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#IpocrisiaCapitale: Buzzi e il progetto Leroy Merlin a La Barbuta

Era il 1 ottobre 2014. In una conferenza stampa mattutina presso la sede del Cesv, a Roma, e in un convegno pomeridiano tenuto nella sala Rosi dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, l’Associazione 21 luglio presentava il rapporto “Terminal Barbuta”.
Il rapporto, oltre a denunciare le violazioni dei diritti umani nei confronti dei circa 600 rom residenti nel “villaggio attrezzato” La Barbuta – giudicato discriminatorio e segregante da una storica ordinanza del Tribunale Civile di Roma che ha condannato il Comune di Roma solo pochi giorni fa – portava allo scoperto un progetto per la costruzione di un nuovo “campo rom” in zona La Barbuta presentato il 27 gennaio 2014 (in una convocazione congiunta di alcune Commissioni di Roma Capitale presieduta dalla presidente della Commissione Politiche Sociali di Roma Capitale Erica Battaglia), da un’ATI composta dalla multinazionale Leroy Merlin Italia, dalla Comunità Capodarco di Roma e dalla ditta Stradaioli.
Il progetto prevedeva l’abbattimento dell’attuale “campo” La Barbuta, costruito nel 2012 al costo di 10 milioni di euro, per lasciare così spazio alle attività commerciali della multinazionale del bricolage.
In cambio dell’investimento, Leroy Merlin Italia avrebbe ricevuto la concessione gratuita del terreno per 99 anni. La ditta Stradaioli e la Comunità Capodarco di Roma – di quest’ultima è presidente Augusto Battaglia, ex deputato e padre di Erica Battaglia – avrebbero invece ricevuto rispettivamente 11,5 milioni di euro per la costruzione del nuovo “villaggio” e 597.285 euro annui per 15 anni per la gestione dello stesso.
Un progetto che, secondo quanto sta emergendo dalle intercettazioni nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale, avrebbe subito ingolosito il numero uno della cooperativa 29 giugno, ora in carcere, Salvatore Buzzi.
«Ho visto una cosa enorme, sono stato a un incontro con Leroy Merlin», racconta Buzzi al collaboratore Carlo Guarany in data 17 settembre.
«10 milioni sul sociale, sui nomadi o sugli immigrati o sugli asili nido o su quel cazzo che vuoi tu. Sono disposti a fare un’associazione temporanea di imprese. Leroy Merlin, costruttori e noi, che gestiremmo la quota dei 10 milioni», spiega Buzzi al collaboratore Sandro Coltellacci.
Il pomeriggio del 1 ottobre 2014, al convegno dell’Associazione 21 luglio, avrebbe dovuto partecipare anche l’Assessore alle Politiche Sociali di Roma Capitale Rita Cutini, ufficialmente invitata dall’Associazione 21 luglio. Pur svolgendosi il convegno in Assessorato, l’Assessore purtroppo non si presentò.
Dalle intercettazioni, come riporta il quotidiano Il Giornale, emerge che Buzzi avrebbe ricevuto la richiesta da parte dei dirigenti di Leroy Merlin di «stoppare” la partecipazione dell’assessore Cutini a una conferenza stampa di un’associazione contraria al progetto. Secondo quanto riportato dalla stampa, Buzzi avrebbe quindi contattato Mattia Stella, collaboratore del sindaco Ignazio Marino, chiedendogli di fermarla.
«Vedo un attimo di intercettà, tanto quella chi ce parla…Ok, ciao, ciao», dice Stella intercettato.
Poco più di un mese dopo, il 4 novembre 2014, di fronte all’avanzamento del progetto, l’Associazione 21 luglio lanciava una campagna sul web invitando utenti e cittadini a mobilitarsi per convincere Leroy Merlin Italia a fare un passo indietro e a ritirare il progetto.
Leroy Merlin: un campo rom è un ghetto. Non costruirlo!” è il titolo dell’appello che migliaia di cittadini hanno inviato via email ai dirigenti di Leroy Merlin, con in copia il sindaco Ignazio Marino.
A seguito del “mail bombing” e della mobilitazione della società civile, i dirigenti di Leroy Merlin Italia intraprendevano un dialogo sereno e costruttivo con l’Associazione 21 luglio che si concludeva con una nota congiunta nella quale la multinazionale si rendeva disponibile a valutare eventuali modifiche e «realizzare opere di pubblica utilità, nell’ambito di tale progetto, finalizzate, tra l’altro, a cercare soluzioni costruttive ed alternative alla situazione attuale in cui versano i beneficiari finali di tali opere, nel rispetto di tutte le norme di Legge e degli standard internazionali sui Diritti Umani».
Con questa nota l’Associazione 21 luglio concludeva con soddisfazione la propria campagna.
Nella nota congiunta, peraltro, si faceva riferimento a una dichiarazione rilasciata in diretta tv ad Announo da Marino il quale, rispondendo a una domanda precisa della conduttrice Giulia Innocenzi, aveva escluso categoricamente l’ipotesi del nuovo campo.
Dalle intercettazioni pubblicate stamane dalla stampa emerge invece che al sindaco il progetto piaceva «molto, moltissimo…Proprio tanto, tanto».
Di seguito l’intercettazione tra Salvatore Buzzi e Silvia Decina, capo segreteria del sindaco, la quale avrebbe ricevuto da Lionello Cosentino, allora segretario del Pd romano, la documentazione del “Progetto Leroy Merlin” (Secondo quanto emerge dalle intercettazioni Cosentino avrebbe assicurato a Buzzi l’interessamento diretto del sindaco sulla questione).
Buzzi: Pronto
Decina: Salvatore?
B: Sì
D: Salvatore ciao, sono Silvia Decina, il capo segreteria di Ignazio Marino
B: Buongiorno Silvia
D: Ciao
B: Eccomi, buongiorno a te
D: Senti, ti volevo dire questo, che Lionello, mh…
B: Si
D: Mi ha dato tutta la documentazione per Ignazio
B: Sì
D: Sulla questione…Leroy Merlin. Adesso Ignazio l’ha vista e sta facendo convocare una riunione di staff per…te lo volevo dire intanto
B: Ok
D: Ok?
B: Ti ringrazio molto
D: E appena…
B: Gli è piaciuta al sindaco?
D: Molto, moltissimo, appunto…Proprio tanto, tanto…
B: E infatti ho pensato, invece di darlo all’assessore, ho fatto: guarda, ne parlo a lui, infatti
D: Però ha chiesto che la seguissimo noi qui direttamente dal gabinetto, perché se inizia a passare per tutti gli assessorati non ne usciamo vivi con questo
B: Ah, guarda, te ne prego, te ne prego Silvia
D: Eh, no, no, no, per questo ti volevo dire, cioè, ha preferito che la prendessimo noi qui, così almeno velocizziamo il tutto, insomma. Quindi appena adesso io ho novità, ti dico.
Alla luce di tutto ciò, trovano oggi una spiegazione le minacce ricevute dal presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla il 16 luglio 2014 nel corso di una conferenza stampa di presentazione del rapporto “Campi Nomadi s.p.a.”. «Se parli ancora del campo La Barbuta ti mando in coma», le parole rivolte a Stasolla da un “capo” del campo La Barbuta…

