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CS – Piano rom a Roma: gli insediamenti chiudono e le persone vengono gettate in strada

Piano rom a Roma: gli insediamenti chiudono e le persone vengono gettate in strada. Associazione 21 luglio e Unioni Inquilini: «È questo il modello di inclusione della Giunta Raggi?»
Sono più di 800 i rom che, dalla presentazione del “Piano rom” avvenuta in Campidoglio il 31 maggio 2017, sono passati dagli insediamenti formali della Capitale alla precarietà di un’esistenza condotta in strada. Sabato prossimo altri 20 rom di nazionalità rumena andranno ad ingrossare questo numero passando da una condizione di assistenza presso un centro di accoglienza ad una vita da senza tetto.Beppe Grillo non aveva esitato e definirlo «un capolavoro da applausi» mentre la sindaca Virginia Raggi nel giorno della sua presentazione aveva parlato senza esitazioni di un “Piano rom” «che consente di riportare Roma in Europa perché abbiamo appreso le migliori prassi che hanno funzionato e le portiamo a Roma per superare i campi». In realtà il principale impatto del “Piano rom” si è tradotto in un semplice “travaso” di persone dagli insediamenti formali a quelli informali con un accesso alle abitazioni dell’edilizia residenziale pubblica che appare irrisorio. Per fare solo degli esempi negli ultimi tre anni nel “villaggio” di Lombroso si è passati dalle 227 presenze del 2017 alle attuali 181 (-20%), in quello di Castel Romano da 1.062 presenze alle 542 (-49%), nell’insediamento di Salone il calo è stato del 41% (607 presenze del 2017 contro alle attuali 360) e in quello de La Barbuta dai passati 586 residenti, oggi se ne contano 425 (-27%). Nel caso del Camping River, chiuso nel luglio 2018, la chiusura è di fatto coincisa con l’allontanamento in strada della maggioranza delle famiglie residenti.

In totale sono circa 800 le persone che risultano fuoriuscite “villaggi” con un identico numero di soggetti passati a vivere all’aperto, dentro un camper, un’autovettura o all’interno di alloggi di fortuna sotto cavalcavia, in prossimità di discariche abusive o lungo i marciapiedi di strade periferiche. Sabato prossimo questo numero di andrà gonfiando di altre 20 unità. Si tratta delle famiglie che lo scorso aprile, dopo gli incidenti di Torre Maura, erano state accolte presso il centro di viale della Primavera e che il 26 febbraio 2020 hanno ricevuto l’invito da parte dell’Ufficio Speciale Rom Sinti e Caminanti, a «lasciare le stanze libere da persone e cose improrogabilmente entro la data del 7 marzo 2020».

Emblematica a questo proposito la storia di una famiglia che Associazione 21 luglio e Unione Inquilini seguono da tempo. Il nucleo, composto da 3 adulti e 3 minori, a seguito di ripetuti sgomberi, sotto l’Amministrazione Alemanno è stato collocato nel centro di via Salaria per poi passare sotto la Giunta Marino, in quello di via Amarilli. Con l’avvento dell’Amministrazione Raggi è stato spostato prima nel centro di via Toraldo, poi in quello di Torre Maura e infine in quello di via della Primavera, dal quale dovrà allontanarsi il prossimo 7 marzo senza soluzione alternativa. Per questa famiglia, con i soldi dei contribuenti le tre Amministrazioni hanno consegnato nelle mani di cooperative e associazioni un totale di circa 150.000 euro per progetti di accoglienza e inclusione senza che nulla di concreto sia stato realmente svolto.

Chi ha monitorato questi interventi sostenuti con denaro pubblico? In forza di quale diritto questa Amministrazione si arroga il diritto di mettere per strada un nucleo all’interno dei quali c’è una persona con disabilità del 100% e un’altra con patologie gravi? Che garanzia verrà data alla continuità del percorso scolastico dei tre minori sgomberati? Sono alcune delle tante domande che si pongono Associazione 21 luglio e Unione Inquilini che stanno seguendo la vicenda. E poi: È questo il modello della Giunta Raggi? Svuotare gli insediamenti (campi o centri di accoglienza) per mettere le persone per strada?

Secondo Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio: «Il peccato originale del Piano rom della Giunta Raggi è l’incompetenza di chi lo ha redatto e la scarsa esperienza dell’Ufficio che lo sta implementando. A fronte di ciò l’Amministrazione è arroccata nel mantenere intatto l’impianto del Piano, chiusa ad ogni dialogo, arrogante nelle decisioni assunte». Secondo Silvia Paoluzzi di Unione Inquilini Roma: «Siamo di fronte al fallimento di questa amministrazione. È inaccettabile pensare che a Roma non ci sia alcuna tutela per un nucleo composto da tre minori e una persona con disabilità. Ogni giorno nel silenzio assoluto ben 10 famiglie vengono sfrattate con la forza pubblica. Non c’è alcuna rete di protezione per la precarietà alloggiativa perché mancano politiche abitative strutturali».

