Dai diari Amarò Foro: la "casa del ballo"
Nell’attesa di riprendere – dopo la pausa estiva – i laboratori di musica e break dance con i bimbi del progetto “Amarò Foro“, ecco un nuovo diario che racconta le avventure di bambini e operatori trascorse durante questa prima metà dell’anno appena conclusa.
Era una baracca composta da una manciata di mattoni di cemento e uno strato di lamiera come tetto che copriva un’area di appena quattro metri quadrati. Per entrare, io e Francesco dovemmo abbassare la testa, mentre P. e M. ci accoglievano festanti nella loro “casa del ballo“. Il pavimento era inesistente: lasciavamo le impronte dei piedi su uno strato irregolare di terriccio e ghiaia. “Voi ballate qui?”, domandammo sospettosi ai due ragazzini. “Sì”, rispose P., “Questa casa l’abbiamo costruita noi!”.
Il laboratorio di break dance era iniziato da poche settimane e con l’equipe educativa ci domandavamo se e quale impatto avesse avuto questa attività nella vita di bambini e bambine. P. aveva carattere da vendere ma era discontinuo, M. volenteroso ma fragile. Entrambi, dopo il momento di entusiasmo, vagavano in una zona di indecifrabilità emotiva che rendeva il lavoro di arteducazione molto complesso.
Ma a nostra insaputa, in quello spazio angusto e decentrato, P. e M. avevano iniziato a costruire il proprio mondo. Non importa se riuscissero a ballare agevolmente o che là dentro non ci fosse la musica adatta. Per loro quel mucchio di macerie iniziava ad essere un ambiente di convivialità e creatività, e quel giorno ci avevano invitato a farne parte. E i loro occhi mostravano fierezza. Quella fierezza solare, curiosa, che ti rende orgoglioso di plasmare e condividere il tuo mondo e scoprirne di nuovi.
Tornando a casa pensai che quello che avevo visto era hip-hop. Non erano i quattro passi di break dance che avevo insegnato loro, né l’attitudine cool che assumevano all’interno del cerchio. L’hip-hop era capire che il cerchio rappresentava una metafora della loro casa, che l’attitudine positiva non serviva solo nel ballo ma nella vita di tutti i giorni.
Con Francesco quel giorno abbiamo capito che la danza di strada poteva produrre un reale cambiamento nelle condizioni di vita dei bambini e delle bambine rom e sinti. Partendo dalla costruzione di una piccola baracca all’interno del proprio insediamento, fino a vivere ed esplorare l’intera città come luogo di incontro ed espressione. Trasformando le strade in spazio d’espressione e forse, un giorno, portando un po’ di quella cultura di strada nei palcoscenici.
Giuseppe Gatti
Arteducatore
Associazione 21 luglio