«Il Best House Rom va chiuso immediatamente»

«Nel centro di accoglienza “Best House Rom” è in atto una sistematica violazione dei diritti umani. Circa 300 rom, di cui più della metà minori, vivono in una condizione di segregazione abitativa e sociale. La struttura, priva di finestre e punti luce, va chiusa così come vanno superati i “campi rom” attraverso l’individuazione dei percorsi di inclusione sociale previsti dalla Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti in Italia».
Lo affermano, in una nota congiunta, Luigi Manconi e Manuela Serra, della Commissione Diritti Umani del Senato, Carlo Stasolla, dell’Associazione 21 luglio, e il consigliere di Roma Capitale Riccardo Magi, dopo essere tornati oggi al “Best House Rom”, nella periferia est della Capitale.
Alla visita ha preso parte anche l’Assessore alle Politiche Sociali di Roma Capitale Francesca Danese che ha definito il centro «un mostro, una bruttura figlia delle proroghe dietro le quali si è insediato il malaffare».
«In questo edifico, in stanze piccolissime dove vivono anche fino a dodici persone, ammassate, ci sono bambini che non possono vedere la luce del sole perché non esistono finestre – ha detto Francesca Danese -. Il centro, che ha costi altissimi per l’amministrazione comunale, oltre 700 euro al mese a persona e che non possiede i requisiti igienico-sanitari, deve essere chiuso. Mi sto preoccupando di trovare un sistema di accoglienza rispettoso dei diritti delle persone e stiamo effettuando un monitoraggio al riguardo. Entro un paio di mesi conto di sistemare tutto».
Il “Best House Rom” è uno dei quattro centri di raccolta, riservati a soli rom, gestiti dal Comune di Roma. Inaugurato nel 2012 per accogliere le famiglie rom sgomberate dagli insediamenti informali, nel dicembre 2013 è stato ampliato per consentire l’ingresso dei 150 rom sgomberati dall’ex “villaggio attrezzato” di via della Cesarina. Il centro presenta spazi angusti e inadeguati, non ci sono finestre né punti luce per il passaggio dell’aria e della luce naturale all’interno di stanze dove vivono in media cinque persone. Il Comune di Roma ha speso nel 2014 per questa struttura quasi 3 milioni di euro.
Sul “Best House Rom” si era di recente espresso anche il sindaco Ignazio Marino, in una lettera indirizzata a Carlo Stasolla e a Riccardo Magi, che avevano iniziato uno sciopero della fame, impegnandosi «a trovare una soluzione alternativa per le donne, gli uomini e i bambini che oggi vivono in condizioni non dignitose».
«È più che mai urgente – affermano Manconi, Serra, Stasolla e Magi – chiudere al più presto questa struttura e avviare percorsi di inclusione sociale rivolti alle persone che lì vivono. Si tratterebbe del primo, concreto passo verso una nuova politica della città di Roma nei confronti delle comunità rom, private finora di ogni opportunità e segregate nei campi».

