Presentato il Rapporto Annuale di Associazione 21 luglio sulla condizione dei rom in Italia

Roma, 9 aprile 2024 – Presentato questo pomeriggio presso la Sala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”, il Rapporto annuale di Associazione 21 luglio che fotografa la condizione delle comunità rom e sinte in Italia. L’evento è stato organizzato su iniziativa della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani del Senato e ha visto la partecipazione di rappresentanti istituzionali di diverse città italiane.

Baraccopoli di comunità rom in Italia

In Italia sono presenti diverse forme di alloggio che mirano ad accogliere nuclei familiari rom e sinti individuati su base etnica. Nella maggior parte dei casi, tali soluzioni non rispettano i criteri di adeguatezza stabiliti dagli standard internazionali per il diritto a una sistemazione idonea, mostrando spesso la reiterazione di un carattere segregante e discriminatorio.

Gli insediamenti formali consistono in aree create e, solitamente, gestite dalle istituzioni comunali con l’obiettivo di favorire l’accoglienza basata su criteri etnici. Tra questi è possibile registrare anche i cosiddetti insediamenti semiformali o “tollerati”, con i quali si intendono quelle aree situate su suolo pubblico, riconosciute in passato come formali, che a causa della progressiva assenza di servizi sono scivolate nella semi-formalità e di conseguenza inserite nella categoria degli insediamenti “tollerati”.

Gli insediamenti informali, che si trovano principalmente nelle periferie delle grandi città italiane, si contraddistinguono per l’utilizzo di tende o abitazioni auto-costruite, spesso immerse nella vegetazione o in zone remote e di difficile accesso.

In Italia sono circa 15.800 i rom e sinti che vivono nelle baraccopoli formali e informali, pari allo 0,03% della popolazione italiana. Circa 13.300 abitano nelle 119 baraccopoli istituzionali, presenti in 75 comuni e in 13 regioni. Nelle baraccopoli informali sono stimati circa 2.500 rom (per ulteriori info: www.ilpaesedeicampi.com).

L’aspettativa di vita di quanti presenti in insediamenti monoetnici all’aperto è di almeno 10 anni inferiore a quella della popolazione italiana. Il 55% dei residenti ha meno di 18 anni e sono circa 1.000 i cittadini rom a forte rischio apolidia in Italia.

Nelle baraccopoli informali e nei micro insediamenti la quasi totalità delle persone presenti risulta essere di origine rumena, mentre dei rom e sinti presenti nelle baraccopoli istituzionali si stima che circa il 62% abbia la cittadinanza italiana.

Il numero di rom e sinti presenti negli insediamenti formali e informali è in costante calo dal 2016, anno del primo rilevamento di Associazione 21 luglio, con un decremento totale ad oggi del 44%, ovvero 12.200 persone in meno.

L’Area Metropolitana di Napoli è quella nella quale è presente la più alta concentrazione di rom in emergenza abitativa e la città di Napoli registra le più grandi baraccopoli informali d’Italia. La città con il maggior numero di baraccopoli istituzionali è invece la città di Roma.

Le principali aree residenziali monoetniche sono registrate nella Regione Calabria, nello specifico nei comuni di Cosenza e Gioia Tauro.

In Italia esistono 3 centri di accoglienza riservati esclusivamente a persone rom. Sono i Centri di Raccolta Rom, presenti nei comuni di Brescia, Latina e Napoli e accolgono un totale di 330 persone riconosciute come rom.

Oltre agli insediamenti fin qui riportati, si registrano anche insediamenti privati, terreni di proprietà, spesso ad uso agricolo, nei quali numerose famiglie rom e sinte hanno scelto di stabilirsi nel corso degli anni.

Nelle grandi città metropolitane si possono riscontrare, in forma sempre più diffusa, situazioni in cui nuclei familiari rom di nazionalità rumena ed ex jugoslava, colpiti da sgomberi forzati, trovano rifugio occupando ex fabbriche, capannoni industriali abbandonati o alloggi destinati all’edilizia residenziale pubblica.

La Strategia Nazionale 2021-2030

La Strategia Nazionale di uguaglianza, di inclusione e di partecipazione di Rom e Sinti 2021-2030 è stata adottata con decreto direttoriale del 23.05.2022 e ha sollevato numerose critiche da parte sia della Commissione Europea che dalla società civile. La prima ha espresso critiche che riguardano anzitutto l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, che risulterebbe mancante dell’autorità necessaria per adempiere con un ruolo adeguato al coordinamento e al monitoraggio delle azioni previste nella Strategia Nazionale 2021-2030.

Anche il “Rapporto di monitoraggio della società civile sulla qualità del quadro strategico nazionale per l’uguaglianza, l’inclusione e la partecipazione dei rom in Italia” ha posto in evidenza, attraverso un’accurata analisi critica, gli specifici punti di debolezza della Strategia Nazionale 2021-2030, legati principalmente a una Strategia non vincolante che non prevede sanzioni a quelle Amministrazioni che violano apertamente i suoi princìpi.

La politica dei campi

In Italia fino al 2018 i propositi di superamento dei campi rom si sono tradotti quasi sempre nella loro costruzione e gestione in nome dell’emergenza sociale e di una presunta temporaneità. Dal 2019 sempre più Amministrazioni locali si sono adoperate per avviare e portare a compimento processi di superamento degli insediamenti monoetnici.

Nell’ultimo biennio (2022-2023) le Amministrazioni comunali di Asti, Lamezia Terme, Prato, Collegno e Roma si sono impegnate in azioni volte al superamento degli insediamenti presenti sui rispettivi territori.

Da segnalare, come esperienza virtuosa, quella del Comune di Collegno, che nell’estate 2023 ha definitivamente superato l’insediamento presente in Strada della Berlia abitato dal 1997 da una comunità rom proveniente dall’ex Jugoslavia. Tutti gli abitanti sono stati ricollocati in abitazioni convenzionali. Anche l’Amministrazione di Roma Capitale, nell’estate 2023, ha approvato il “Piano d’azione cittadino” per il superamento di 6 “villaggi attrezzati” della Capitale in cui sono attualmente presenti più di 2.000 persone.

Il commento di Associazione 21 luglio

Secondo Associazione 21 luglio si registra una marcata consapevolezza da parte di Amministrazioni comunali di diversi colori politici sulla necessità di superare definitivamente i dispositivi architettonici monoetnici denominati impropriamente “campi nomadi” realizzati a partire dagli anni ’80.

Dal 2021 Associazione 21 luglio lavora a sostegno delle Amministrazioni comunali interessate dalla presenza di comunità rom e sinte in condizione di segregazione ed emergenza abitativa proponendo il modello MA.REA. (MAppare e REAlizzare comunità), dal carattere fortemente innovativo e con un approccio partecipativo, già fatto proprio da alcune Amministrazioni.

