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Rom, «Commissione UE apra procedura d'infrazione contro l'Italia»

Roma, Londra, Budapest, 26 febbraio 2016 – Nel 2011 la Commissione europea, consapevole delle pratiche discriminatorie e della lunga storia di marginalizzazione sofferta dai rom in Europa, aveva adottato una Comunicazione in cui richiedeva agli stati membri di sviluppare strategie nazionali per l’integrazione dei rom, individuando le politiche e le misure concrete da adottare.
Il 28 febbraio 2012, il governo italiano aveva quindi adottato la sua Strategia nazionale per l’inclusione dei rom (da qui in poi, la Strategia) al fine di delineare il piano d’azione delle politiche pubbliche 2012-2020, incentrate su una graduale eliminazione della povertà e dell’esclusione sociale delle comunità rom marginalizzate in quattro settori principali: salute, educazione, lavoro e alloggio.
Purtroppo, nonostante siano trascorsi quattro anni dall’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rimangono seriamente preoccupati a causa della mancanza di progressi fatti dall’Italia.
Ad oggi, infatti, i diritti umani di migliaia di rom continuano a essere limitati, soprattutto nel settore dell’alloggio, visto che campi segregati, discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e sgomberi forzati restano una realtà quotidiana per i rom che vivono nei campi in Italia. È in tale contesto che le tre organizzazioni hanno rivolto un appello alla Commissione europea affinché intraprenda un’azione decisiva contro queste violazioni, che costituiscono un’infrazione della Direttiva che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, attraverso l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia.
Decenni di discriminazione, senza nessuna soluzione in vista
Per decenni, le autorità italiane hanno favorito la segregazione abitativa dei rom e le autorità locali e regionali hanno insistito nel proporre i “campi” come unica soluzione alloggiativa possibile e appropriata per i rom. Nel 2008, con l’introduzione della cosiddetta “Emergenza nomadi”, le autorità italiane si sono concentrate sugli sgomberi forzati delle comunità rom e hanno perseguito politiche che favorivano la segregazione abitativa. Queste politiche discriminatorie sono continuate anche dopo che, nel novembre 2011, il Consiglio di Stato aveva dichiarato l’illegittimità dello stato di emergenza. Successivamente è stata adottata la Strategia, che è stata accolta come una misura volta a superare il precedente approccio emergenziale e a promuovere la protezione dei diritti delle persone appartenenti a una delle comunità più marginalizzate in Europa.
Tuttavia, le speranze suscitate della Strategia sono durate poco. Per anni Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno ampiamente documentato la mancanza di progressi e il persistere, in tutta Italia, delle consuete politiche da parte delle autorità italiane: politiche che hanno impedito ai rom di godere del loro diritto a un alloggio adeguato al pari del resto della popolazione. Ciò contraddice lo spirito e i contenuti della Strategia e gli obblighi, internazionali e regionali, dell’Italia sul piano dei diritti umani, compresa la legislazione europea contro la discriminazione.
La persistente discriminazione dei rom si manifesta in tre modalità principali: segregazione in campi monoetnici, spesso caratterizzati da condizioni abitative sotto gli standard; discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare; sgomberi forzati.
I campi: unica scelta abitativa per i rom
Migliaia di famiglie rom vivono attualmente segregate in campi monoetnici istituiti dalle autorità locali in tutta Italia. Le disposizioni regionali e municipali autorizzano le autorità italiane a costruire e gestire campi per soli rom, spesso situati in aree remote, distanti dai servizi di base e a volte inabitabili, perché, ad esempio, vicino a discariche e a piste di aeroporti. Le condizioni abitative nei campi sono spesso inadeguate, non rispettose degli standard internazionali dei diritti umani e persino delle regolamentazioni nazionali in tema di alloggio. La sistemazione nei campi è offerta dalle autorità solo ai rom, spesso in seguito a sgomberi forzati da insediamenti informali.
Nonostante la Strategia assicuri il “superamento dei campi”, affermando che “l’uscita dal campo come luogo di degrado relazionale e fisico delle famiglie e delle persone di origine rom, e il loro ricollocamento in abitazioni dignitose, sia possibile”, poco è stato fatto dalle autorità a tale fine. Il “Tavolo nazionale sull’alloggio”, stabilito dalla Strategia per affrontare la discriminazione nell’accesso all’alloggio, è ancora lettera morta. Nessun piano nazionale è stato disegnato per il previsto processo di desegregazione dai campi. Al contrario, in alcuni casi le autorità hanno addirittura pianificato e/o avviato la costruzione di nuovi campi.