Campi nomadi e emergenza: la "nuova" ricetta dell'assessore Cutini

Il nuovo Regolamento per i “campi rom” a Roma proposto dall’Assessore Cutini è contraddittorio, discriminatorio e in molti punti incostituzionale. In più, ancora una volta, si basa su una visione emergenziale, identifica il “campo” come il luogo dell’abitare per i rom e non va in alcun modo nella direzione del superamento di tali ghetti già indicata dal sindaco Marino.
L’Associazione 21 luglio annuncia battaglia per l’immediato ritiro del “Regolamento di Roma Capitale per il funzionamento dei villaggi attrezzati e dei centri di accoglienza […]” in cui risiedono le comunità rom e sinte in emergenza abitativa a Roma, proposto dall’Assessorato al Sostegno Sociale e alla Sussidiarietà del Comune di Roma, e reso pubblico in questi giorni. Il testo si compone di 14 articoli e riguarda non solo gli attuali insediamenti ma si applica «anche nelle nuove aree attrezzate e dotate di unità abitative per le predette comunità, che saranno eventualmente realizzate nel territorio comunale».
Sia i «villaggi» che i centri di accoglienza, si legge, «dovranno rispondere ai requisiti di abitabilità, ricettività, salubrità e sicurezza analogamente a quanto prescritto per altre strutture ricettive pubbliche quali alberghi, campeggi, edifici scolastici, strutture ospedaliere». Gli enti gestori «dovranno certificare preventivamente la sussistenza di tali requisiti, pena la decadenza immediata delle convenzioni».
Secondo gli studi realizzati in passato dall’Associazione 21 luglio i due centri di raccolta di via Visso e via Salaria e tutti i 7 «villaggi della solidarietà» non hanno i requisiti organizzativi e strutturali previsti della normativa in materia: sono tutti in una grave condizione di insanabilità per cui, in base alla norma prevista dal Regolamento, andrebbero tutti chiusi e gli ospiti andrebbero ricollocati in nuove strutture assistenziali a norma.
Le azioni svolte all’interno degli insediamenti, secondo il nuovo Regolamento Cutini, verrebbero programmate da un “Comitato Interdipartimentale” all’interno del quale è escluso il coinvolgimento dei rom. Il Dipartimento Politiche Sociali vigilerebbe sul rispetto del Regolamento procedendo, per esempio, anche all’espulsione delle famiglie «in caso di comprovata evasione scolastica». Tali norme appaiono chiaramente lesive dei diritti fondamentali e con un forte carattere discriminatorio.
Il quarto e il quinto articolo esplicitano il ruolo dell’ente chiamato a presiedere l’insediamento: controllo del rispetto del patto di legalità, controllo degli ingressi sulla base dei dati anagrafici del censimento, registrazione degli ospiti in un data base aggiornato, vigilanza h24. Negli insediamenti viene prevista «l’installazione di strumenti tecnologici finalizzati al rafforzamento dei controlli».
A proposito di ciò, già nel 2009 il TAR del Lazio, esprimendosi in relazione al art. 2.4 del Regolamento Regione Lazio e vigente nel periodo dell'”Emergenza Nomadi”, aveva annullato simili disposizioni regolamentari. In realtà il Regolamento pensato dall’Assessore Cutini va oltre, stabilendo che eventuali visite di ospiti esterni dovrebbero avvenire previa comunicazione e rilascio in «un pass orario».
Sempre il TAR, nella medesima sentenza, aveva stabilito che una disposizione simile viola l’art. 16 della Costituzione secondo cui ogni cittadino può circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, in assenza di limitazioni stabilite dalla legge in via generale.
Malgrado le fallimentari esperienze del passato anche l’attuale Regolamento prevede all’ottavo capitolo l’elezione di 3 rappresentanti rom per ogni insediamento con le medesime modalità elettive attuate dalla passata Amministrazione e rivelatesi inutili oltre che dannose.
Numerose norme del Regolamento si rivelano pertanto fortemente problematiche, discriminatorie e in violazione dei principi costituzionali.
«Dopo un anno e mezzo – commenta l’Associazione 21 luglio – prende finalmente forma la politica dell’Assessore Cutini sulla cosiddetta “questione rom” ponendo al centro il “campo nomadi” come ghetto etnico nel quale concentrare le azioni sicuritarie. Una politica in piena continuità con quella espressa dall’Amministrazione precedente e, per certi versi, ancora più ancorata a principi emergenziali».
«Non a caso – continua l’Associazione 21 luglio – nel Regolamento non compare alcun riferimento alla Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom né al superamento definitivo dei “campi”; di contro, si ipotizza la realizzazione di nuove aree attrezzate».
Secondo l’Associazione 21 luglio tale documento rappresenta un clamoroso passo indietro rispetto alla direzione indicata dal sindaco Marino, che nei giorni scorsi ha parlato di definitivo superamento dei “campi”». Per tale ragione, l’Associazione si batterà per il suo immediato ritiro e chiede al sindaco un intervento deciso e chiarificatore in tal senso.
Foto: Roma Daily News
 