«Il momento è storico – afferma Carlo Stasolla di Associazione 21 luglio – e particolarmente favorevole per le 75 Amministrazioni comunali che governano i territori su cui insistono i 119 insediamenti monoetnici, affinché possano, con coraggio e determinazione, avviare processi di superamento, per cancellare in forma definitiva quella “vergogna sociale” che fa sì che l’Italia dall’anno 2000 venga considerata nel panorama europeo come il “Paese dei campi”».

È possibile scaricare scaricare il Rapporto Annuale di Associazione 21 luglio ETS “Vie di uscita – La condizione delle comunità rom e sinte in Italia” cliccando QUI

Precipitato dalla finestra di casa dopo la visita di agenti della Polizia di Stato. Verità per Hasib, il giovane disabile di origine rom

Roma, 12 settembre 2022.  Da circa tre anni la famiglia Omerovic/Sejdovic, di origine rom e di cui fanno parte i genitori e quattro figli, due minori e due disabili adulti, avendo portato a termine con successo un percorso di inclusione sociale, è fuoriuscita dall’insediamento di provenienza per fare ingresso in un’abitazione dell’edilizia residenziale pubblica in zona Primavalle, a Roma. La famiglia si è inserita positivamente nel tessuto sociale del quartiere.

Il 5 agosto 2022 i coniugi Omerovic/Sejdovic hanno depositato un esposto alla Procura della Repubblica nel quale vengono riportati i fatti che sarebbero accaduti nei giorni precedenti: a seguito di un post sui social successivamente cancellato, su Hasib Omerovic, 36 anni, sordomuto dalla nascita e incensurato, scaturiscono vaghe voci relative a sue presunte azioni volte a infastidire alcune giovani del quartiere.

Sempre secondo l’esposto, il 25 luglio scorso, quando nell’appartamento risultano presenti Hasib e la sorella, anche lei disabile, quattro persone in borghese e senza mandato, qualificatesi come agenti della Polizia di Stato, fanno il loro ingresso nell’appartamento. Vengono chiesti i documenti di Hasib, che prontamente li deposita sul tavolo. Secondo quanto appreso da una testimonianza raccolta, sarebbe nata un’improvvisa colluttazione. L’esposto riporta inoltre che, quando gli agenti escono dall’abitazione, il corpo di Hasib giace insanguinato sull’asfalto, dopo essere precipitato dalla finestra della sua camera da un’altezza di circa 8 metri, andando a impattare sul manto di cemento sottostante. All’interno dell’abitazione sarebbero stati in seguito rinvenuti il manico di una scopa spaccato in due e numerose macchie di sangue su vestiti e lenzuola. La porta della camera di Hasib sarebbe risultata sfondata.

Portato in ospedale a causa dei numerosi traumi, il giovane Hasib è da cinquanta giorni in gravissime condizioni.

A seguito dell’esposto l’ipotesi avanzata dal Pubblico Ministero è quella di tentato omicidio.

Lunedì 12 settembre, nel corso di una Conferenza Stampa organizzata presso la Sala stampa della Camera dei Deputati, alla presenza di Fatima Sejdovic, la madre della vittima, del deputato Riccardo Magi, di Carlo Stasolla, portavoce di Associazione 21 luglio e degli avvocati della famiglia Arturo Salerni e Susanna Zorzi, sono stati illustrati i dettagli del tragico evento.

«Voglio conoscere la verità di quanto accaduto in quei drammatici minuti dentro la mia abitazione», ha dichiarato Fatima Sejdovic, «Mio figlio ora è in coma, la vita della mia famiglia irrimediabilmente devastata. Ci siamo dovuti allontanare dalla nostra casa perché abbiamo paura e attendiamo dal Comune di Roma una nuova collocazione. Come madre non cesserò di fare di tutto per conoscere la verità su quanto accaduto a mio figlio e agire di conseguenza».

Secondo il deputato Riccardo Magi, che sul caso ha presentato un’interrogazione al Ministero dell’Interno: «Di fronte a questa tragedia e alla dinamica ancora non chiarita che la rende ancora più sconvolgente la famiglia di Hasib chiede e merita risposte chiare e in tempi brevi. La madre ha deciso di mostrare l’immagine scioccante del proprio figlio che giace sull’asfalto dopo essere precipitato, nella speranza che l’attenzione pubblica possa aiutarla ad ottenere verità. Le istituzioni democratiche tutte hanno il dovere e insieme il bisogno della stessa verità».

Carlo Stasolla, portavoce di Associazione 21 luglio, organizzazione che segue e supporta la famiglia anche sotto il profilo legale ha dichiarato: «Su questa vicenda, dai profili ancora poco chiari, importante sarà che il lavoro della Magistratura faccia il suo corso senza interferenze e pressioni e che le istituzioni democratiche garantiscano alla madre di Hasib il raggiungimento della verità alla quale ha diritto. Su questo, come Associazione 21 luglio, presteremo la massima attenzione».

I partecipanti alla Conferenza Stampa continueranno a sostenere la famiglia Omerovic/Sejdoviic nella ricerca della verità. Associazione 21 luglio sul proprio sito ha lanciato un appello con raccolta firme indirizzate al Capo della Polizia Lamberto Giannini, per chiedere, per quanto è nelle sue competenze, di aiutare per fare luce su quanto accaduto la mattina del 25 luglio nell’appartamento di Primavalle dove viveva Hasib.

 

 

Per informazioni:

Ufficio stampa Associazione 21 luglio: stampa@21luglio.org  cell +393469735316

Giornata internazionale dei rom – Presentato “Il paese dei campi”

L’8 aprile viene celebrata in tutto il mondo la Giornata Internazionale dei diritti dei rom. Alla sua vigilia, in un evento promosso dalla Commissione per la promozione dei Diritti Umani del Senato, Associazione 21 luglio ha presentato il report digitale “Il Paese dei campi” (www.ilpaesedeicampi.it). All’iniziativa sono intervenuti: il senatore Giorgio Fede; Triantafillos Loukarelis, direttore dell’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali; Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma.