Le due organizzazioni, nel domandare la sospensione delle azioni del “Piano rom”, chiedono nello specifico all’Amministrazione Capitolina l’immediata sospensione dell’azione di sgombero del centro di via della Primavera con eventuale ricollocamento delle famiglie in altre strutture di accoglienza dove possa essere intrapreso un reale, sostenibile ed efficace percorso di inclusione.

Il Comune di Roma in dieci mesi supera gli sgomberi degli insediamenti rom registrati nello scorso anno

Ammonta a 35 il numero degli sgomberi forzati che si sono registrati nel Comune di Roma dal 1⁰ gennaio al 30 ottobre 2018. In soli dieci mesi è stato già superato il numero totale di sgomberi avvenuti lo scorso anno pari a 33. Dai dati in possesso di Associazione 21 luglio risultano coinvolte nelle operazioni circa 1.100 persone con una stima approssimativa della presenza di minori che si aggira intorno al 50% del totale. I costi che il Comune ha sostenuto per far fronte a operazioni di questo tipo sono stimati in circa 1milione 500mila euro. Per ottenere informazioni e chiarimenti in merito a procedure e alternative relative alle modalità di sgombero forzato, Associazione 21 luglio ha inviato alle rispettive autorità competenti 101 lettere ma ha ricevuto solo 4 risposte da parte delle pubbliche autorità.

35 SGOMBERI IN DIECI MESI

Il primo sgombero dell’anno è avvenuto il 13 febbraio sui territori del Municipio IV, al civico 781 di via Tiburtina. All’interno dello stesso Municipio sono stati registrati fino ad ora tre sgomberi. Il Municipio con il più alto numero di sgomberi è l’XI dove si sono registrati 7 interventi.
Dei 35 sgomberi forzati, due hanno riguardato immobili occupati (il 13 febbraio in via Tiburtina, 781 e l’8 maggio sul lungotevere Gassman), in un caso si è trattato di un «villaggio attrezzato» (il 26 luglio a Camping River), mentre in un altro si è assistito all’allontanamento delle famiglie da un centro di accoglienza comunale (il 23 luglio presso l’ex Fiera di Roma).
Se, prima dell’insediamento del governo nazionale – nel periodo gennaio/giugno 2018 – il numero medio mensile degli sgomberi si attestava a 2,4, successivamente è quasi raddoppiato, arrivando a 4,6.

I DATI RELATIVI A CIASCUNO SGOMBERO DELLA CAPITALE

Municipio I – 1; Municipio II – 4; Municipio III -3; Municipio IV – 3; Municipio V – 3; Municipio VI – 2; Municipio VII – 3; Municipio VIII – 5; Municipio IX – 1; Municipio X – 1; Municipio XI – 7; Municipio XII – 0; Municipio XIII – 1; Municipio XIV – 0; Municipio XV – 1.

AD OGGI NESSUN INSEDIAMENTO RISULTA SUPERATO

«Nel 2017 gli sgomberi forzati registrati nei confronti delle comunità rom erano stati 33 – commenta Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio -. L’anno precedente ne avevamo segnalati 28. Siamo quindi di fronte ad una preoccupante impennata. Sorprende inoltre constatare come, dopo l’insediamento del Governo Conte, il numero medio mensile sia quasi più che doppio, arrivando quasi a 5 sgomberi forzati al mese. Il Piano rom della Giunta Raggi, presentato 17 mesi fa – continua Stasolla – prevedeva il superamento dei “campi” della Capitale. Ad oggi nessun insediamento risulta superato mentre, in compenso più di 1.000 persone sono state spostate da un punto all’altro della città. La chiusura di Camping River, avvenuta nel luglio scorso, ha portato ad avere oggi più di 100 persone per strada. Soggetti che, dopo l’allontanamento dall’insediamento di via Tiberina, già hanno subito ulteriori sgomberi, tutti registrati in assenza delle garanzie procedurali previste dai Comitati delle Nazioni Unite».

ASSOCIAZIONE 21 LUGLIO CHIEDE UNA REVISIONE DEL “PIANO ROM”

Nel constatare tale grave violazione dei diritti umani, Associazione 21 luglio attende risposte concerete dalle autorità locali e chiede alle stesse una revisione significativa del “Piano rom” che, a fronte di spese elevate, di annunci e promesse, non sta registrando significativi impatti sul territorio comunale.

CERD

Mancano report ufficiali sui Rom: il richiamo del CERD all'Italia

Il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite (CERD) ha inviato, il 17 maggio scorso, una lettera di preoccupazione al Governo Italiano inerente la condizione di rom e sinti in Italia e l’assenza di dati ufficiali relativa a queste popolazioni.
Giunto alla sua 95esima sessione, gli Stati Membri si sono riuniti per discutersi e confrontarsi sui rapporti ombra realizzati nei vari paesi a cui anche Associazione 21 luglio ha collaborato per quanto riguarda la parte relativa alle comunità rom e sinte residenti in Italia.

