I rom non scelgono di essere apolidi e senza fissa dimora
[tfg_social_share]L’Associazione 21 luglio condanna le affermazioni sui rom contenute in un articolo del Presidente Aggiunto Onorario della Corte di Cassazione Bruno Ferraro pubblicato quest’oggi sul quotidiano Libero. L’articolo – sostiene l’Associazione – offre un’immagine distorta della realtà dei rom nel nostro Paese e alimenta stereotipi e pregiudizi negativi nei confronti di tali comunità.
Nell’articolo, intitolato “Ius soli, Cie e campi rom, quante bugie ci hanno raccontato”, Bruno Ferraro argomenta prima il suo no all’introduzione del principio dello ius soli in Italia e poi ripercorre la questione dell’immigrazione e dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) per gli immigrati.
Cimentandosi con il tema rom, che definisce «un falso problema», Ferraro scrive: «Un autentico rom è soggetto che sceglie di rimanere apolide, senza patria e senza fissa dimora; soprattutto rinunziando per scelta di vita ad un lavoro sedentario».
Queste parole, sostiene l’Associazione 21 luglio, forniscono ancora una volta l’immagine stereotipata e negativa dei rom-nomadi diffondendo così nell’opinione pubblica un’idea sbagliata, e che non corrisponde alle ambizioni, i sogni e i desideri di queste comunità, per cui i rom non vorrebbero vivere una vita pienamente inclusa nella società, assieme al resto dei cittadini.
Anche la Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato, del resto, nel “rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia” del febbraio 2011 aveva affermato chiaramente come il concetto di nomadismo fosse ormai ampiamente superato:
« A differenza di quanto comunemente si crede, la stragrande maggioranza dei Rom, Sinti e Camminanti presenti sul territorio italiano non è nomade e ha anzi uno stile di vita sedentario», si legge nel rapporto.
A conclusione dell’articolo, Bruno Ferraro invita poi i rom a continuare «a fare i rom senza disturbare e senza essere disturbati» affermando che «i campi rom non sono luogo di segregazione ma opportunità che i rom sono liberi di accettare o rifiutare…senza protestare».
Per l’Associazione 21 luglio, che nei mesi scorsi ha lanciato un appello nazionale con raccolta firme per chiedere l’abrogazione delle leggi regionali che istituiscono i “campi nomadi”, i “campi rom” sono invece dei veri e propri ghetti, creati e gestiti dalle istituzioni, dove i diritti dei rom, e in particolare dei minori, vengono sistematicamente violati e che rendono impossibile ogni possibilità di inclusione sociale.
Su questo punto, nel 2012, il Comitato sull’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) si è pronunciato sull’Italia reiterando la preoccupazione che «le popolazioni Rom, Sinti e Caminanti vivano in una situazione di segregazione de facto dal resto della popolazione in campi che spesso mancano delle strutture per soddisfare i bisogni più elementari», sollecitando quindi lo Stato italiano «ad astenersi dal sistemare i rom in campi fuori dalle aree popolate».
I “campi rom” rappresentano una risposta al problema oramai giudicata del tutto anacronistica e condannata anche dalla Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti. Questa infatti afferma: «La politica amministrativa dei “campi nomadi” ha alimentato negli anni il disagio abitativo fino a divenire da conseguenza, essa stessa presupposto e causa della marginalità spaziale e dell’esclusione sociale per coloro che subivano e subiscono una simile modalità abitativa».