Proprio recentemente, il 4 febbraio 2016, il comune di Giugliano in Campania, la regione Campania, la prefettura di Napoli e il ministero dell’Interno hanno concordato la costruzione di un nuovo campo, costituito da 44 prefabbricati, per i rom che attualmente vivono nell’insediamento formale di “Masseria del Pozzo”. Il campo di “Masseria del Pozzo” è stato istituito dalle autorità locali nel 2013 – un anno dopo l’approvazione della Strategia – per ospitare le famiglie rom che avevano già subito diversi sgomberi forzati. Le famiglie furono allora autorizzate a costruire le loro baracche in un’area remota, che presentava problemi seri per la sicurezza e la salute, in quanto situata in prossimità di una discarica per rifiuti tossici. Da allora le condizioni abitative del campo sono diventate insostenibili, anche a causa di problemi con le fogne e l’acquedotto. A causa delle precarie e degradanti condizioni strutturali e igieniche del campo, le autorità giudiziarie hanno recentemente ordinato il sequestro dell’area in cui questo è ubicato. In risposta a questa situazione, le autorità stanno pianificando la costruzione di un nuovo campo a pochi chilometri di distanza.
Mentre è chiaro che le famiglie residenti a “Masseria del Pozzo” debbano essere urgentemente ricollocate lontano dal campo, è preoccupante che le stesse autorità che le hanno alloggiate lì in passato, non abbiano previsto un piano per la loro inclusione a lungo termine e stiano ora offrendo, come unica alternativa, la costruzione di un altro campo monoetnico in cui trasferirle. Infatti, se da un lato il Ministero dell’Interno e la Regione Campania hanno già allocato 1,3 milioni di euro per la costruzione dei prefabbricati, non sono state garantite risorse per implementare più ampie misure di integrazione come previsto dal progetto.
Infatti, anche se il progetto si riferisce ad “alloggio adeguato e integrazione delle famiglie rom”, in pratica offre solo la costruzione di un nuovo campo che ospiterà soltanto famiglie rom in 44 unità abitative prefabbricate, per il quale il ministero dell’Interno e la Regione Campania spenderanno 1.3 milioni di euro.
La discriminazione dei rom nell’accesso all’alloggio
La segregazione è spesso aggravata dall’estrema difficoltà riscontrata dai rom nell’accedere ad un alloggio adeguato. A molti rom è stato essenzialmente negato l’accesso a un alloggio regolare e socialmente non segregante, non solo a causa della mancanza di investimenti volti ad accrescere la disponibilità di sistemazioni accessibili in linea con i bisogni della popolazione in generale, ma anche a causa dell’introduzione da parte delle autorità locali di criteri di accesso agli alloggi di edilizia popolare che direttamente o indirettamente discriminano i rom. Di fronte a queste azioni delle autorità locali che prevedono un trattamento differenziato dei rom rispetto ai non rom sulla base della loro origine razziale o etnica, il governo nazionale ha fallito nell’intraprendere azioni contro queste pratiche discriminatorie.
Per esempio a Roma, i rom bisognosi di alloggio sono stati trattati in maniera differenziata sulla base della loro etnicità. Per oltre un decennio, un sistema di alloggio assistito a doppio binario ha condannato migliaia di rom, e solo rom, a vivere in sistemazioni segreganti e inadeguate all’interno di campi sorti nelle periferie della città. Se da un lato c’è una disponibilità molto limitata di alloggi sociali per la popolazione in generale, che lascia migliaia di famiglie bisognose di alloggio in uno stato di abbandono, dall’altro i rom che vivono nei campi sono stati estromessi dall’accesso agli alloggi di edilizia popolare a causa di criteri di allocazione per loro impossibili da soddisfare. Le famiglie rom che hanno mostrato la volontà di accedere ad altre forme di alloggio, piuttosto che essere sostenute nella scelta di lasciare i campi, sono state essenzialmente ostacolate dalle autorità.
Sgomberi forzati dei rom
La Strategia ha riconosciuto come “eccessivo” il ricorso agli sgomberi attuato fino a quel momento e come questa pratica sia stata “sostanzialmente inadeguata” nell’affrontare la situazione alloggiativa dei rom.
Ciò nonostante, l’Italia ha continuato a sgomberare i rom dai campi informali senza le necessarie tutele quali ad esempio la consultazione genuina e un preavviso adeguato, in violazione degli obblighi internazionali e regionali del paese in tema di diritti umani e contrariamente a quanto avviene per altri sgomberi effettuati in Italia. Alle famiglie rom spesso non vengono fornite alternative di alloggio adeguate e sono frequentemente lasciate senza casa o trasferite in campi segregati etnicamente o collocate indefinitamente in centri per l’accoglienza temporanea. In alcuni casi i rom sono sgomberati da insediamenti autorizzati. Questo generalmente avviene quando le autorità decidono di chiudere tali campi senza offrire agli abitanti alternative adeguate, o quando gli abitanti non rispettano i regolamenti dei campi. Molti di questi regolamenti limitano intrinsecamente le libertà delle famiglie rom e non sono applicabili ad altre forme di alloggio.