Le Osservazioni del CERD all’Italia

Le Osservazioni conclusive del CERD si sono sviluppate in una serie di considerazioni inerenti i discorsi e i crimini d’odio, atti razzisti e discriminazione.
Il paragrafo 22 è interamente dedicato alla situazione dei rom e sinti residenti nel nostro paese, per i quali fa notare alle istituzioni italiane una «mancanza di informazioni puntuali e manifesta la sua preoccupazione per: l’assenza di segnalazioni sulla continuità o no degli sgomberi forzati negli insediamenti; le informazioni sufficienti riguardo l’implementazione  della desegregazione abitativa e altre misure concrete messe in atto per assicurare condizioni abitative adeguate per rom, Sinti e Caminanti. La Commissione richiede che gli Stati parte forniscano informazioni dettagliate a riguardo nel prossimo report.»

Il contributo di Associazione 21 luglio

Alla luce di tali considerazioni il lavoro del terzo settore risulta tanto più prezioso, vista l’assenza di reportistica ufficiale su questi argomenti.
Un ulteriore contributo, oltre al rapporto ombra alla cui stesura Associazione 21 luglio ha già collaborato, verrà dato dalla nostra organizzazione con la presentazione di un dettagliato rapporto di monitoraggio su Roma relativo al Piano di superamento dei “campi” presentato un anno fa dal Comune di Roma.
Il report “Il Piano di Carta. Monitoraggio a un anno dal Piano Rom del Comune di Roma” verrà presentato in Campidoglio mercoledì 30 maggio. Qui tutti i dettagli.

Giorno della Memoria: al Senato il ricordo dello sterminio dei rom, a Roma l'ennesimo sgombero