Storica assenza di dati
Malgrado le politiche nazionali e locali promosse da decenni nei confronti delle comunità rom e sinte, il nostro Paese paga la cronica carenza di informazioni statistiche affidabili relative agli insediamenti monoetnici presenti sul territorio nazionale. Tale deficit è riconosciuto come il principale limite laddove, per implementare politiche sociali, risulta fondamentale cogliere in maniera puntuale le problematiche che interessano gli abitanti dei “campi”. Con cadenza periodica, si invocano “censimenti” arrivando a cogliere l’assenza di informazioni come occasione per amplificare i numeri invocando l’emergenza oppure per spingerli al ribasso al fine di enfatizzare, ad esempio, l’impatto positivo di politiche espulsive.
Per svariate ragioni risulta impossibile oggi definire quanti siano i rom e sinti in Italia. Al contrario è però possibile da oggi, grazie al lavoro presentato da Associazione 21 luglio, fotografare nitidamente la realtà di quanti – identificati dalla autorità come rom e sinti – risiedono in insediamenti monoetnici appositamente realizzati per loro.

La genesi degli insediamenti per soli rom
In Italia a partire dagli anni Settanta – quando già nelle periferie delle città del Nord si registravano piccoli accampamenti di comunità sinte e nel Sud, in prossimità delle fiumare, insediamenti di rom italiani di antico insediamento – si osservò il primo flusso di rom provenienti dall’ex Jugoslavia. Si stima che dagli anni Settanta in poi furono almeno 45.000.
Dal 1985 diverse Regioni italiane, al fine di governare il fenomeno, promossero azioni legislative finanziando la costruzione di “riserve etniche” denominate impropriamente “campi nomadi”.
Ad inizio anni Novanta si registrò la nascita dei primi insediamenti monoetnici, una condizione che farà dell’Italia, il “Paese dei campi”, secondo la felice denominazione ideata dall’European Roma Rights Centre, in quanto la nazione, nel panorama europeo, più impegnata nella creazione e la gestione del dispositivo escludente denominato impropriamente “campo nomadi”.
Successivamente anche alle famiglie rom rumene in fuga dalle persecuzioni del dopo Ceauşescu, vennero aperte le porte dei “campi nomadi”, nella convinzione di aver a che fare con una popolazione omogenea. Per i rom italiani di antico insediamento, invece, si andarono realizzando nel Sud Italia quartieri di edilizia residenziali pubblica riservati secondo un preciso criterio etnico. Recente è l’invenzione dei centri di raccolta rom, destinate all’accoglienza riservata a famiglie rom.

Dati e numeri
Attraverso il sito www.ilpaesedeicampi.it, curato da Associazione 21 luglio, è possibile da oggi cogliere, in tempo reale, informazioni aggiornate che interessano ognuno dei 121 insediamenti formali, all’aperto e al chiuso, abitati da comunità identificate come rom e sinte.
In Italia sono presenti 45 “campi rom” formali abitati da 7.128 persone. L’insediamento più grande si trova a Roma, in via Candoni, dove sono accolte 795 persone. La massima concentrazione si rileva nell’area metropolitana di Napoli, con 8 insediamenti e 1.336 persone.
Nei Comuni di Pisa, Gioia Tauro e Cosenza si registrano invece le presenze di quartieri di “case popolari” realizzati appositamente per un’accoglienza di 930 rom. A Brescia e a Napoli gli unici due “centri di raccolta rom”, dove risultano presenti 218 persone.
Sono invece 66 i “campi sinti” presenti sul territorio nazionale, abitati da 4.814 persone con il più grande che insiste nel Comune di Pavia, con 265 persone. I Comuni di Villafalletto, in provincia di Cuneo, di Padova e di Carmagnola, in provincia di Torino sono caratterizzati dalla presenza di aree residenziali monoetniche.
Aggregando i dati che interessano i soli insediamenti formali è possibile affermare che sono 113 i “campi rom” e “campi sinti”, presenti in 73 Comuni e 13 Regioni, per un totale di 12.096 persone. Ad essi vanno aggiunti 2 “centri di raccolta rom” e 6 aree residenziali monoetniche. Un totale di 13.405 soggetti concentrati in strutture, al chiuso o all’aperto, progettate e realizzate dalle istituzioni secondo un criterio segnatamente etnico.
Se ad essi volessimo aggiungere i circa 5.500 rom stimati negli insediamenti informali, si raggiungerebbe la cifra complessiva di 18.760 rom e sinti in emergenza abitativa.

Verso il superamento
Tali numeri sembrano confermare la tendenza al ribasso già registrata negli ultimi anni. Ad oggi, come riportato nel dettaglio sul sito, sono infatti 21 gli insediamenti rom e sinti che risultano in superamento mentre, dal 2018 ad oggi sono 26 quelli chiusi o superati.
Secondo Associazione 21 luglio: «Le esperienze passate ci dicono che per superare un insediamento monoetnico non servono approcci speciali – declinati su base etnica – né tantomeno uffici dedicati. Fondamentale è partire da processi di coprogettazione calibrati su ogni singolo insediamento e che coinvolgano anche i residenti. Risulta poi importante prevedere interventi ordinari di politica sociale che mirino a sviluppare percorsi inclusivi individualizzati e strutturati sulle esigenze dei singoli nuclei familiari. I tempi attuali sono favorevoli per attrezzarsi con strumenti che seguano un approccio universalistico».
Per tale ragione Associazione 21 luglio, attraverso lo strumento presentato oggi, continua il suo lavoro di informazione e formazione presso le Amministrazioni locali interessate al superamento degli insediamenti presenti sul proprio territorio, offrendo sostegno e consulenza, nella convinzione che, attraverso un’azione congiunta che coinvolga il governo centrale e le Amministrazioni locali sarà possibile relegare al passato la triste stagione che sino ad ora ha contraddistinto l’Italia come il “Paese dei campi”.

Il flash mob della rete nazionale Ip Ip Urrà

I bambini si prendono spazio nella Giornata mondiale del Gioco. In 9 città italiane la rete nazionale del progetto Ip Ip Urrà – Infanzia Prima, selezionato dall’impresa sociale Con i bambini nell’ambito del fondo di contrasto alla povertà educativa, si è svolto il flash mob che ha rimesso al centro il diritto al gioco e al tempo libero in una fascia d’età provata dalla pandemia e dal lockdown.

L’iniziativa si è svolta contemporaneamente a Bergamo, Firenze, Genova, Lecce, Messina, Moncalieri, Napoli, Pioltello e Roma.  “Il gioco è uno dei diritti fondamentali dei bambini, insieme al diritto al tempo libero. Entrambi oggi sono decisamente a rischio e compromessi, soprattutto a causa della pandemia. Poter giocare è necessario per lo sviluppo di ogni bambina e bambino, significa imparare a comprendere come funziona il mondo, a relazionarsi con gli altri, a sperimentare le proprie capacità, a trovare soluzioni creative per le difficoltà che si incontrano; ma significa anche poter avere luoghi curati, adeguati e sicuri in cui trascorrere del tempo”. Questo è il commendo di Barbara Pierro, presidente dell’Associazione Chi Rom e chi no di Scampia, capofila del progetto.