Da marzo a settembre 2015, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno rilevato che nel comune di Roma il numero di sgomberi forzati di rom è triplicato rispetto all’anno precedente (64 operazioni di sgombero nel 2015 contro le 21 del 2014). Sebbene secondo le stime del dipartimento delle Politiche sociali i rom che vivono nei campi informali sono circa 2300 – 2500 persone, ovvero lo 0.09% della popolazione totale, i 168 sgomberi forzati eseguiti tra il 2013 e il 2015 hanno interessato circa 4000 rom. Alcune di queste persone sono state ripetutamente soggette a sgomberi forzati dai loro insediamenti e i loro alloggi sono stati ripetutamente distrutti.
Il caso della comunità rom di origine rumena residente negli insediamenti informali nell’area del parco di Val D’Ala rappresenta un esempio, sfortunatamente non isolato. Gli abitanti sono stati inizialmente sgomberati il 9 luglio 2014. Il 14 luglio 2015 le autorità locali hanno nuovamente sottoposto a sgombero forzato la comunità dallo stesso luogo e ricollocato parte degli abitanti in un centro di accoglienza per soli rom, al di sotto degli standard abitativi. L’11 febbraio 2016 le famiglie rom sono state nuovamente vittime di uno sgombero forzato, che ha lasciato tutte le persone senza casa in presenza condizioni meteorologiche avverse. Tutti e tre gli sgomberi sono stati effettuati in assenza di un adeguato preavviso scritto e hanno comportato la perdita di beni delle famiglie coinvolte.
Nel 2016 suonerà un campanello d’allarme per le autorità italiane?
A quattro anni dall’adozione della Strategia migliaia di uomini, donne e bambini rom presenti in Italia affrontano costantemente il diniego del loro diritto a un alloggio adeguato. Nonostante persegua giusti obiettivi, compreso un maggiore accesso a una varietà di soluzioni abitative per i rom finalizzate al necessario superamento dei campi monoetnici, la Strategia ha chiaramente fallito nel raggiungerli. Fondamentalmente, la Strategia non sta apportando miglioramenti concreti alla vita delle persone che appartengono a una delle comunità più marginalizzate del paese. Le autorità italiane, che continuano a infrangere i propri impegni e la stessa legislazione europea, hanno bisogno di essere richiamate alle proprie responsabilità.
Per diversi anni, numerose organizzazioni internazionali e nazionali hanno sollevato le loro preoccupazioni riguardo la discriminazione e la segregazione dei rom ad opera delle autorità italiane. Tali organizzazioni si sono inoltre appellate ripetutamente alla Commissione europea affinché adottasse la “procedura d’infrazione” per garantire che l’Italia affrontasse efficacemente queste violazioni dei diritti umani. La segregazione nei campi, la discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e gli sgomberi forzati rappresentano infatti una grave infrazione della Direttiva sull’uguaglianza razziale che proibisce la discriminazione nell’accesso ai servizi, incluso l’alloggio.
In vista dell’anniversario dell’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rivolgono un appello alle autorità italiane affinché pongano fine alla discriminazione di lunga data dei rom nell’accesso a un alloggio adeguato, e alla Commissione europea affinché intensifichi rapidamente il suo coinvolgimento e impieghi i necessari strumenti legali per chiamare l’Italia a rispondere della violazione di diritti garantiti dalla legislazione europea. Dal momento che la Commissione Junker ha conferito grande importanza a un’attuazione uniforme della legislazione europea, le tre organizzazioni sollecitano l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia, considerato che per lungo tempo le sue autorità non hanno fornito risposte adeguate.

L'Ombudsman Ue: «No a fondi Ue per violare i diritti dei rom»

No ai fondi europei utilizzati per finanziare progetti che discriminano i rom in Italia, violandone i diritti umani fondamentali.
È una delle raccomandazioni rivolte dall’Ombudsman, il Mediatore europeo, Emily O’Reilly, alla Commissione Europea relativamente all’implementazione, da parte degli Stati membri, dei cosiddetti programmi di coesione, finanziati con i 350 miliardi di euro dei “Fondi Europei Strutturali e d’Investimento” per il periodo 2014- 2020.