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L’Associazione 21 luglio annuncia battaglia per l’immediato ritiro del “Regolamento di Roma Capitale per il funzionamento dei villaggi attrezzati e dei centri di accoglienza […]” in cui risiedono le comunità rom e sinte in emergenza abitativa a Roma, proposto dall’Assessorato al Sostegno Sociale e alla Sussidiarietà del Comune di Roma, e reso pubblico in questi giorni. Il testo si compone di 14 articoli e riguarda non solo gli attuali insediamenti ma si applica «anche nelle nuove aree attrezzate e dotate di unità abitative per le predette comunità, che saranno eventualmente realizzate nel territorio comunale».
Sia i «villaggi» che i centri di accoglienza, si legge, «dovranno rispondere ai requisiti di abitabilità, ricettività, salubrità e sicurezza analogamente a quanto prescritto per altre strutture ricettive pubbliche quali alberghi, campeggi, edifici scolastici, strutture ospedaliere». Gli enti gestori «dovranno certificare preventivamente la sussistenza di tali requisiti, pena la decadenza immediata delle convenzioni».
Secondo gli studi realizzati in passato dall’Associazione 21 luglio i due centri di raccolta di via Visso e via Salaria e tutti i 7 «villaggi della solidarietà» non hanno i requisiti organizzativi e strutturali previsti della normativa in materia: sono tutti in una grave condizione di insanabilità per cui, in base alla norma prevista dal Regolamento, andrebbero tutti chiusi e gli ospiti andrebbero ricollocati in nuove strutture assistenziali a norma.
Le azioni svolte all’interno degli insediamenti, secondo il nuovo Regolamento Cutini, verrebbero programmate da un “Comitato Interdipartimentale” all’interno del quale è escluso il coinvolgimento dei rom. Il Dipartimento Politiche Sociali vigilerebbe sul rispetto del Regolamento procedendo, per esempio, anche all’espulsione delle famiglie «in caso di comprovata evasione scolastica». Tali norme appaiono chiaramente lesive dei diritti fondamentali e con un forte carattere discriminatorio.
Il quarto e il quinto articolo esplicitano il ruolo dell’ente chiamato a presiedere l’insediamento: controllo del rispetto del patto di legalità, controllo degli ingressi sulla base dei dati anagrafici del censimento, registrazione degli ospiti in un data base aggiornato, vigilanza h24. Negli insediamenti viene prevista «l’installazione di strumenti tecnologici finalizzati al rafforzamento dei controlli».
A proposito di ciò, già nel 2009 il TAR del Lazio, esprimendosi in relazione al art. 2.4 del Regolamento Regione Lazio e vigente nel periodo dell'”Emergenza Nomadi”, aveva annullato simili disposizioni regolamentari. In realtà il Regolamento pensato dall’Assessore Cutini va oltre, stabilendo che eventuali visite di ospiti esterni dovrebbero avvenire previa comunicazione e rilascio in «un pass orario».
Sempre il TAR, nella medesima sentenza, aveva stabilito che una disposizione simile viola l’art. 16 della Costituzione secondo cui ogni cittadino può circolare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, in assenza di limitazioni stabilite dalla legge in via generale.
Malgrado le fallimentari esperienze del passato anche l’attuale Regolamento prevede all’ottavo capitolo l’elezione di 3 rappresentanti rom per ogni insediamento con le medesime modalità elettive attuate dalla passata Amministrazione e rivelatesi inutili oltre che dannose.
Numerose norme del Regolamento si rivelano pertanto fortemente problematiche, discriminatorie e in violazione dei principi costituzionali.
«Dopo un anno e mezzo – commenta l’Associazione 21 luglio – prende finalmente forma la politica dell’Assessore Cutini sulla cosiddetta “questione rom” ponendo al centro il “campo nomadi” come ghetto etnico nel quale concentrare le azioni sicuritarie. Una politica in piena continuità con quella espressa dall’Amministrazione precedente e, per certi versi, ancora più ancorata a principi emergenziali».
«Non a caso – continua l’Associazione 21 luglio – nel Regolamento non compare alcun riferimento alla Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom né al superamento definitivo dei “campi”; di contro, si ipotizza la realizzazione di nuove aree attrezzate».
Secondo l’Associazione 21 luglio tale documento rappresenta un clamoroso passo indietro rispetto alla direzione indicata dal sindaco Marino, che nei giorni scorsi ha parlato di definitivo superamento dei “campi”». Per tale ragione, l’Associazione si batterà per il suo immediato ritiro e chiede al sindaco un intervento deciso e chiarificatore in tal senso.
Foto: Roma Daily News
 
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Battaglia vinta. Leroy Merlin fa un passo indietro sul nuovo campo a La Barbuta

