemila sono nati in un “campo”. Crescendo, la madre si è battuta perché frequentassero la scuola sin dall’asilo. Voleva che i suoi bambini avessero le stesse opportunità di tutti i loro coetanei. «C’è chi dice che le mamme rom non vogliono mandare i propri bambini a scuola, ma non è vero. Oggi mio figlio è iscritto all’università».
Dzemila è nata in Montenegro ma vive in Italia fin da quando aveva tre anni. È vissuta in diverse parti d’Italia ma poi si è stabilizzata a Roma dove ha vissuto nel grande “campo” Casilino 900. Qui è rimasta per ben 23 anni. Nel frattempo si è sposata e ha avuto dei figli. Suo marito è un non rom e, insieme, hanno deciso di continuare a vivere nel “campo” sia per manifestare solidarietà nei confronti degli altri abitanti, sia per dare una testimonianza agli occhi dei non rom, dimostrando che è possibile vivere in un “campo” lavorando onestamente.
È diffuso il pregiudizio nella società che le famiglie rom non vogliano mandare i figli a scuola per scelta. In realtà le difficoltà relative alla scolarizzazione di alcuni minori sono legate ad una serie di criticità riguardanti le condizioni di vita in cui versano le loro famiglie. Prima fra tutte la questione dell’alloggio. Chi vive in insediamenti informali è soggetto a continui spostamenti a causa degli sgomberi forzati durante i quali –oltretutto – vengono distrutti i pochi effetti personali posseduti, tra cui anche i libri scolastici.
Non è più semplice la situazione di quanti risiedono nei “campi” istituzionali, collocati in luoghi molto distanti dal tessuto urbano e quindi anche dagli istituti scolastici. Alcuni hanno raccontato di raggiungere il proprio istituto scolastico dopo due ore di viaggio già distrutti fisicamente. Dove invece sono predisposti i servizi di navetta, esclusivamente per bambini rom, i pullman sono molto spesso in ritardo e alcuni minori sono costretti a saltare la prima e l’ultima ora di lezione.
La povertà, l’esclusione sociale e la precarietà delle condizioni abitative hanno ripercussioni devastanti non solo sulle condizioni di vita ma anche sullo stato di salute fisica e psichica dei minori rom, influendo negativamente sulle possibilità di accesso all’istruzione e, spesso, sul rendimento scolastico stesso.
Molti dei bambini che barcamenandosi tra i tanti ostacoli continuano a frequentare la scuola, vivono una condizione di esclusione ed emarginazione dovuta alle loro origini o alla situazione di povertà. Un bambino che viene dal “campo” sarà sempre diverso agli occhi di compagni e insegnanti.
«Nonostante tutte le difficoltà i miei figli sono sempre andati a scuola. Tutti i giorni», riferisce Dzemila, e racconta di come successivamente a lei e la sua famiglia sia capitato di ricevere una bellissima opportunità, quella di diventare responsabili di un centro di accoglienza per rifugiati. «Si è aperto un nuovo capitolo della nostra vita», ricorda, «in cui eravamo noi a dare accoglienza piuttosto che essere accolti». Si parlavano cento lingue stando a contatto con altrettante culture diverse, si viveva nella condivisione con le altre persone della struttura in un contesto pieno di stimoli che ha contribuito all’arricchimento reciproco.
Ora uno dei suoi figli frequenta l’università e sta per laurearsi, l’altro vive a Berlino e lavora come attivista per progetti finalizzati alla tutela dei diritti umani. Non vivono più in un centro o in un “campo”, ma in una casa normale come tutti.
Tra le altre cose, oggi Dzemila si occupa dei processi di apprendimento e inserimento scolastico dei minori rom che vivono in condizioni di disagio. «Se alle persone dai un’opportunità, le porte e il futuro si aprono per tutti. Anche per i rom che oggi vivono ai margini».