Tra i rom vittime dello sgombero forzato
Cristian* ha appena 4 mesi e ha già vissuto sulla sua pelle due sgomberi forzati. Insieme ad altre 38 persone, tra cui bambini e malati, Cristian fa parte dei rom che il 9 luglio scorso sono stati sgomberati da un insediamento informale in zona Val d’Ala, periferia nord-est della Capitale.
Poco prima della mezzanotte di venerdì 11 luglio, tra le braccia della mamma, Cristian è potuto finalmente salire sull’autobus messo a disposizione dal Comune di Roma che avrebbe portato i rom sgomberati in una struttura di accoglienza temporanea. Per Cristian e gli altri rom voleva dire scongiurare il rischio di un’altra notte all’addiaccio.
Si è conclusa così positivamente, dopo tre giorni di trattative intense con le autorità locali di Roma Capitale, la vicenda dello sgombero forzato di Val d’Ala, uno sgombero che Associazione 21 luglio e Amnesty International hanno denunciato pubblicamente perché in violazione dei diritti umani e degli standard internazionali.
Maria*, 23 anni, è una delle giovani donne vittime dello sgombero: «Negli ultimi anni io e la mia famiglia siamo stati sgomberati molte volte, anche a brevissima distanza di tempo. Arriva la polizia, ci distrugge la baracca, ci distrugge la tenda, ci distrugge i materassi. Tutto. E noi restiamo senza nulla, senza avere la minima idea di che fine faremo, proprio come oggi», ha raccontato Maria il giorno dello sgombero del 9 luglio.
«Non sono riuscita neanche a prendere i miei vestiti. Li ho persi per via dello sgombero e ora ho solo quelli che indosso», si è sfogata, allo stesso modo, Anna*, anche lei 23enne.
Subito dopo essere stati allontanati dall’insediamento informale dove vivevano, i rom, nel tentativo di chiedere alle istituzioni romane una soluzione, si sono spostati sotto la sede del Dipartimento alle Politiche Sociali del Comune di Roma, in pieno centro della Capitale. In qui momenti, con loro, c’erano anche gli attivisti di Associazione 21 luglio e Amnesty International che hanno supportato le persone sgomberate anche attraverso la distribuzione di generi alimentari.
Tra i rom, quel giorno, c’era anche Camelia, madre di una delle ragazze allontanate da Val d’Ala. Camelia vive attualmente in una struttura d’accoglienza per soli rom a Roma ma, saputo dello sgombero, si è subito recata sul posto per stare vicino a sua figlia e, soprattutto, ai suoi nipotini di 8 mesi e 2 anni.
Fino a qualche mese fa anche la figlia di Camelia viveva nella stessa struttura d’accoglienza con la madre. Da quel centro, però, è stata allontanata, assieme al marito e ai bambini. «Il motivo? Si è assentata dalla struttura pochi giorni oltre il dovuto. Per questo è stata mandata via e, da un giorno all’altro, si è ritrovata per strada», ci ha spiegato la donna.
Camelia, rumena come tutti i 39 rom sgomberati a Val d’Ala, ha 33 anni e vive in Italia da 10. È madre di quattro figli e anche lei, nella sua vita, ha dovuto affrontare il trauma dello sgombero forzato.
«Ricordo ancora che quando le forze dell’ordine hanno distrutto le nostre case sembrava che non avessero nessuna preoccupazione per noi – ha spiegato la donna mentre si prendeva cura della nipotina appena sgomberata – Poi, a un tratto, hanno trovato dei gattini. E per salvare i gattini si sono prodigati tantissimo. E lo reputo giusto. Ma per me che avevo in braccio mia figlia appena nata nessuno ha mostrato compassione e si è preoccupato di lasciarci senza un tetto sopra la testa».
Camelia ci ha raccontato di aver lasciato la Romania per l’Italia per dare un futuro migliore ai propri figli. «Nel mio Paese non avevamo alcuna possibilità. Vivevamo nella povertà assoluta. Un mio nipotino è morto perché non aveva da mangiare», ci ha raccontato.
«Anche qui a Roma è molto dura e l’unico lavoro che i rom riescono a fare è quello di raccogliere il ferro. Ma io vorrei fare un lavoro normale, come tutti i cittadini italiani. Ma ci sentiamo discriminati e la gente continua a dirci che siamo zingari. Senza darci nessuna possibilità».
* Nome di fantasia