Leroy Merlin rom[tfg_social_share]L’Associazione 21 luglio accoglie con grande soddisfazione la disponibilità di Leroy Merlin a valutare eventuali modifiche – disposte dal Comune di Roma – al progetto che prevede la costruzione di un nuovo campo per soli rom in sostituzione di quello esistente in località “La Barbuta”. La decisione della multinazionale giunge a pochi giorni dall’annuncio del sindaco Ignazio Marino che nel programma tv Anno Uno aveva escluso l’ipotesi del nuovo campo.
In riferimento al progetto, la multinazionale del bricolage ha confermato «la propria disponibilità a realizzare opere di pubblica utilità, nell’ambito di tale progetto, finalizzate, tra l’altro, a cercare soluzioni costruttive ed alternative alla situazione attuale in cui versano i beneficiari finali di tali opere, nel rispetto di tutte le norme di Legge e degli standard internazionali sui Diritti Umani».
La decisione di Leroy Merlin è stata presa in seguito a un dialogo sereno e costruttivo intercorso nelle scorse settimane tra l’Associazione e i dirigenti della multinazionale del bricolage.
L’Associazione 21 luglio considera pertanto chiusa la CampagnaLeroy Merlin: un campo rom è un ghetto. Non costruirlo!” lanciata lo scorso 4 novembre per chiedere alla multinazionale di non sporcarsi la faccia e di non farsi coinvolgere dal Comune di Roma nella costruzione dell’ennesimo ghetto per soli rom nella Capitale.
«Non abbiamo mai avuto dubbi circa la buona fede e i valori incentrati sulla persona che caratterizzano l’azienda Leroy Merlin. Ma avevamo bisogno di mettere in campo tutti gli strumenti a nostra disposizione, compresa una campagna di pressione pubblica, per convincere la multinazionale ad ascoltare la nostra voce e quella delle centinaia di persone che hanno aderito all’azione», afferma l’Associazione 21 luglio.
Con la Campagna, l’Associazione 21 luglio ha voluto mettere al corrente la pubblica opinione circa le violazioni dei diritti umani, soprattutto dei bambini, che la costruzione di un nuovo campo rom a Roma avrebbe comportato. I campi rom – denuncia da tempo l’Associazione 21 luglio – sono un’anomalia tutta italiana, sono luoghi di segregazione su base etnica, che rendono impossibile l’inclusione sociale, e vanno superati, non costruiti ex novo, come del resto scritto nero su bianco nella Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, approvata in sede europea dal Governo italiano nel febbraio 2012.
In seguito alla decisione di Leroy Merlin che «si augura una pronta risoluzione e comunicazione circa la destinazione di tali opere , ovvero la modificazione dell’intervento, che spetta all’autonoma determinazione del Comune stesso» -, la palla, ora, passa al Comune di Roma.
«Chiediamo al Comune – spiega l’Associazione 21 luglio – di accogliere senza alcuna esitazione la disponibilità di Leroy Merlin di valutare possibili modifiche del progetto e di dare seguito alle parole del sindaco Marino che il 20 novembre, in prima serata su La7, ad Anno Uno, aveva categoricamente escluso l’ipotesi di un nuovo campo rom a La Barbuta affermando l’intenzione dell’amministrazione di mettere in pratica un piano per il superamento dei campi».
«Sarebbe davvero grave se il Comune di Roma continuasse a perseguire la politica dei campi nella Capitale – conclude l’Associazione – specialmente in un periodo di forti tensioni sociali alle quali è opportuno rispondere promuovendo interventi di inclusione e mettendo una volta per tutte la parola fine alla segregazione e alla ghettizzazione che finora hanno caratterizzato le politiche nei confronti dei rom».

La visita dei senatori al Best House Rom e la consegna del "conto" al sindaco Marino