Si stima che tra i caduti per mano del regime nazifascista vi siano tra i 500.000 e 1,5 milioni di rom e sinti. La persecuzione, l’internamento, il confino e lo sterminio di tali comunità, tuttavia, restano ancora una pagina di storia, italiana ed europea, oscurata e dimenticata.
Se ne è parlato quest’oggi, in occasione della Giorno della Memoria, durante il convegno “La deportazione e l’internamento. Storie di donne rom durante il fascismo” organizzato dalla Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e la CILD (Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili) in collaborazione con l’Associazione 21 luglio, presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato.
«Spiace constatare come nel giorno in cui nel mondo si commemorano le tante vittime rom e sinte del nazifascismo, a Roma, nel cuore del Giubileo della Misericordia, le autorità locali abbiano effettuato proprio oggi l’ennesimo sgombero forzato di un insediamento rom nella Capitale: un’azione che calpesta e viola i diritti umani di uomini, donne e bambini», ha affermato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, in riferimento allo sgombero di oggi a Roma, nei pressi della stazione Nomentana.
Lo sterminio di rom e sinti – da alcuni battezzato come “Porrajmos”, (il grande divoramento, in lingua romanès), da altri come “Samudaripen” (tutti morti) – non ha avuto un riconoscimento ufficiale durante i processi di Norimberga del 1945, nonostante fosse richiamato più volte negli atti presentati ai tribunali militari internazionali.
Lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington D.C. riporta che solo nel 1979 il Parlamento Federale della Germania dell’Ovest ha riconosciuto la persecuzione per motivi razziali perpetrata dal regime nazista nei confronti del popolo rom.
Il 15 aprile 2015 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione per istituire la Giornata internazionale per la commemorazione dell’Olocausto dei rom (International Roma Holocaust Memorial Day), da celebrarsi il 2 agosto di ogni anno, in ricordo dei 2.897 rom uccisi nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1944 (Guarda la video testimonianza del sopravvissuto Piero Terracina).
Anche l’Italia, durante il fascismo, ha conosciuto il fenomeno delle persecuzioni e del rastrellamento delle comunità rom e sinte. Tuttavia, nel nostro Paese non è ancora avvenuto un riconoscimento ufficiale per commemorare questo capitolo di storia nazionale. A tal proposito, lo scorso anno, i senatori Luigi Manconi, Manuela Serra, Francesco Palermo e altri membri della Commissione Diritti Umani del Senato, hanno presentato un disegno di legge che prevede di includere il riferimento allo sterminio di rom e sinti nella legge istitutiva del Giorno della Memoria (la legge n.11 del 20 luglio 2000), che si celebra il 27 gennaio di ogni anno.
«Dimenticando la parola “rom” nelle commemorazioni delle vittime si toglie a questa minoranza una parte importante della sua storia – ha detto oggi il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Manconi – In Italia circa 25 mila rom e sinti sono stati internati ai tempi del fascismo e in un momento come quello odierno, in cui i rom sono il bersaglio di una forte ondata di odio, è più che mai opportuno ricordare le persecuzioni di cui sono stati vittime, per restituire loro dignità e riconoscerli come titolari di diritti».
Le persecuzioni di rom e sinti in Italia, ai tempi del fascismo, sono avvenute attraverso quattro tappe temporali, a cominciare dai primi interventi diretti del regime nei confronti degli “zingari” stranieri presenti sul territorio nazionale.
Il 19 febbraio 1926 una circolare del Ministero degli Interni disponeva infatti il respingimento delle carovane in entrata nel territorio nazionale «anche se muniti di regolare passaporto», e di espulsione di quelle già soggiornanti in Italia e di origine straniera. La disposizione verso queste persone veniva ribadita nell’estate successiva e ne veniva sottolineata «la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell’igiene pubblica».
Gli anni tra il 1938 e il 1942 sono stati invece segnati dall’esecuzione di una regolare pulizia etnica alle frontiere. A partire dal gennaio del ’38 venivano raccolte le liste dei nomi delle famiglie rom presenti in Istria e dal mese successivo avvenivano le prime deportazioni verso il confino, dal porto di Civitavecchia verso la Sardegna. Dal 1940 la stessa sorte toccava agli “zingari” intercettati in Trentino Alto Adige.
Dall’11 settembre 1940 il capo della Polizia ordinava un sistematico rastrellamento di tutti i rom «di nazionalità italiana certa o presunta» ancora presenti sul territorio nazionale. In numerose località italiane venivano predisposti diversi luoghi di concentramento: alcuni riservati solo agli “zingari” (Agnone, Boiano, Tossicia, Gonars, Prignano sulla Secchia, Berra); in altri venivano deportati rom e non solo (Vinchiaturo, Isole Tremiti, Casacalenda). Ai rimanenti toccava la reclusione all’interno delle carceri o la fuga sul Monte Maiella.
Nell’ultimo periodo, tra il 1943 e il 1944, veniva attuata la “soluzione finale” attraverso le deportazioni nei campi di sterminio nazisti.
Tra le vittime delle persecuzioni, numerose erano le donne. Le loro storie, e quelle delle loro famiglie, sono state ricordate, nel corso del convegno al Senato, dalle ricercatrici Licia Porcedda (École des hautes études en sciences sociales di Parigi) e Rosa Corbelletto (Università degli Studi di Torino).
In particolare, è stata ricordata la vita di Rosa Raidich durante il periodo dei rastrellamenti, madre di due bambini, che venne inviata al confino in Sardegna nel 1938 all’età di 27 anni. Nel 1943 sarebbe dovuto scadere il periodo di confino, ma – anziché rientrare a casa – a Rosa venne prolungato per altri cinque anni, in quanto «zingara pregiudicata pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica».
Costretta in una terra che non conosceva e dove non era la benvenuta, si ritrovò povera tra gente povera, isolata e con quattro figli da vestire e sfamare (durante la segregazione diede alla luce altri due bambini). Per sopravvivere e dar da mangiare alla sua famiglia, la donna fu costretta a prostituirsi e a chiedere l’elemosina.
Per commemorare le vittime di ieri e tenere alta l’attenzione sulle discriminazioni che ancora oggi colpiscono rom e sinti in Italia, nel corso del convegno è intervenuta anche Ivana Nikolic, giovane attivista rom, da Torino, che ha parlato del Manifesto Primavera Romanì, un documento per un’Italia unita, libera e che abbracci la diversità culturale di cui è composta, redatto da 25 giovani rom, sinti e non rom, italiani e stranieri, tra cui la stessa Ivana. Ivana Nikolic è peraltro stata tra le organizzatrici del flash mob “Attenti a non ripetere”, che si è tenuto a Torino il 24 gennaio scorso, per ricordare tutte le vittime del nazifascismo.
«Il genocidio dei rom – ha detto il presidente della Cild Patrizio Gonnella, in conclusione del convegno – deve essere ricordato sempre e da tutti, altrimenti non saremo mai capaci di costruire una società senza razzismo e violenza».

Rom sgomberati, sit in di solidarietà in Assessorato

 
Giovedì 16 luglio, a partire dalle ore 12 davanti all’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma, in viale Manzoni 16, Associazione 21 luglio e Popica Onlus invitano associazioni e singoli individui a un sit in di solidarietà nei confronti dei 21 rom sgomberati ieri dall’insediamento informale di Val d’Ala e dalle altre famiglie rom a rischio sgombero forzato dai centri di via San Cipirello, via Torre Morena e via Toraldo.
Il sit in, al quale parteciperanno le famiglie rom vittime di tali azioni, si terrà contemporaneamente a un incontro – il terzo in tre giorni – tra le delegazioni di Associazione 21 luglio e Popica Onlus, i portavoce delle comunità rom coinvolte e l’Assessorato alle Politiche Sociali, per chiedere all’Amministrazione una soluzione alternativa adeguata – che l’Amministrazione tarda ad individuare – per le famiglie rimaste all’addiaccio dopo lo sgombero forzato a Val d’Ala, come del resto sancito dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite.
Chi vuole, può dimostrare la propria solidarietà alle famiglie sgomberate – tra cui tre bambini, due donne incinte, anziani e malati – portando beni di prima necessità.
Dall’inizio dell’anno, a Roma, sono stati realizzati 59 sgomberi forzati, contro i 34 dell’intero 2014. Queste azioni, così come vengono realizzate, violano gli standard internazionali in materia di sgomberi, sono dunque illegittimi e violano i diritti umani di uomini donne e bambini.