I partner del progetto Ip Ip Urrà che ha promosso la manifestazione sono: Cooperativa Sociale Il Cantiere (Albino, Valle Seriana), Coop L’Abbaino, Consorzio Mestieri Toscana (Firenze), Coop. Soc. Mignanego (Genova), Comunità progetto Sud (Lamezia Terme), Ass. Fermenti lattici (Lecce), EcoS-Med coop. soc. (Messina), La Kumpania (Napoli) Libera Compagnia di Arti & Mestieri Sociali (Pioltello), Associazione 21 luglio (Roma), Coop. Soc. Educazione Progetto (Torino), Fondazione Zancan, Università Federico II centro Sinapsi e tante scuole sparse lungo lo stivale.

Il progetto è stato selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il Fondo nasce da un’intesa tra le Fondazioni di origine bancaria rappresentate da Acri, il Forum Nazionale del Terzo Settore e il Governo. Sostiene interventi finalizzati a rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Per attuare i programmi del Fondo, a giugno 2016 è nata l’impresa sociale Con i Bambini, organizzazione senza scopo di lucro interamente partecipata dalla Fondazione CON IL SUD. www.conibambini.org.

I rom dell’area F di Castel Romano chiedono alla Raggi di mantenere le promesse. Associazione 21 luglio: «Evitiamo ennesimo flop del Piano rom».

«Questa mattina sono partite le nostre operazioni di sgombero dell’Area F del campo rom di Castel Romano – aveva dichiarato Virginia Raggi il 25 marzo scorso – Abbiamo avviato una collaborazione con tutte le famiglie che hanno sottoscritto il “Patto di Responsabilità Solidale”: si tratta di un sostegno temporaneo nei confronti di coloro che si impegnano a trovare un regolare lavoro, mandare i propri figli a scuola. Per coloro che hanno fragilità, abbiamo avviato il percorso di assistenza così come avviene per chiunque si trovi nelle stesse condizioni».

Questa mattina gli abitanti dell’Area F di Castel Romano hanno manifestato in Campidoglio per ricordare alla prima cittadina le promesse fatte. Sei famiglie sono state effettivamente collocate in co-housing in case popolari che sono parte della “riserva ERP” a disposizione del Comune di Roma per l’emergenza abitativa. Quattro famiglie sono state invece poste all’interno di “Covid Hotel”. Hanno accettato con fiducia questa sistemazione malgrado la difficoltà. Le famiglie sono state infatti poste in quarantena, pur risultano negative ai test alle quali erano state sottoposte, e smembrate, visto che solo ad una persona adulta, insieme ai bambini, è stato consentito l’ingresso. A tre famiglie non è stata offerta alcuna soluzione e sono in attesa di un appuntamento con le assistenti sociali di riferimento per intraprendere il percorso burocratico con la sottoscrizione del “Patto di Solidarietà”.

La promessa dell’Amministrazione Capitolina è pertanto stata realizzata a metà e oggi le famiglie, al grido di “NESSUNO RESTI INDIETRO!” hanno chiesto all’Amministrazione Comunale di promuovere il percorso di inserimento abitativo che era stato verbalmente garantito. «La nostra richiesta – hanno affermato le famiglie – non si fonda su pretese arbitrarie ma su impegni assunti da parte dei referenti istituzionali e per questo chiediamo che alle parole seguano i fatti».

L’appello delle famiglie è stato consegnato alla presidente della Commissione Politiche Sociali di Roma Capitale, Agnese Catini, presente alla manifestazione.

Associazione 21 luglio si è posta da subito a fianco delle famiglie rom affinché venga garantito il diritto a un alloggio dopo la distruzione dei container dove aveva vissuto per 9 anni. Secondo Carlo Stasolla: «Dopo lo sgombero di Camping River, con 300 persone finite per strada, e quello del Foro Italico, che ha visto una ventina di famiglie scappare dalla furia delle ruspe, non vorremmo assistere all’ennesimo flop del Piano rom della Raggi. Alle famiglie dell’area F è stata fata una promessa, quella di avviare un percorso di inclusione attraverso l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Loro hanno concesso fiducia accettando anche di entrare in Covid Hotel pur non comprendendone la ragione. Vigileremo e lotteremo a fianco delle famiglie fino a quando l’impegno assunto da questa Amministrazione non si traduca in realtà».

Giornata Internazionale dei rom. Associazione 21 luglio: «Rafforzare il percorso verso la chiusura di insediamenti monoetnici»

 

L’8 aprile viene celebrata in tutto il mondo la Giornata Internazionale dei diritti dei rom che prende spunto quando, nella Primavera del 1971, alcuni intellettuali e attivisti rom di tutta Europa si incontrarono a Chelsfield, vicino Londra, in un congresso internazionale per riflettere sulla condizione delle rispettive comunità.

QUADRO NUMERICO

Malgrado le diverse stime periodicamente prodotte, risulta impossibile definire in modo chiaro e certo il numero delle persone rom e sinte presenti sul territorio nazionale. Dalla mappatura annuale svolta da Associazione 21 luglio e riportata nel suo Rapporto Annuale di prossima pubblicazione, emerge come in Italia siano circa 18.000 i rom in emergenza abitativa e di essi circa 11.500 in insediamenti progettati, costruiti e gestiti dalle istituzioni locali e meno di 7.000 in insediamenti informali. Sul territorio italiano si contano 111 insediamenti formali per soli rom in una sessantina di Comuni italiani con una presenza interna di cittadini italiani che raggiunge il 49%. La città con il maggior numero di presenze è la Capitale, dove vivono il 41% dei rom presenti negli insediamenti formali italiani. Sempre la città di Roma, insieme a Napoli, conta il più alto numero di persone, per la quasi totalità di cittadinanza rumena, presenti negli insediamenti informali.

NUMERI IN CALO

Negli ultimi mesi è proseguito il calo numerico di presenze all’interno degli insediamenti monoetnici, già registrato a partire dal 2016, quando 18.000 erano i rom censiti nei 149 insediamenti formali e 10.000 quello negli insediamenti informali. L’anno successivo tali numeri si sono attestati attorno ai seguenti valori: 16.400 in 148 insediamenti formali e 9.600 in quelli informali. Nel 2018 i rom censiti nei 127 insediamenti formali risultavano essere 15.000 e più di 9.000 quelli negli insediamenti informali. L’anno successivo la cifra si attestava su: 12.700 presenze in 119 campi formali e 7.300 rom stimati in quelli informali. Un calo numerico significativo dovuto a una molteplicità di fattori: volontà delle giovani generazioni presenti nei “campi rom” ad intraprendere percorsi di fuoriuscita; consapevolezza di diverse amministrazioni locali nel promuovere il superamento degli insediamenti; decisione di famiglie rom comunitarie di lasciare volontariamente il nostro Paese a causa della crisi pandemica ed economica.