rom Commissione Diritti Umani Senato

In Campidoglio, la consegna del “conto” dell’operazione Cesarina


Spostati come “pacchi” dal «villaggio della solidarietà» di via della Cesarina, 120 rom sono stati concentrati un anno fa nel “Best House Rom”, un centro di raccolta rom “fuorilegge” e con un costo pro/capite mensile di 600 euro. Ieri la comunità rom ha ricevuto la visita – organizzata dall’Associazione 21 luglio – di una delegazione della Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei Diritti Umani del Senato.
Il fabbricato, gestito dalla Cooperativa Inopera dietro convenzione dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, è accatastato come locale di deposito e non potrebbe fungere da civile abitazione. Gli spazi destinati agli ospiti sono inadatti e lontani da quanto previsto dalla normativa regionale: ogni nucleo familiare, composto in media da cinque persone, dispone di fatto della sola zona notte, che svolge anche funzioni di zona giorno e studio per i minori, composta da un’unica stanza di circa 12 mq priva di fonte di luce e aria naturale. Ogni ospite, pertanto, ha a disposizione circa 2,5 mq contro i 12 mq indicati dalla Legge Regione Lazio n. 41/2003.
La delegazione della Commissione Diritti Umani del Senato ha potuto verificare come le stanze del “Best House Rom”, oltre a non garantire la metratura sufficiente pro capite, non sono dotate di finestre o punti luce dai quali possa filtrare la luce naturale e l’aria, e ciò espone a grave rischio lo stato di salute psico-fisico degli ospiti. La presenza di numerosi inquinanti, favoriti dalla mancanza di ricambio di aria, unita al clima caldo-umido prodotto dai condizionatori di calore, potrebbero sicuramente contribuire all’aumento dell’incidenza di patologie respiratorie croniche, come l’asma, e all’incremento della loro evoluzione verso forme persistenti, gravi e invalidanti.
La mancanza di luce naturale potrebbe favorire l’insorgere di disturbi della vista. A tutto ciò si aggiungono altre importanti carenze quali: la non completa somministrazione dei pasti unita al divieto di cottura e preparazione di cibo in maniera autonoma, la mancanza di un numero di servizi igienici adeguato al numero degli ospiti, la carenza di adeguati spazi comuni e l’assenza, all’interno delle stanze, di qualsivoglia arredo escluso il letto, elementi, questi, che compromettono ulteriormente la qualità della vita degli ospiti.
«Abbiamo incontrato persone terrorizzate di parlare davanti agli operatori che lavorano nella struttura. Vivono in una situazione di costante ricatto – ha dichiarato la senatrice Manuela Serra – Noi come Commissione Diritti Umani daremo voce a questa gente perché non è ammissibile che nel 2014 a Roma uomini, donne e soprattutto bambini vivano in una ex fabbrica senza finestre».
«Porteremo avanti un’inchiesta per chiarire come il Comune di Roma utilizza realmente queste ingenti risorse economiche con il risultato di far vivere le persone in questo modo», ha concluso Serra.
Le foto della visita al Best House Rom

 
Il “Best House Rom”, finanziato dal Comune di Roma con un costo annuo superiore ai 2.200.000 euro alla luce delle caratteristiche strutturali, organizzative e gestionali suddette, non rispetta pertanto i principi internazionalmente riconosciuti di cui è portatrice anche la Carta Sociale Europea.
Nel “Best House Rom” la delegazione di senatori ha avuto la possibilità di fermarsi a parlare con i rom trasferiti quasi un anno fa da via della Cesarina dall’Assessorato alle Politiche Sociale. L’operazione voluta dall’Assessorato a guida Cutini aveva previsto – nonostante le contrarietà espresse da organizzazioni della società civile e dal Municipio III – lo spostamento dei 130 rom e il rifacimento dell’insediamento. Dopo 11 mesi i lavori non sono ancora iniziati e le spese sono lievitate.
Per tale ragione alcuni rappresentanti dell’Associazione 21 luglio hanno consegnato il “conto” dell’operazione Cesarina – fortemente voluta dall’Assessore Rita Cutini – al sindaco Ignazio Marino. Più di 1 milione di euro spesi per segregare e concentrare 130 rom nel “Best House Rom” senza che alcun lavoro sia stato iniziato.
«Una scelta folle – commenta l’Associazione 21 luglio – che rivela, se ce ne fosse stata la necessità di ulteriore conferma, l’operato di un Assessorato incapace di trattare la “questione rom” secondo i principi espressi nella Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom».
 
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Il fabbricato, gestito dalla Cooperativa Inopera dietro convenzione dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, è accatastato come locale di deposito e non potrebbe fungere da civile abitazione. Gli spazi destinati agli ospiti sono inadatti e lontani da quanto previsto dalla normativa regionale: ogni nucleo familiare, composto in media da cinque persone, dispone di fatto della sola zona notte, che svolge anche funzioni di zona giorno e studio per i minori, composta da un’unica stanza di circa 12 mq priva di fonte di luce e aria naturale. Ogni ospite, pertanto, ha a disposizione circa 2,5 mq contro i 12 mq indicati dalla Legge Regione Lazio n. 41/2003.
La delegazione della Commissione Diritti Umani del Senato ha potuto verificare come le stanze del “Best House Rom”, oltre a non garantire la metratura sufficiente pro capite, non sono dotate di finestre o punti luce dai quali possa filtrare la luce naturale e l’aria, e ciò espone a grave rischio lo stato di salute psico-fisico degli ospiti. La presenza di numerosi inquinanti, favoriti dalla mancanza di ricambio di aria, unita al clima caldo-umido prodotto dai condizionatori di calore, potrebbero sicuramente contribuire all’aumento dell’incidenza di patologie respiratorie croniche, come l’asma, e all’incremento della loro evoluzione verso forme persistenti, gravi e invalidanti.
La mancanza di luce naturale potrebbe favorire l’insorgere di disturbi della vista. A tutto ciò si aggiungono altre importanti carenze quali: la non completa somministrazione dei pasti unita al divieto di cottura e preparazione di cibo in maniera autonoma, la mancanza di un numero di servizi igienici adeguato al numero degli ospiti, la carenza di adeguati spazi comuni e l’assenza, all’interno delle stanze, di qualsivoglia arredo escluso il letto, elementi, questi, che compromettono ulteriormente la qualità della vita degli ospiti.
«Abbiamo incontrato persone terrorizzate di parlare davanti agli operatori che lavorano nella struttura. Vivono in una situazione di costante ricatto – ha dichiarato la senatrice Manuela Serra – Noi come Commissione Diritti Umani daremo voce a questa gente perché non è ammissibile che nel 2014 a Roma uomini, donne e soprattutto bambini vivano in una ex fabbrica senza finestre».
«Porteremo avanti un’inchiesta per chiarire come il Comune di Roma utilizza realmente queste ingenti risorse economiche con il risultato di far vivere le persone in questo modo», ha concluso Serra.
Le foto della visita al Best House Rom