Torino, sgombero Lungo Stura: lettera al prefetto

In seguito allo sgombero forzato di 26 famiglie rom, lo scorso febbraio, dall’insediamento informale Lungo Stura Lazio a Torino, Associazione 21 luglio, ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e l’Ufficio Pastorale Migranti hanno scritto una lettera congiunta al Prefetto del capoluogo piemontese Paola Basilone per chiedere chiarimenti sulle violazioni di diritti umani che si sarebbero configurate ai danni delle persone rom che vivono nell’area.
Lo sgombero, avvenuto la mattina del 26 febbraio, era già stato duramente condannato dall’Associazione 21 luglio, in quanto realizzato in violazione delle garanzie procedurali previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. Pochi giorni prima dello sgombero, l’Associazione 21 luglio aveva messo al corrente le autorità torinesi sul fatto che, così come pianificato, lo sgombero a Lungo Stura Lazio avrebbe comportato inevitabili violazioni dei diritti umani degli uomini, delle donne e dei bambini coinvolti.
Nei giorni scorsi, sulla vicenda, è intervenuta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale, accogliendo un ricorso di cinque famiglie, ha bloccato fino al 26 marzo il prosieguo delle operazioni di sgombero e ha ordinato al governo italiano di fornire informazioni sulle soluzioni alloggiative alternative offerte alle persone coinvolte dallo sgombero.
Nella lettera al prefetto, Associazione 21 luglio, ASGI e l’Ufficio Pastorale Migranti di Torino hanno chiesto di fatto un confronto sui presupposti legali e sulle modalità operative con le quali lo sgombero è stato realizzato e se siano state pienamente rispettate le garanzie previste dalla normativa internazionale.
Nella missiva vengono inoltre chieste delucidazioni sui criteri attraverso i quali gli abitanti dell’insediamento di Lungo Stura Lazio sono stati selezionati o esclusi dal progetto “La città possibile”, promosso dal Comune di Torino per realizzare percorsi di integrazione e cittadinanza per circa mille persone, nonché sulle forme di assistenza previste per i beneficiari e, soprattutto, se alla fine del progetto le famiglie inserite nei percorsi di accompagnamento sociale continueranno a essere seguite.
«La nostra preoccupazione – scrivono Associazione 21 luglio, ASGI e l’Ufficio Pastorale Migranti – è che allo scadere del progetto queste famiglie possano perdere il diritto all’abitazione e gli sforzi fatti dall’Amministrazione e dalle Associazioni coinvolte per garantire l’uscita dai campi vengano ancora una volta vanificati».

Torino, in corso il maxi sgombero forzato di 200 rom

Da questa mattina è in corso lo sgombero forzato di 51 famiglie rom dal Settore 1 dell’insediamento informale Lungo Stura Lazio a Torino. Per l’Associazione 21 luglio – da alcuni giorni presente sul posto con un osservatore – lo sgombero forzato si configura come un’azione illegale secondo il diritto internazionale e non rispettosa degli standard e delle garanzie procedurali previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite.
L’azione, inoltre, si pone in aperto contrasto con quanto affermato proprio nei giorni scorsi dalla Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (ECRI), che aveva sottolineato come l’Italia stia continuando a realizzare sgomberi senza offrire le necessarie garanzie alle persone interessate.
Le operazioni di sgombero sono iniziate alle ore 7 di stamane e sono condotte da polizia locale e polizia di Stato con l’ausilio della Croce Rossa. Sul posto sono presenti due ruspe meccaniche che dalle ore 9 hanno dato inizio all’abbattimento delle abitazioni. Le operazioni coinvolgeranno nelle prossime ore 199 persone di cittadinanza rumena, pari a 51 nuclei familiari. Tra di loro 5 donne in stato di gravidanza e 62 minori, di cui 16 frequentanti la scuola dell’obbligo e uno la scuola dell’infanzia.
L’insediamento informale Lungo Stura Lazio è presente da diversi anni e al suo interno si sta organizzando il progetto del Comune di Torino denominato “La Città possibile”. L’obiettivo del progetto è realizzare percorsi efficaci di integrazione e di cittadinanza per circa un migliaio di persone rom selezionate, di comune accordo con i servizi della Città di Torino e con la Questura di Torino. Tale progetto include solo i soggetti beneficiari mentre per le famiglie classificate dalle autorità come “non beneficiarie” non è previsto alcun tipo di intervento volto all’inclusione.
Nelle settimane passate, alcuni rappresentanti della Polizia Municipale avevano comunicato verbalmente, in assenza di notifica scritta, l’imminente sgombero alle famiglie residenti non beneficiarie del progetto. Lo sgombero di oggi, oltre a comportare la distruzione delle abitazioni e l’allontanamento delle persone che le abitavano, avrà come conseguenza anche la probabile interruzione scolastica per i minori frequentanti la scuola dell’obbligo.
Lo sgombero, così così come pianificato e realizzato, si pone in violazione delle garanzie procedurali che devono essere rispettate nel condurre gli sgomberi, indicate dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. Il suddetto Comitato stabilisce, tra i vari criteri, la necessità che lo sgombero sia accompagnato da una genuina consultazione con gli interessati e dalla valutazione di possibili alternative allo sgombero e che sia offerta agli interessati la possibilità di fare ricorso legale; che lo sgombero non abbia l’esito di rendere senza tetto le persone coinvolte, né di renderle vulnerabili a ulteriori violazioni di altri diritti umani; che qualora le persone coinvolte non siano in grado di provvedere a se stesse, a queste vengano offerte alternative abitative adeguate.
Il 23 febbraio 2015 l’Associazione 21 luglio – in una lettera inviata alle autorità torinesi – aveva scritto che «in assenza delle suddette garanzie l’operazione di sgombero forzato delle famiglie rom residenti nel Settore 1 dell’insediamento di Lungo Stura Lazio, oltre a comportare di per sé una grave violazione dei diritti umani, avrebbe l’esito non di risolvere l’attuale oggettiva inadeguatezza dell’alloggio, ma di reiterarla altrove esacerbando ulteriormente la condizione di vita e rendendo ulteriormente vulnerabili le famiglie coinvolte».
Nella missiva veniva chiesto un intervento urgente «volto a ricondurre tale operazione di sgombero entro un ambito di legalità, attraverso l’apertura di un dialogo con le famiglie rom coinvolte e attraverso l’identificazione preventiva all’operazione di sgombero dell’offerta di soluzioni abitative alternative adeguate rivolta a coloro che non siano in grado di provvedere a loro stessi».
Malgrado l’appello, nella giornata odierna le autorità locali hanno optato per lo sgombero forzato che, secondo l’Associazione 21 luglio oltre a rappresentare una grave violazione dei diritti umani, costituisce un innegabile passo indietro rispetto ai contenuti espressi all’interno della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti adottata dal governo italiano in attuazione della Comunicazione della Commissione europea n.173/2011.
 