VERSO IL SUPERAMENTO DEI CAMPI ROM

Se fino al 2014 alcune Amministrazioni risultavano ancora impegnate nella costruzione o nel rifacimento di nuovi insediamenti, è da circa 3 anni che si registrano azioni che nascono dalla volontà di superare i “campi rom”. In alcuni casi, come dimostra quanto recentemente avvenuto nelle città di Roma e di Pisa, tali interventi si sono tradotti in azioni di sgombero forzato o di allontanamento delle persone in cambio di bonus economici una tantum. Diverso, invece, quanto osservato negli ultimi anni a Palermo, Moncalieri, Ferrara, Sesto Fiorentino, dove il superamento dei “campi rom” attraverso virtuosi processi inclusivi, si è concretizzato nell’ingresso delle famiglie all’interno di alloggi convenzionali. Pratiche di sgombero di insediamenti informali particolarmente violente si sono registrate negli ultimi 18 mesi nelle città di Torino e Roma.

L’IMPATTO DEL COVID

La crisi pandemica che ha investito il nostro Paese ha sicuramente peggiorato le condizioni di vita di numerose comunità in emergenza abitativa. Alcuni contesti sono stati segnati da deprivazione alimentare, assenza di accesso ai ristori economici dovuti alla non regolarità delle attività lavorative, mancanza di monitoraggio della autorità sanitarie sulle condizioni di vita delle famiglie presenti negli insediamenti. Nel lungo periodo, però, le conseguenze prodotte dal Covid potrebbero portare ad un cambiamento della situazione. Il clima di ostilità nei confronti dei rom sembra sopito all’interno di una società “distolta” da problematiche legate nell’ultimo biennio alla politica sull’immigrazione e poi, dal 2020, alla pandemia da Covid. Inoltre lo scivolamento verso la povertà di una larga fascia della classe media e le conseguenti misure di sostegno economico promosse dal Governo centrale (prolungamento del reddito di cittadinanza, bonus figli, bonus spesa, ecc…) potrebbero rappresentare per molte famiglie residenti nei “campi” l’opportunità per uscire, attraverso il ricorso a sussidi universali, da croniche condizioni di indigenza.

IL CASO ROMANO

Sempre dai dati riportati nel Rapporto annuale di Associazione 21 luglio emerge come, probabilmente, la città dove un rom in emergenza abitativa si troverebbe a vivere nella condizione peggiore resta la Capitale. Insediamenti formali in condizioni di abbandono, azioni sociali fallimentari, sgomberi forzati: sono questi i tratti che caratterizzano la presenza delle comunità rom a Roma e il loro rapporto con la città. Il “Piano rom” della Giunta Raggi, pur se avviato con le intenzioni di superare gli insediamenti romani attraverso processi inclusivi, non ha mai mutato il suo rigido approccio, rivelando nel tempo l’incapacità di generare impatti significativi. Dall’inizio del “Piano rom”, malgrado i 12 milioni di euro già impegnati per l’inclusione abitativa che prevede l’erogazione di “bonus affitti” e il rimpatrio assistito, risultano meno di 10 i nuclei familiari collocati, attraverso tali strumenti, all’interno di abitazioni convenzionali.

IL PARERE DI ASSOCIAZIONE 21 LUGLIO

Secondo Associazione 21 luglio è possibile continuare ad assistere ad un calo degli insediamenti monoetnici e al numero dei loro abitanti se si sapranno affinare politiche sociali efficaci, evitando sperpero di denaro pubblico e violazione dei diritti umani. «I tempi sono maturi per un cambio di passo – afferma Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione – per gettarci alle spalle la triste stagione dei “campi rom” inaugurata negli anni Novanta. A condizione di implementare modelli partecipativi e dialoghi costruttivi tra amministratori locali, comunità residenti nei “campi”, organizzazioni del terzo settore. Sarà fondamentale abbandonare la logica di politiche e strategie “speciali” per privilegiare strumenti ordinari a disposizione di qualsiasi cittadino, senza quei profili discriminatori che, come accaduto sino ad ora, finiscono puntualmente per stigmatizzare intere comunità».

Castel Romano: in attesa dello sgombero i primi rom in case popolari. Associazione 21 luglio: «Un precedente importante. Roma imita la giunta leghista di Ferrara»

Roma, 24 marzo 2021 – Secondo l’Ordinanza n.25 del 12 febbraio 2021 a firma di Virginia Raggi, dopo diversi rinvii, per le settanta persone dell’area F del “villaggio” di Castel Romano non restava che lo sgombero imminente come ultima soluzione volta al «ripristino delle condizioni ambientali, igienico sanitarie a tutela della salute pubblica». E invece, accogliendo le proposte lanciate dai residenti e da Associazione 21 luglio, dai giorni scorsi alcune famiglie, per un totale di 15 persone, sono state inserite all’interno di abitazioni dell’edilizia residenziale pubblica. Per altre sono previsti ingressi imminenti.

Secondo le intenzioni del Comune di Roma l’area F di Castel Romano doveva già essere sgomberata il 10 settembre scorso. Per scongiurare tale azione, Associazione 21 luglio, ravvisando un comportamento discriminatorio delle autorità capitoline, si era rivolta alla Commissione Europea e all’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il 31 agosto gli abitanti dell’insediamento, in una manifestazione organizzata in Campidoglio e supportata da Associazione 21 luglio, hanno presentato pubblicamente la loro proposta in una missiva indirizzata alla sindaca Virginia Raggi: «L’idea – veniva riportato nella lettera – nasce leggendo con attenzione la Memoria di Giunta n.38 da lei firmata il 9 luglio 2020 dove, parlando di noi, prevede per il nostro sostegno all’abitare la misura della “riserva ERP del 15% degli alloggi”. Trenta delle nostre famiglie hanno già fatto domanda di “casa popolare” e questo strumento, già praticato con successo dalla Giunta leghista di Ferrara quando, lo scorso anno, ha dovuto chiudere un campo rom, consentirebbe semplicemente, senza corsie preferenziali e in maniera assolutamente legale di accelerare il nostro accesso negli alloggi dell’edilizia residenziale pubblica. Molte delle famiglie residenti potrebbero così uscire dall’Area F di Castel Romano da subito, entrando, come è nel loro diritto, in una casa popolare».