 
Il “Best House Rom”, finanziato dal Comune di Roma con un costo annuo superiore ai 2.200.000 euro alla luce delle caratteristiche strutturali, organizzative e gestionali suddette, non rispetta pertanto i principi internazionalmente riconosciuti di cui è portatrice anche la Carta Sociale Europea.
Nel “Best House Rom” la delegazione di senatori ha avuto la possibilità di fermarsi a parlare con i rom trasferiti quasi un anno fa da via della Cesarina dall’Assessorato alle Politiche Sociale. L’operazione voluta dall’Assessorato a guida Cutini aveva previsto – nonostante le contrarietà espresse da organizzazioni della società civile e dal Municipio III – lo spostamento dei 130 rom e il rifacimento dell’insediamento. Dopo 11 mesi i lavori non sono ancora iniziati e le spese sono lievitate.
Per tale ragione alcuni rappresentanti dell’Associazione 21 luglio hanno consegnato il “conto” dell’operazione Cesarina – fortemente voluta dall’Assessore Rita Cutini – al sindaco Ignazio Marino. Più di 1 milione di euro spesi per segregare e concentrare 130 rom nel “Best House Rom” senza che alcun lavoro sia stato iniziato.
«Una scelta folle – commenta l’Associazione 21 luglio – che rivela, se ce ne fosse stata la necessità di ulteriore conferma, l’operato di un Assessorato incapace di trattare la “questione rom” secondo i principi espressi nella Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom».
 
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Operazione Cesarina: arriva il conto

campo rom marino[tfg_social_share]Operazione Cesarina: l’Associazione 21 luglio oggi ha consegnato al sindaco di Roma Ignazio Marino il “conto” del progetto, – fortemente voluto dall’Assessore alle Politiche Sociali Rita Cutini – di un nuovo “campo” in sostituzione di quello raso al suolo a dicembre 2013. Da allora, l’Amministrazione capitolina ha speso più di un milione di euro per segregare e concentrare i 130 rom sgomberati dal vecchio “villaggio attrezzato” de La Cesarina all’interno del “Best House Rom”, il centro di raccolta rom in via Visso.
Nel frattempo, i lavori per il nuovo “campo” non sono iniziati ma l’Amministrazione ha comunque speso, mese dopo mese, oltre 60 mila euro per l’affitto del terreno sul quale il nuovo progetto si sarebbe dovuto realizzare.
«Una scelta folle – commenta l’Associazione 21 luglio – che rivela, se ci fosse stata la necessità di ulteriore conferma, l’operato di un Assessorato incapace di trattare la “questione rom” secondo i principi espressi nella Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom».
L’Associazione 21 luglio chiede quindi all’Amministrazione capitolina di abbandonare definitivamente il progetto di un nuovo “campo” a La Cesarina e riconvertire le ingenti risorse economiche previste in percorsi di inclusione sociale per le famiglie rom.
Oggi, intanto, l’Associazione 21 luglio accompagnerà alcuni senatori della Commissione per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani del Senato in una visita privata all’interno di alcuni insediamenti rom della Capitale. La visita assume importanza particolare soprattutto alla luce della notizia del rischio di procedura d’infrazione paventato dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia a causa della sua politica segregativa verso le comunità rom e sinte, una politica che continua a essere basata sui “campi”

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Le ruspe abbattono le abitazioni dei rom e illudono gli abitanti di Tor Sapienza

