Nel centro di raccolta rom di via Salaria, ai margini della società
«Sono arrivata in Italia per dare un futuro migliore a mio figlio, ma non si può vivere in un posto come questo: siamo ammassati gli uni agli altri e ci sentiamo esclusi dal resto della società».
Denisa, 32 anni, rumena, racconta come si vive nel centro di via Salaria, uno dei tre “centri di raccolta” per soli rom presenti oggi a Roma. Lo fa davanti a una delegazione della Commissione Diritti Umani del Senato nel corso di una visita alla struttura organizzata dall’Associazione 21 luglio, alla quale ha partecipato anche il consigliere capitolino Riccardo Magi.
Denisa non ha paura di parlare e spera che la visita della Commissione possa servire a fare luce sulle condizioni di vita dei rom all’interno di centri come quello di via Salaria. «Non tutti avranno il coraggio di raccontarvi le cose come stanno, perché temono poi di essere mandati via. Ma io voglio far valere i miei diritti e quelli delle altre persone accanto a me», spiega la donna, che quest’anno ha partecipato a un corso di formazione per attivisti rom e sinti promosso da Associazione 21 luglio, Amnesty International – sezione italiana e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom.
Nel centro di raccolta di via Salaria, nella periferia nord della Capitale, vivono 385 persone, tra cui 169 minori. Tutti rom, in prevalenza provenienti dalla Romania. La struttura, una ex cartiera classificata come edificio industriale, ospita famiglie rom dal novembre 2009, quando fu utilizzata per dare alloggio a 130 rom sgomberati dal Casilino 700; successivamente è stata ampliata e ha continuato ad accogliere le famiglie rom vittime dei continui sgomberi forzati in città.
Le condizioni di vita nel centro sono particolarmente precarie: i servizi igienici sono privi di finestre o sistemi di areazione e risulta disponibile un solo bagno per ogni 20 persone, gli spazi dei padiglioni sono suddivisi da divisori mobili per separare le famiglie e ogni nucleo, composto in media da 4-5 persone, dispone di circa dodici metri quadrati di spazio. Inoltre, non vi sono aree coperte per attività collettive o di socializzazione, e agli ospiti non è consentito cucinare all’interno della struttura (i pasti – colazione e cena – sono serviti da un catering esterno e solo dal 2013 sono state allestite delle piccole strutture esterne adibite a cucine di fortuna). A pochi metri, peraltro, da un impianto dell’Ama (Azienda Municipalizzata Ambiente) per il trattamento e la selezione dei rifiuti solidi urbani.
Davanti alla delegazione della Commissione del Senato, i rom di via Salaria hanno potuto esprimere anche gli ultimi motivi del loro malcontento: l’impianto elettrico che non ha funzionato per alcuni giorni e il sistema di riscaldamento che anche al momento della visita non poteva essere spento nonostante le alte temperature registratesi a Roma in questo periodo. Hanno poi raccontato che da alcuni giorni a questa parte sono costretti a firmare la propria presenza quotidiana nella struttura: un fatto del tutto anomalo che va ad aggiungersi all’ impossibilità del ricevere visite di amici e familiari, se non con previa autorizzazione.
Per questa struttura, nel 2014, come emerge dal rapporto “Centri di Raccolta s.p.a.” presentato di recente dall’Associazione 21 luglio, il Comune di Roma ha speso oltre 2 milioni di euro, pari a più di 20 mila euro in un anno a famiglia. Queste risorse, affidate senza bando pubblico al Consorzio Casa della Solidarietà, sono state utilizzate per il 78% per la sola gestione del centro, per il 15,5% per sicurezza e vigilanza, per il 6,5% per i servizi di scolarizzazione, mentre neanche un euro è stato destinato alla messa in atto di percorsi di inclusione sociale volti a favorire la fuoriuscita delle famiglie e la loro indipendenza alloggiativa e lavorativa.
«Come può il Comune spendere così tanti soldi per mantenerci in questo stato, senza darci alcuna possibilità di vivere come tutti gli altri cittadini? – si chiede Camelia, madre di quattro figli, da cinque anni abitante della struttura – Basterebbe che usassero questo denaro per darci una mano a inserirci nella società, a trovare un lavoro normale, a vivere in una casa normale».
Francesco Palermo, senatore della Commissione Diritti Umani, definisce «disumane» le condizioni di vita delle famiglie rom nel centro di via Salaria. «Non si possono chiudere gli occhi e far finta che queste persone siano invisibili e continuino a vivere ai margini della società. Non soltanto bisogna adoperarsi per superare i campi a Roma e in Italia, ma anche agire sul piano culturale perché situazioni del genere non devono essere tollerate e accettate neanche dal resto dei cittadini».
Prima che la visita nella struttura si concluda, Denisa ha il tempo per l’ultima confidenza. «Le maestre di scuola di mio figlio (che ha 9 anni e frequenta la quarta elementare nda) stanno organizzando il camposcuola. Il mio bambino vorrebbe tanto partecipare e anche io lo vorrei, ma mi hanno chiesto la tessera sanitaria. Per avere la tessera sanitaria, però, serve la residenza e anche se viviamo in questa struttura non ci è permesso di avere la residenza qui».