L’esperienza a cui facevano riferimento i manifestanti era quella praticata nella città di Ferrara quando, nel settembre 2019, l’Amministrazione a guida leghista, dovendo sgomberare lo storico campo rom di via delle Bonifiche, ha requisito appartamenti dell’edilizia residenziale pubblica per trasferire alcune famiglie avvalendosi della “riserva” garantita anche all’Amministrazione estense per le particolari fragilità sociali a rischio sgombero.

La Giunta Raggi, accogliendo la proposta delle famiglie dell’area F e replicando su Roma il modello di intervento praticato a Ferrara, ha quindi optato, come previsto dall’art.13 del Regolamento della Regione Lazio n.2 del 20 settembre 2020, attingendo dalle “riserve ERP” a sua disposizione per iniziare il collocamento delle sole famiglie firmatarie del “Patto” e poste in un’area che sarà presto liberata.

Per Associazione 21 luglio, che auspica che il processo di inserimento nelle case popolari possa interessare tutti i residenti, senza scrematura, si tratta comunque di un precedente di estrema importanza. Secondo il presidente Carlo Stasolla «Il tramonto della stagione dei campi rom a Roma sta diventando una realtà. Con buona pace di quanti, dipendenti comunali e volontari di associazioni, si ritrovano ancorati ai vecchi e costosi modelli dettati da un assurdo Piano rom e un Ufficio Speciale Rom che non trova più la sua ragion d’essere. Quello della vicenda dell’area F di Castel Romano è un fatto straordinario soprattutto per il precedente che crea. A Roma da oggi in poi ogni minaccia di sgombero dovrà scontrarsi con una legittima domanda: “Perché non fare come la giunta leghista di Ferrara o come la Raggi con i rom di Castel Romano? La legge lo consente”. Tutto ciò, grazie all’attivismo e all’impegno mostrato dalle famiglie rom nel proporre dialogo e soluzioni di buon senso che questa Amministrazione ha iniziato a recepire».

Comunicato stampa – Comune di Roma decide per blocco sgombero dopo interesse CE

Campo rom di Castel Romano. Associazione 21 luglio: «La Commissione Europea attenziona l’insediamento e il Comune di Roma decide il blocco dello sgombero. Ora si lavori per l’inclusione secondo il modello della Lega a Ferrara»

 

Secondo le intenzioni del Comune di Roma l’area F di Castel Romano, abitata da un centinaio di persone, doveva essere sgomberata prima il 10 settembre. Poi lo sgombero è stato rinviato alla fine dello stesso mese. Per scongiurare tale azione, Associazione 21 luglio, ravvisando un comportamento discriminatorio delle autorità capitoline, si era rivolta alla Commissione Europea e all’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali (UNAR) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Lo scorso 20 ottobre, Szabolcs Schmidt, capo Unità della Commissione Europea su “Non-discrimination and Roma coordination” in una missiva rivolta ad Associazione 21 luglio, ha comunicato che la Commissione Europea sta attenzionando le azioni del Comune di Roma sull’area F di Castel Romano e l’impatto dell’intero Piano rom della Giunta Raggi sulle comunità rom interessate. Nella lettera Schmidt ha ribadito come gli Stati membri, Italia compresa, devono garantire, in caso di sgombero, «che lo stesso avvenga nel pieno rispetto del diritto dell’Unione e degli altri diritti umani internazionali in ottemperanza agli obblighi come quelli stabiliti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questo – continua Schmidt –  è stato rafforzato dalla raccomandazione del Consiglio del 9 dicembre 2013 riguardo le misure efficaci per l’integrazione dei Rom negli Stati membri (2013 / C 378/01)».

Il giorno dopo è seguita una comunicazione dell’UNAR nella quale è stato riportato che sia il Capo Gabinetto che il vice Capo Gabinetto della sindaca Virginia Raggi «hanno confermato di avere piena consapevolezza delle criticità oggetto della vostra istanza e assicurato circa il non luogo a procedere dello sgombero, inizialmente previsto entro la fine di settembre».

Secondo Associazione 21 luglio aver scongiurato lo sgombero dell’area F rappresenta un grande successo che però si potrebbe rivelare insufficiente in assenza di reali azioni inclusive volte al superamento dell’area, caratterizzata da condizioni igienico sanitarie gravissime. Per tale ragione, in un contesto come l’attuale, l’Associazione indica come via maestra quella già percorsa lo scorso anno dalla Giunta leghista di Ferrara e proposta dai residenti dell’area F in una lettera aperta rivolta alla sindaca Virginia Raggi lo scorso agosto.

Nel settembre 2019 la giunta guidata dal leghista Alan Fabbri, per completare il superamento del campo rom di Ferrara, ha fatto ricorso a una normativa regionale: un regolamento permette infatti alle amministrazioni locali, nei casi urgenti di estrema fragilità, di disporre di una quota delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica. A Ferrara la quota è del 3%, a Roma del 15%. Nella cittadina estense tre famiglie rom, in forza di questo regolamento sono entrate in una casa popolare. Tale prassi – secondo Associazione 21 luglio – potrebbe essere fatta propria anche dall’Amministrazione Capitolina.

Secondo il Regolamento della Regione Lazio n.2 del 20 settembre 2000, n. 2 “Regolamento per l’assegnazione e la gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica destinata all’assistenza abitativa ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della Legge regionale 6 agosto 1999, n. 12”, come riportato all’articolo 13, comma 1: il Comune di Roma può riservare un’aliquota degli alloggi ERRP del 15% «da assegnare sulla base del bando generale, a nuclei familiari che si trovino in specifiche documentate situazioni di emergenza abitativa dovute a […] provvedimenti esecutivi di rilascio forzoso; sgombero di alloggi di proprietà pubblica da destinare ad uso pubblico».

Non va dimenticato che tale possibilità è stata paventata anche nella Memoria di Giunta sottoscritta da Virginia Raggi il 9 luglio 2020: riguardo l’area F di Castel Romano tra le varie misure si cita proprio la riserva Erp degli alloggi, riserva che ogni Comune ha a disposizione per i nuclei più fragili.

Secondo Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio: «Se i primi a sperimentare questo modello sono stati i rom entrati nelle case popolari di Ferrara, città governata da una giunta leghista, perché lo stesso non potrebbe essere fatto proprio dalla città di Roma? Non si tratta di optare per una corsia preferenziale creata ad hoc ma di avvalersi di regolamento regionale che lo consente. Nell’area F di Castel Romano risiedono 96 persone e di esse l’80% ha già fatto domanda di casa popolare. Se si dovesse ravvisare la necessità urgente di liberare l’area, già posta sotto sequestro dal Tribunale di Roma, l’opzione della riserva Erp resterebbe come l’unica come alternativa ad uno sgombero forzato inutile, costoso e lesivo dei diritti».