Per l'Europa Italia ancora lontana dal realizzare l'inclusione dei rom

Roma, 25 febbraio 2015 – L’Italia è ancora in ritardo sull’attuazione della Strategia nazionale d’inclusione dei rom e dei sinti e continua a realizzare sgomberi forzati che non rispettano le procedure previste dal diritto internazionale. Lo afferma l’ECRI, la Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa nelle sue conclusioni sull’implementazione delle raccomandazioni al nostro Paese.
Nel suo rapporto sull’Italia pubblicato il 21 febbraio 2012, l’ECRI aveva raccomandato alle autorità italiane di rafforzare il ruolo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni (Unar) e di assicurare a tutti i rom che rischiassero di essere sgomberati dalle proprie abitazioni la piena protezione prevista dal diritto internazionale in materia di sgomberi.
«Lo sgombero deve essere notificato alle persone interessate, le quali devono beneficiare dell’appropriata protezione legale; inoltre esse non devono essere sgomberate senza avere la possibilità di accedere a un’alternativa abitativa adeguata, anche se potrebbero restare nel Paese solo per periodi di tempo limitati», scriveva l’ECRI nel suo rapporto.
A tre anni di distanza, l’ECRI, nelle sue conclusioni sull’implementazione di tali raccomandazioni, sottolinea che gli sviluppi legislativi e politici che si sono registrati in Italia mostrano l’inizio di un cammino positivo, tuttavia, allo stato attuale, il processo di cambiamento del modo in cui le autorità italiane affrontano la questione rom è ancora lento, in particolar modo in relazione agli sgomberi.
Per quanto riguarda l’Unar, l’ECRI specifica che nessuna legislazione è stata attuata per estendere formalmente la competenza dell’Unar ai casi di discriminazione in base al colore, lingua, religione e cittadinanza. Nonostante il numero di Ong e associazioni autorizzate a rappresentare le vittime di discriminazione e di portare in tribunale i casi di discriminazione collettiva sia aumentato, l’Unar non è ancora autorizzato in prima persona ad occuparsi di procedimenti legali nei casi di discriminazione, limitandosi a interventi di “amicus curiae”, conclude l’ECRI.
Sull’attuazione della Strategia nazionale d’inclusione dei rom, l’Italia è ancora in ritardo – scrive l’ECRI – mentre, sul fronte sgomberi, la Commissione afferma che «gli sgomberi di rom e sinti sono continuati nel 2012 e nel 2013 e, più recentemente, nel luglio 2014», come dimostra il caso di uno sgombero forzato avvenuto a Roma il 9 luglio scorso e denunciato congiuntamente da Associazione 21 luglio e Amnesty International.
«Sgomberi – dice l’ECRI – spesso realizzati senza le necessarie tutele procedurali e senza la previsione di alternative abitative».
L’Associazione 21 luglio, che ha contribuito al monitoraggio dell’ECRI, condivide l’analisi dell’organo della Commissione del Consiglio d’Europa e ribadisce il forte ritardo dell’Italia nel dar seguito agli impegni presi in sede europea nel 2012 con l’adozione della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom.
L’Associazione 21 luglio esprime inoltre profonda preoccupazione per la pratica degli sgomberi forzati che continuano a registrarsi nel nostro Paese anche nel 2015. Solo nella città di Milano, per esempio, nel 2014 sono stati perpetrati più di 200 sgomberi forzati.
«A Torino – afferma l’Associazione 21 luglio – proprio in queste ore 51 famiglie rom presenti nell’insediamento informale Lungo Stura Lazio sono sotto minaccia di sgombero forzato da parte delle autorità locali. Vista l’assenza di adeguate consultazioni, di notifica scritta e in assenza di possibilità di vie di ricorso, tale sgombero si configurerebbe ancora una volta non conforme alle procedure previste dal diritto internazionale».
 

