LETTERA APERTA ALLA CITTÁ DI ROMA – Salvaguardare la memoria dei baraccati romani. Non dimentichiamo!
Roma, 15 marzo 2024
Vorremmo con la presente aprire una riflessione collettiva, prendendo spunto dagli importanti progetti di riqualificazione del Parco di Centocelle (quadrante est della Capitale), che prevederanno per i prossimi anni, interventi significativi come la riforestazione, la creazione di aree per lo sport, per il tempo libero e nuovi tracciati.
La nostra Associazione è impegnata da molti anni nell’assistenza a coloro che vivono in situazioni di esclusione abitativa, e desideriamo sottolineare l’importanza dell’area oggetto di riqualificazione non solo per la sua bellezza naturale, ma anche per la sua storia umana. Il Parco di Centocelle è stato per decenni uno “spazio di vita” per migliaia di cittadini romani, inclusi coloro che hanno vissuto nelle precarie baracche che un tempo popolavano l’area. Dal dopoguerra fino al 2010, infatti, l’area ha ospitato generazioni di famiglie provenienti dal sud Italia, dai paesi balcanici e dal Maghreb. Queste persone hanno vissuto, lavorato e costruito le loro vite tra le mura delle baracche, contribuendo alla tessitura sociale e culturale della nostra città.
Desideriamo portare alla vostra attenzione un breve excursus storico che sembra essere stato dimenticato dalla memoria collettiva della nostra città.
Nell’immediato dopoguerra le grotte e gli anfratti dell’area erano stati occupati dagli sfollati del conflitto. Un testimone degli anni ’50 racconta: «Lì vicino all’aeroporto c’erano anche delle grotte, occupate dagli sfollati durante la guerra ed ancora abitate. C’era poi un campo di zingari, con i carri tirati dai cavalli e qualche grossa auto americana sgangherata».
Negli anni Sessanta, l’area del parco risultava abitata da gruppi di sottoproletariato di siciliani, napoletani e calabresi – immortalati dai racconti di Pier Paolo Pasolini – e da famiglie di camminanti provenienti da Noto che vivevano in piccole abitazioni in muratura, dedicandosi soprattutto alle attività di arrotino e ombrellaio, ma anche alla vendita di aglio, cipolla, patate e carciofi che, con i loro mezzi (in prevalenza “apette”) trasportano nei mercati rionali.
Nel 1968 giunsero le prime famiglie rom di etnia Khorakhané Cergarija, provenienti dalla Bosnia. Un anno dopo ottennero la residenza presso l’insediamento e, in seguito, la cittadinanza italiana. «Si viveva come povera gente. Andavamo a raccogliere il ferro vecchio. Eravamo gente onesta che lavorava per tirare avanti. Poi, quando veniva l’estate, chiudevamo le baracche e andavamo in giro per l’Italia».
La convivenza tra italiani e rom non si rivelerà mai conflittuale e a metà degli anni Ottanta, oltre ad una piccola comunità di camminanti siciliani, risultavano presenti nell’insediamento le seguenti etnie: Khorakhané Cergarija, provenienti dalla Bosnia, Khorakhané Crna Gora, provenienti dal Montenegro, Rudari, cristiano–ortodossi provenienti da Belgrado, e Khorakhané Cergarija, originari di Vlassenica.
Alla fine del decennio a tutti i cittadini italiani vennero assegnate le case popolari e le loro abitazioni furono distrutte. Utilizzando i pavimenti delle case, oggi ancora visibili, molte famiglie rom realizzarono nuove baracche. Dopo i vari trasferimenti, nell’area si contavano una ventina di famiglie di due etnie: Khorakhané Crna Gora, provenienti dal Montenegro, e Khorakhané Cergarija, provenienti dalla Bosnia. Grazie all’interessamento di un dirigente del Comune di Roma, venne installato il primo allaccio di energia elettrica. Negli anni successivi, pertanto, una ventina di famiglie riuscirà a stipulare un regolare contratto per l’erogazione di elettricità. Nel medesimo periodo la prima famiglia riuscirà ad avere una regolare linea telefonica all’interno della baracca.