Associazione 21 luglio al Comune di Roma: con la recente normativa legata al Covid-19 non più possibile a settembre lo sgombero di Castel Romano

La Memoria di Giunta Capitolina n.38 del 9 luglio 2020, che prevede lo sgombero dell’area F del “villaggio” di Castel Romano nel prossimo settembre non tiene conto dell’importante novità rilevata all’art.17bis del Decreto Legge 19 maggio 2020 n.34, convertito con modificazioni in Legge n. 77/2020 e se il Comune di Roma, come comunicato alle famiglie dell’area, «dovesse procedere con le operazioni di sgombero oltre ad agire in violazione di legge, lederebbe gli interessi dei privati dimoranti nell’area sia alla luce dell’assenza di un piano di ricollocazione delle stesse in altre soluzioni abitative idonee, sia poiché lederebbe i diritti costituzionalmente protetti aumentando la loro fragilità in un periodo particolarmente sensibile quale quello segnato dalla emergenza da Covid-19». È la frase-chiave contenuta in una nota inviata oggi da Associazione 21 luglio al sindaco di Roma Virginia Raggi e all’Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti di Roma Capitale.

 

L’emergenza Covid-19

Il 17 marzo 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n.18 “Misure di potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”. Al comma 6, art.103 viene disposto: «L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020».

Il suddetto Decreto Legge è stato convertito con modificazioni dalla Legge n.27 del 24 aprile 2020. Nel testo la moratoria degli sgomberi viene estesa al 1° settembre 2020.

 

La Memoria di Giunta

Il 9 luglio 2020 la Giunta Capitolina ha approvato la Memoria n.38 avente per oggetto “Contenimento criticità ambientali e superamento del sistema di accoglienza del Villaggio della Solidarietà di Castel Romano” nella quale da una parte viene affidata ad un’ATI il servizio di promozione di percorsi di inclusione propedeutici alla fuoriuscita dal “villaggio” di Castel Romano, dall’altra viene pianificato, in linea con gli impegni presi con la Regione Lazio, lo sgombero dell’insediamento e le cui attività, afferma la stessa Amministrazione Capitolina «risultano rallentate in funzione dell’emergenza sanitaria da Covid-19 la cui normativa ha introdotto all’art.103 comma 6 del D.L. del 17 marzo 2020 il blocco degli sgomberi fino al 30 giugno 2020, termine successivamente prorogato, in sede di conversione, al 1° settembre 2020». «È intenzione di questa Amministrazione – si legge nella Memoria – procedere, decorsi i termini della moratoria degli sgomberi, alla liberazione di persone e cose dal campo F attualmente occupato da circa 90 persone secondo un programma di ricollocazione delle fragilità».

È quindi contando sul termine della moratoria degli sgomberi entro e non oltre il 1° settembre che il Comune di Roma ha fatto pervenire nelle scorse settimane agli abitanti dell’area F l’ordine di abbandonare lo spazio abitato entro il 10 settembre 2020

 

Estensione della moratoria degli sgomberi

In realtà, come pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 19 maggio 2020 l’art.17bis del Decreto Legge 19 maggio 2020 n.34, convertito con modificazioni in Legge n.77/2020, stabilisce l’ulteriore proroga della sospensione dell’esecuzione degli sgomberi così statuendo: «al comma 6 dell’art. 103 del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27 le parole “1 settembre 2020” sono state sostituite dalle seguenti “31 dicembre 2020». Pertanto ogni sgombero effettuato prima di quella data si porrebbe in piena violazione della legislazione nazionale.

 

La richiesta di Associazione 21 luglio

Nella lettera inviata oggi da Associazione 21 luglio alle autorità capitoline viene presentata istanza di annullamento della Memoria di Giunta Capitolina n.38 del 9 luglio 2020 avente per oggetto “Contenimento criticità ambientali e superamento sistema di accoglienza del Villaggio della Solidarietà di Castel Romano” e conseguentemente viene richiesto di considerare non più valida la parte relativa all’intenzione dell’Amministrazione di procedere nel periodo immediatamente successivo al 1° settembre, giorno della scadenza della moratoria degli sgomberi, alla liberazione dell’area F di Castel Romano.

«Dopo l’esperienza di Camping River, quando l’Amministrazione Comunale in barba alla decisione della Corte Europea di Strasburgo decise di agire con lo sgombero del “villaggio” – ha commentato Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – ci auguriamo che questa volta la Giunta Raggi si adegui a quanto stabilito dalla normativa nazionale redatta a tutela della salute pubblica. In alternativa sarà la prima cittadina ad assumersi la responsabilità di andare contro la legge mettendo in strada 100 persone in piena emergenza sanitaria da Covid-19. Fino al 31 dicembre 2020 ogni sgombero è interdetto su tutto il territorio nazionale e questo deve valere, senza se e senza ma, anche per spazi dove, per responsabilità istituzionali, la legge è stata storicamente assente, come nel “villaggio” di Castel Romano».

 

Ci si avvicina alla campagna elettorale. Si preannunciano sgomberi di insediamenti formali

Video estratto dal documentario “COVI-Di Roma” di Davide Giorni

 

COMUNICATO STAMPA

Tra 2 mesi le ruspe comunali abbatteranno un’area del campo di Castel Romano. Associazione 21 luglio: «Ci si avvicina alla campagna elettorale: 3.300.000 euro già destinati all’inclusione dei residenti del “villaggio” ma evidentemente è più conveniente optare per lo sgombero»

Roma, 7 luglio 2020 – Porta la firma di Marco Cardilli, vice capo di Gabinetto della sindaca Virginia Raggi con delega in materia di Sicurezza Urbana e direttore ad interim dell’Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti del Comune di Roma il documento notificato lo scorso 3 luglio alle 28 famiglie dell’area F del “villaggio” di Castel Romano. «La S.V. – si legge nella missiva – dovrà lasciare il modulo abitativo chi attualmente occupa da cose e persone entro e non oltre il 10 settembre 2020». Per rendere più “accettabile” la decisione, il Comune di Roma offre la possibilità alle famiglie interessate di accedere ai benefici previsti dal “Piano rom” attraverso la sottoscrizione del Patto di Responsabilità Solidale per il quale, come riportato nella missiva, occorre esibire «tutta la documentazione necessaria (permessi di soggiorno, passaporti, carta d’identità, tessera sanitaria, dichiarazione ISEE, certificati iscrizioni scolastiche, stati di famiglie, certificazioni sanitarie)». Documentazione che, secondo il monitoraggio condotto da Associazione 21 luglio, non risulta essere in possesso delle famiglie in questione. «E di questa impossibilità oggettiva – secondo Associazione 21 luglio – il Comune di Roma non può non esserne a conoscenza».