Le ruspe abbattono le abitazioni dei rom e illudono gli abitanti di Tor Sapienza

Una ruspa in azione nell'insediamento Salviati II

Una ruspa in azione nell’insediamento Salviati II


[tfg_social_share]L’Associazione 21 luglio esprime profonda preoccupazione riguardo alle operazioni di sgombero nel “campo tollerato” Salviati II, a Tor Sapienza, iniziate il 16 ottobre scorso.
«Operazioni che si ripetono negli anni senza risolvere i problemi – afferma l’Associazione 21 luglio -. Le ruspe abbattono le abitazioni dei rom e illudono gli abitanti di Tor Sapienza. Ma se qualcuno pensa che i rom sgomberati non si adoperino a costruire nuovi insediamenti in altri angoli della città, si sbaglia. L’insediamento va superato, e ciò può essere fatto in maniera definitiva solo attraverso l’attivazione di un piano sociale organico che preveda dialogo e percorsi di inclusione».
L’Associazione 21 luglio ha monitorato sul posto le fasi dell’intervento, ordinato dal Gabinetto del Sindaco, che prevede da una parte l’esecuzione di ordini di espulsione dal “campo”, notificati lo scorso giugno, nei confronti di alcuni nuclei familiari che risulterebbero in possesso di somme di denaro incompatibili, secondo le autorità comunali, con l’assegnazione di un container all’interno del “campo tollerato”; dall’altra la demolizione, in assenza di una notifica preventiva, dei manufatti auto-costruiti dagli stessi abitanti in seguito al naturale ampliamento dei nuclei familiari avvenuto dalla nascita dell’insediamento, nel 1994, ad oggi.
Su quest’ultimo punto, l’Associazione 21 luglio sottolinea come sia concreto il rischio che tale operazione, se effettuata con le modalità e le tempistiche illustrate ai rappresentanti dell’organizzazione presenti sul posto e in assenza dell’offerta di alternative abitative adeguate, possa avere l’esito di privare le persone coinvolte della propria abitazione configurandosi di conseguenza come uno sgombero forzato.
L’abbattimento delle abitazioni senza offrire alternative lascerebbe le persone, e in particolare i minori, in una condizione di estrema vulnerabilità, obbligandole a costruire altrove le proprie abitazioni e ponendole a rischio di ulteriori violazioni dei diritti umani. Per questo l’Associazione 21 luglio raccomanda alle autorità competenti di porre in essere tutte le opportune misure affinché venga scongiurato tale rischio.
L’Associazione 21 luglio ritiene che operazioni come quella in atto in via Salviati, improntate a un approccio sicuritario, siano un indicatore emblematico e un’inevitabile conseguenza dell’attuale assenza di politiche sociali efficaci rivolte alle comunità rom in condizione di emergenza abitativa a Roma. Nonostante i ripetuti riferimenti all’attuazione della Strategia nazionale di inclusione dei rom da parte delle autorità romane, lo stallo attuale dei soggetti incaricati nel predisporre politiche sociali efficaci entro un quadro strategico di breve, medio e lungo periodo, ha comportato nei fatti una totale inazione che si traduce in un quotidiano aggravamento del degrado fisico e relazionale all’interno dei “campi” accompagnato di pari passo dalla comprensibile esasperazione delle tensioni sociali nei quartieri limitrofi.
Tale dinamica genera l’esplosione di conflitti, cui segue l’abdicazione delle politiche sociali in favore di interventi dettati dall’urgenza e improntati esclusivamente alla sicurezza che, come gli ultimi decenni hanno ripetutamente dimostrato, non sono in grado di produrre risultati sostenibili ma esclusivamente soluzioni tampone con uno spostamento del problema.
Alla luce di questo schema che ormai da mesi si ripete nella Capitale e che produce come unico risultato quello di esacerbare le tensioni sociali, l’Associazione 21 luglio auspica una repentina assunzione di responsabilità da parte del sindaco Ignazio Marino che possa velocemente tradursi in un “cambio di marcia” necessario e urgente.
Il conto dell’inazione è sproporzionatamente salato, in termini non solo di occasioni mancate e di ripercussioni sui soggetti più vulnerabili, rom e non rom, ma anche in termini economici: «Vorremmo sentire l’Assessorato alle Politiche Sociali parlare il linguaggio dell’inclusione e invece, al silenzio, segue il fragore delle ruspe – afferma l’Associazione 21 luglio – . A Roma l’emergenza non sono i rom ma un Assessore incapace di pensare risposte sostenibili e di tradurle in azioni adeguate. E’ assurdo e inaccettabile che la Capitale sia ancora priva di un piano sociale che affronti in maniera organica la cosiddetta “questione rom”».