Nel 1990 arrivarono da Kosovo e Macedonia alcune famiglie di etnia Khorakhané Shiftarija. In pochi anni raggiungeranno le 200 unità. L’anno successivo il Comune di Roma dispose i primi bagni chimici e alcuni lampioni lungo le strade. L’accesso all’insediamento, denominato Casilino 900, venne allargato e il manto stradale coperto di breccia. I bambini rom iniziarono la frequenza nella scuola dell’obbligo. Il Nucleo Assistenza Emarginati svolse, per conto del Comune di Roma, il primo censimento del campo: vennero registrati 295 abitanti e, per la prima volta, ogni baracca venne numerata con vernice gialla. Resta viva nei ricordi dei testimoni la rottura di una tubatura causata, nel 1996, da una ruspa impegnata nella bonifica dell’area che ne allagò una parte obbligando al momentaneo sgombero le famiglie kosovare e macedoni.
Nel giugno 1999 arrivarono da Kosovo e Macedonia alcune famiglie di etnia Khorakhané Shiftarija in fuga dalla guerra dei Balcani. In pochi anni raggiungeranno le 110 unità.
Nel 2000, 160 uomini di nazionalità marocchina si insediarono nel campo ma il 18 febbraio dell’anno successivo, nelle prime ore della notte, l’area verrà completamente devastato da un incendio. Nel censimento del 2001 verranno registrati 703 abitanti (230 bosniaci, 110 montenegrini, 60 macedoni, 120 jugoslavi, 160 marocchini, famiglie di nazionalità serba, croata e kosovara, qualche polacco, cecoslovacco e italiano). Tale numero resterà invariato nei censimenti svolti negli anni successivi con un decremento nel censimento del 2004 (650 persone) dovuto alla partenza, nel novembre del 2003, dei marocchini ancora rimasti dopo l’incendio del 2001. Nell’insediamento si registrava la presenza di diverse fontanelle, 130 bagni chimici e alcune famiglie predisposero l’acqua all’interno delle abitazioni. Una dozzina di famiglie risultava disporre di regolare allaccio elettrico e del telefono all’interno della propria baracca. Ecco come una donna che viveva nel campo descrive quella che era la sua abitazione: «La nostra baracca era fatta di quattro stanze, un salotto e un bagno con scaldabagno. In una stanza c’era la lavatrice. Avevamo il telefono in casa. Molte baracche erano fatte così».
Negli anni successivi, numerose associazioni sostennero e aiutarono, a vario titolo, le molte famiglie rom in cerca di percorsi di integrazione e di inserimento lavorativo. Con il patrocinio del VII Municipio, il 13 febbraio 2008 giunsero nell’insediamento 50 studenti di diverse nazioni per una giornata di incontro e di festa con gli abitanti dell’area.
Nel periodo compreso tra gennaio e febbraio 2010, in piena “Emergenza Nomadi”, la Giunta presieduta da Gianni Alemanno procedette allo sgombero forzato dell’area, con la ricollocazione nei diversi “villaggi attrezzati” della Capitale delle 620 persone rimaste. L’area si svuoterà definitivamente e negli anni successivi sarà occupata sporadicamente da persone in grave emergenza abitativa.
Alla luce di tale breve narrazione, come Associazione e come cittadini che vivono e amano la città di Roma, riteniamo importante fare in modo che la memoria non venga calpestata e che uno spazio della città che è stato anzitutto uno “spazio di vita”, a volte felice, altre volte drammaticamente sfortunato, sia ricordato con la dignità che merita dall’intera cittadinanza, secondo modalità che in percorso partecipativo si potrebbero individuare. Crediamo che la realizzazione di uno “spazio della memoria” dedicato ai “baraccati” romani all’interno dei progetti di riqualificazione del Parco di Centocelle potrebbe servire come testimonianza tangibile del passato di questa area e delle vite che l’hanno attraversata, rispettando la loro dignità e contribuendo alla comprensione della storia e della diversità della nostra città.
Ci auguriamo che questa proposta riceva il sostegno istituzionale che merita e che sia possibile collaborare per garantire che il Parco di Centocelle non solo rappresenti un’oasi naturale, ma anche un luogo di memoria e riflessione per tutta la comunità.
Associazione 21 Luglio ETS
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