La comunità rom dell’area F
Marginalità, abbandono, assenza di acqua e di fognature, cumuli di rifiuti, moduli abitativi degradati. È questo il quadro che emerge nel visitare l’area F dell’insediamento di Castel Romano, abitato da 98 persone originarie di Vlasenica città martire della guerra civile che dal 1992 al 1995 ha insanguinato la Bosnia-Erzegovina, di cui circa la metà (42) sono rappresentati da minori e di essi 18 con età compresa tra 0 e i 3 anni. Sull’area le famiglie erano state collocate dopo il violento sgombero del campo di Tor de’ Cenci, avvenuto il 28 settembre 2012. L’appalto per la costruzione dell’area F, dal valore di 1,2 milioni di euro, era entrato anche nelle carte del processo dell’inchiesta denominata “Mafia Capitale” perché lo stesso riconducibile alle cooperative gestite da Salvatore Buzzi.
L’area F, insieme all’area K, all’area M e all’area ex Tor Pagnotta, è parte del “villaggio” di Castel Romano, nato nel 2005 nel cuore della Riserva Naturale di Malafede, a 25 km dal centro della città di Roma. Nel censimento effettuato dalla stessa Polizia Locale nel giugno 2019 si rilevava la presenza totale di 542 persone di cui 282 sono rappresentati da minori.

Il bando per il superamento del “villaggio attrezzato” di Castel Romano
Il 7 maggio 2019, il Comune di Roma, con Deliberazione n.80 ha ravvisato l’opportunità di estendere anche all’insediamento di Castel Romano le misure volte al superamento dei “villaggi” introdotte con la Deliberazione della Giunta Capitolina n.70.
Il giorno dopo, l’8 maggio 2019 è stata resa pubblica la Determinazione dirigenziale QE/1426 per l’indizione di una gara per “Procedura aperta per l’affidamento dell’appalto relativo al Progetto di inclusione sociale per le persone rom, sinti e caminanti e superamento del villaggio attrezzato di Castel Romano” con l’obiettivo generale «del raggiungimento dell’autonomia dei soggetti coinvolti» e con i seguenti obiettivi specifici: «mappatura dei profili sociali dei singoli nuclei, delle risorse e del capitale sociale del campo; strutturazione e implementazione di progetti individualizzati di inclusione lavorativa per l’acquisizione della piena autonomia delle famiglie e dei singoli; sostegno all’abitare; il rimpatrio assistito; gestione dei servizi esclusivamente dedicati alla popolazione residente in età minore; accompagnamento e tutoring attivo con monitoraggio continuo».
L’affidamento prevede la durata di 24 mesi con inizio il 1° dicembre 2019 e la fine il 30 novembre 2021 ed un chiaro cronoprogramma che dovrebbe concludersi nel 2021 con «l’accompagnamento degli ospiti in fase di fuoriuscita». L’importo di spesa è pari a 1.826.260 euro. Ad essi va aggiunta la somma da erogare in contributi economici diretti in favore dei singoli nuclei familiari pari a 1.500.000 euro.
Il bando è stato aggiudicato il 21 gennaio 2020 ad una RTI avente come capofila la cooperativa sociale Astrolabio e, in qualità di mandante, Arci Solidarietà Onlus e la cooperativa sociale Speha Fresia.
Per il passaggio dalla baraccopoli all’inclusione abitativa è previsto: il reperimento di abitazioni attraverso il mercato immobiliare privato; il supporto motivazionale e materiale; il reperimento di alloggi attraverso l’associazionismo; i rientri volontari assistiti.
Per l’inclusione lavorativa è prevista: l’organizzazione di corsi di formazione finalizzati alla creazione in autonomia di realtà imprenditoriali; la creazione di relazioni fattive con il tessuto produttivo delle aree immediatamente limitrofe all’insediamento; moduli individuali; l’attivazione di tirocini formativi; l’attivazione di interventi economici che possano sostenere l’avvio di piccole realtà imprenditoriali.
Per la tutela dei minori presenti nel “villaggio” di Castel Romano è previsto l’utilizzo di un ludobus, di laboratori e doposcuola.

L’abbandono istituzionale e lo sgombero
Qualche settimana dopo l’aggiudicazione del bando per il superamento del “villaggio” è iniziato in Italia il lungo lockdown nel corso del quale i residenti dell’insediamento hanno vissuto nel più totale abbandono istituzionale, segnato da forte deprivazione alimentare, da carenza idrica e, talvolta, anche elettrica.
Poi, alla fine dello stesso, agenti della Polizia Locale si sono presentati presso le famiglie dell’area F per notificare lo sgombero dell’area previsto per il 10 settembre.
Secondo Associazione 21 luglio, che dall’inizio del lockdown ha settimanalmente visitato l’insediamento lungo la via Pontina per distribuire “pacchi bebè”, tale notifica appare come un gravissimo atto segnato da inaudita violenza che sembra ripercorrere la storia dello sgombero di Camping River, avvenuto due anni fa quando, al termine della vicenda, quasi 300 persone finirono in strada strada sulla quale, parcellizzati in una miriade di insediamenti informali, molti ancora si trovano. Per tale ragione l’Associazione chiede l’immediata sospensione dell’azione di sgombero non comprendendo l’arbitraria esclusione de facto delle 28 famiglie dalle azioni già previste dal bando per il superamento del “villaggio”.

Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio, sottolinea come «per il “villaggio” di Castel Romano il Comune di Roma si è già impegnato per un percorso di due anni volto alla fuoriuscita graduale delle famiglie verso soluzioni abitative adeguate. Per fare ciò si sono destinati 3,3 milioni di euro di denaro pubblico Questa accelerazione verso lo sgombero potrebbe apparire incomprensibile e, da parte nostra, come Associazione per la tutela dei diritti umani, faremo il possibile per sostenere le famiglie vittime di questa azione istituzionale carica di violenza. Evidentemente – sostiene Stasolla – si sta iniziando la campagna elettorale e, come accaduto nel passato, l’accanimento verso che meno conta, a partire da donne e bambini in condizione di emarginazione sociale e povertà estrema, diventa ancora una volta la formula adottata per strappare facile consenso. Il nostro auspicio è che la battaglia per i diritti delle 28 famiglie non ci veda in condizione di solitudine e per questo ci attendiamo una chiara e ferma presa di posizione in primis da parte delle organizzazioni coinvolte nel percorso del superamento del “villaggio”».

Foto di Davide Giorni
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