Tra i rom vittime dello sgombero forzato

Cristian* ha appena 4 mesi e ha già vissuto sulla sua pelle due sgomberi forzati. Insieme ad altre 38 persone, tra cui bambini e malati, Cristian fa parte dei rom che il 9 luglio scorso sono stati sgomberati da un insediamento informale in zona Val d’Ala, periferia nord-est della Capitale.
Poco prima della mezzanotte di venerdì 11 luglio, tra le braccia della mamma, Cristian è potuto finalmente salire sull’autobus messo a disposizione dal Comune di Roma che avrebbe portato i rom sgomberati in una struttura di accoglienza temporanea. Per Cristian e gli altri rom voleva dire scongiurare il rischio di un’altra notte all’addiaccio.
Si è conclusa così positivamente, dopo tre giorni di trattative intense con le autorità locali di Roma Capitale, la vicenda dello sgombero forzato di Val d’Ala, uno sgombero che Associazione 21 luglio e Amnesty International hanno denunciato pubblicamente perché in violazione dei diritti umani e degli standard internazionali.
Maria*, 23 anni, è una delle giovani donne vittime dello sgombero: «Negli ultimi anni io e la mia famiglia siamo stati sgomberati molte volte, anche a brevissima distanza di tempo. Arriva la polizia, ci distrugge la baracca, ci distrugge la tenda, ci distrugge i materassi. Tutto. E noi restiamo senza nulla, senza avere la minima idea di che fine faremo, proprio come oggi», ha raccontato Maria il giorno dello sgombero del 9 luglio.
«Non sono riuscita neanche a prendere i miei vestiti. Li ho persi per via dello sgombero e ora ho solo quelli che indosso», si è sfogata, allo stesso modo, Anna*, anche lei 23enne.
Subito dopo essere stati allontanati dall’insediamento informale dove vivevano, i rom, nel tentativo di chiedere alle istituzioni romane una soluzione, si sono spostati sotto la sede del Dipartimento alle Politiche Sociali del Comune di Roma, in pieno centro della Capitale. In qui momenti, con loro, c’erano anche gli attivisti di Associazione 21 luglio e Amnesty International che hanno supportato le persone sgomberate anche attraverso la distribuzione di generi alimentari.
Tra i rom, quel giorno, c’era anche Camelia, madre di una delle ragazze allontanate da Val d’Ala. Camelia vive attualmente in una struttura d’accoglienza per soli rom a Roma ma, saputo dello sgombero, si è subito recata sul posto per stare vicino a sua figlia e, soprattutto, ai suoi nipotini di 8 mesi e 2 anni.
Fino a qualche mese fa anche la figlia di Camelia viveva nella stessa struttura d’accoglienza con la madre. Da quel centro, però, è stata allontanata, assieme al marito e ai bambini. «Il motivo? Si è assentata dalla struttura pochi giorni oltre il dovuto. Per questo è stata mandata via e, da un giorno all’altro, si è ritrovata per strada», ci ha spiegato la donna.

sgombero rom

Camelia si prende cura della sua nipotina appena sgomberata


Camelia, rumena come tutti i 39 rom sgomberati a Val d’Ala, ha 33 anni e vive in Italia da 10. È madre di quattro figli e anche lei, nella sua vita, ha dovuto affrontare il trauma dello sgombero forzato.
«Ricordo ancora che quando le forze dell’ordine hanno distrutto le nostre case sembrava che non avessero nessuna preoccupazione per noi – ha spiegato la donna mentre si prendeva cura della nipotina appena sgomberata – Poi, a un tratto, hanno trovato dei gattini. E per salvare i gattini si sono prodigati tantissimo. E lo reputo giusto. Ma per me che avevo in braccio mia figlia appena nata nessuno ha mostrato compassione e si è preoccupato di lasciarci senza un tetto sopra la testa».
Camelia ci ha raccontato di aver lasciato la Romania per l’Italia per dare un futuro migliore ai propri figli. «Nel mio Paese non avevamo alcuna possibilità. Vivevamo nella povertà assoluta. Un mio nipotino è morto perché non aveva da mangiare», ci ha raccontato.
«Anche qui a Roma è molto dura e l’unico lavoro che i rom riescono a fare è quello di raccogliere il ferro. Ma io vorrei fare un lavoro normale, come tutti i cittadini italiani. Ma ci sentiamo discriminati e la gente continua a dirci che siamo zingari. Senza darci nessuna possibilità».
* Nome di fantasia

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