Una ruspa in azione nell'insediamento Salviati II

Una ruspa in azione nell’insediamento Salviati II


[tfg_social_share]L’Associazione 21 luglio esprime profonda preoccupazione riguardo alle operazioni di sgombero nel “campo tollerato” Salviati II, a Tor Sapienza, iniziate il 16 ottobre scorso.
«Operazioni che si ripetono negli anni senza risolvere i problemi – afferma l’Associazione 21 luglio -. Le ruspe abbattono le abitazioni dei rom e illudono gli abitanti di Tor Sapienza. Ma se qualcuno pensa che i rom sgomberati non si adoperino a costruire nuovi insediamenti in altri angoli della città, si sbaglia. L’insediamento va superato, e ciò può essere fatto in maniera definitiva solo attraverso l’attivazione di un piano sociale organico che preveda dialogo e percorsi di inclusione».
L’Associazione 21 luglio ha monitorato sul posto le fasi dell’intervento, ordinato dal Gabinetto del Sindaco, che prevede da una parte l’esecuzione di ordini di espulsione dal “campo”, notificati lo scorso giugno, nei confronti di alcuni nuclei familiari che risulterebbero in possesso di somme di denaro incompatibili, secondo le autorità comunali, con l’assegnazione di un container all’interno del “campo tollerato”; dall’altra la demolizione, in assenza di una notifica preventiva, dei manufatti auto-costruiti dagli stessi abitanti in seguito al naturale ampliamento dei nuclei familiari avvenuto dalla nascita dell’insediamento, nel 1994, ad oggi.
Su quest’ultimo punto, l’Associazione 21 luglio sottolinea come sia concreto il rischio che tale operazione, se effettuata con le modalità e le tempistiche illustrate ai rappresentanti dell’organizzazione presenti sul posto e in assenza dell’offerta di alternative abitative adeguate, possa avere l’esito di privare le persone coinvolte della propria abitazione configurandosi di conseguenza come uno sgombero forzato.
L’abbattimento delle abitazioni senza offrire alternative lascerebbe le persone, e in particolare i minori, in una condizione di estrema vulnerabilità, obbligandole a costruire altrove le proprie abitazioni e ponendole a rischio di ulteriori violazioni dei diritti umani. Per questo l’Associazione 21 luglio raccomanda alle autorità competenti di porre in essere tutte le opportune misure affinché venga scongiurato tale rischio.
L’Associazione 21 luglio ritiene che operazioni come quella in atto in via Salviati, improntate a un approccio sicuritario, siano un indicatore emblematico e un’inevitabile conseguenza dell’attuale assenza di politiche sociali efficaci rivolte alle comunità rom in condizione di emergenza abitativa a Roma. Nonostante i ripetuti riferimenti all’attuazione della Strategia nazionale di inclusione dei rom da parte delle autorità romane, lo stallo attuale dei soggetti incaricati nel predisporre politiche sociali efficaci entro un quadro strategico di breve, medio e lungo periodo, ha comportato nei fatti una totale inazione che si traduce in un quotidiano aggravamento del degrado fisico e relazionale all’interno dei “campi” accompagnato di pari passo dalla comprensibile esasperazione delle tensioni sociali nei quartieri limitrofi.
Tale dinamica genera l’esplosione di conflitti, cui segue l’abdicazione delle politiche sociali in favore di interventi dettati dall’urgenza e improntati esclusivamente alla sicurezza che, come gli ultimi decenni hanno ripetutamente dimostrato, non sono in grado di produrre risultati sostenibili ma esclusivamente soluzioni tampone con uno spostamento del problema.
Alla luce di questo schema che ormai da mesi si ripete nella Capitale e che produce come unico risultato quello di esacerbare le tensioni sociali, l’Associazione 21 luglio auspica una repentina assunzione di responsabilità da parte del sindaco Ignazio Marino che possa velocemente tradursi in un “cambio di marcia” necessario e urgente.
Il conto dell’inazione è sproporzionatamente salato, in termini non solo di occasioni mancate e di ripercussioni sui soggetti più vulnerabili, rom e non rom, ma anche in termini economici: «Vorremmo sentire l’Assessorato alle Politiche Sociali parlare il linguaggio dell’inclusione e invece, al silenzio, segue il fragore delle ruspe – afferma l’Associazione 21 luglio – . A Roma l’emergenza non sono i rom ma un Assessore incapace di pensare risposte sostenibili e di tradurle in azioni adeguate. E’ assurdo e inaccettabile che la Capitale sia ancora priva di un piano sociale che affronti in maniera organica la cosiddetta “questione rom”».

Sgombero rom: la soluzione nella notte

sgombero romDopo tre giorni di trattative con le autorità locali, per i 39 rom coinvolti nello sgombero forzato di Val d’Ala, a Roma, è stata finalmente individuata una soluzione.
Venerdì 11 luglio, poco prima dello scoccare della mezzanotte, i rom, tra cui bambini di pochi mesi e persone affette da gravi patologie, sono stati trasferiti provvisoriamente in una struttura di accoglienza in città, dove risiederanno fino all’individuazione di ulteriori soluzioni.
[tfg_social_share]Si è così scongiurato il rischio, per queste persone, di altre notti all’addiaccio dopo che le loro abitazioni, nella mattinata del 9 luglio, erano state rase al suolo dalle ruspe cittadine.
Dall’inizio dello sgombero, gli attivisti delll’Associazione 21 luglio, insieme ad Amnesty International, hanno costantemente monitorato la situazione e supportato, anche materialmente, i 39 rom ritrovatisi improvvisamente senza tetto.
Con due comunicati stampa congiunti con Amnesty International, il primo il 9 luglio e il secondo l’11 luglio, l’Associazione ha dapprima denunciato le violazioni dei diritti umani e degli standard internazionali perpetrati con lo sgombero forzato e poi rivolto un appello urgente al sindaco  di Roma Ignazio Marino e all’Assessore al Sostegno Sociale e alla Sussidiarietà Rita Cutini al fine di trovare una soluzione immediata per far fronte all’emergenza creata dallo stesso sgombero.
Subito dopo lo sgombero, infatti, le famiglie rom sono state letteralmente abbandonate a loro stesse dalle istituzioni e per sbloccare la situazione si sono rese necessarie ore di trattative con le autorità locali.

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