La raccomandazione dell’Ombudsman si riferisce a un progetto del Comune di Napoli per la costruzione di un nuovo insediamento segregante per soli rom ed è stata inclusa tra le otto proposte avanzate alla Commissione in seguito a una richiesta formale di informazioni da parte dell’Ombudsman all’Associazione 21 luglio e al Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC), attraverso la Piattaforma per i Diritti Fondamentali dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
«La Commissione Europea non dovrebbe permettersi di finanziare, con denaro europeo, azioni che non sono in linea con i più alti valori dell’Unione, vale a dire i diritti, le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – ha dichiarato l’Ombudsman Emily O’Reilly in un comunicato stampa -. Tra le questioni riguardanti i diritti fondamentali di cui sono stata messa al corrente nel corso delle mie indagini figura il progetto di un’area segregante per i rom finanziato, come riportato pubblicamente, da fondi Strutturali e d’Investimento. Sono fiduciosa che la Commissione accoglierà le mie proposte in questa prima fase del periodo di finanziamenti 2014-2020».
Rispondendo alla richiesta d’informazioni giunta dall’Ombusdman, l’Associazione 21 luglio e l’ERRC avevano sottolineato il caso di Cupa Perillo, l’insediamento informale che sorge nel quartiere Scampia, a Napoli, dove vivono da circa vent’anni 800 rom, tra cui 300 minori.
Nel 2013 il Comune di Napoli aveva iniziato a lavorare a un progetto per la costruzione di un insediamento segregante temporaneo per soli rom che avrebbe dovuto ospitare 400 degli 800 rom che sarebbero stati sgomberati da Cupa Perillo. Per la realizzazione di tale progetto, il Comune partenopeo avrebbe utilizzato circa 7 milioni di euro provenienti dai fondi europei.
Venuta a conoscenza di tale progetto, una coalizione di organizzazioni della società civile composta da Associazione 21 luglio, ERRC, OsservAzione e Chi Rom e…Chi No ha inviato una serie di lettere di preoccupazione alla Commissione Europea per sottolineare sia il carattere segregante e discriminatorio del progetto che la sua incompatibilità con gli standard minimi previsti dall’edilizia sociale.
In seguito all’azione congiunta delle organizzazioni, il progetto è stato bloccato e il nuovo insediamento segregante per i rom di Cupa Perillo non è stato realizzato.

L'Italia verso procedura infrazione Ue. E scatta la Campagna contro Leroy Merlin

newsletter_B[tfg_social_share]L’Italia, “il Paese dei campi”, rischia una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea per via delle politiche abitative segregative che le autorità italiane continuano ad attuare nei confronti dei rom.
È quanto emerge da una lettera inviata dalla Direzione Generale Giustizia della Commissione Europea al Governo italiano. «La Commissione potrà decidere di avviare una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 258 del TFUE nei confronti dell’Italia inviando una lettera di messa in mora per violazione della direttiva 2000/43/CE», è la conclusione della lettera.
Nella missiva, avente per oggetto: «Richiesta di informazioni aggiuntive riguardo a questioni di alloggio dei rom in Italia ai fini della direttiva 2000/43/CE sull’uguaglianza razziale», la Commissione Europea punta il dito sulla condizione abitativa dei rom nel nostro Paese richiedendo alle autorità italiane informazioni aggiuntive. Nella lettera, la Commissione si sofferma sul “campo” per soli rom in località La Barbuta, a Roma: «I servizi della Commissione – viene comunicato – condividono le preoccupazioni espresse dal Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa circa questo tipo di “alloggio” fornito ai rom in un sito molto remoto e non accessibile, e dotato di recinti e impianti di sorveglianza. Dispositivi di “alloggio” di questo tipo risultano limitare gravemente i diritti fondamentali degli interessati, isolandoli completamente dal mondo circostante e privandoli di adeguate possibilità di occupazione e istruzione».
Malgrado il rischio di una procedura di infrazione paventato dall’Europa, il Comune di Roma sembra voler continuare con una politica che rafforza il “sistema campi” programmandone la progettazione e la costruzione di nuovi. Proprio nel sito La Barbuta, indicato dall’Europa come lesivo dei diritti fondamentali dei rom, potrebbe vedersi realizzata la costruzione di un nuovo “campo” per soli rom che sostituirebbe quello esistente oggi, che verrebbe così abbattuto.
Per la prima volta nel nostro Paese sarebbe una multinazionale, Leroy Merlin Italia, a farsi carico della realizzazione di un “campo rom”, grazie alla costituzione di un’Associazione temporanea di impresa (ATI) alla quale parteciperebbe anche la Comunità di Capodarco di Roma. In cambio dell’investimento, pari a 11,5 milioni di euro, interamente a carico di Leroy Merlin Italia, la multinazionale francese del bricolage riceverebbe dal Comune la concessione gratuita per 99 anni del terreno su cui oggi sorge il campo La Barbuta, per installarci così le proprie attività commerciali (vedi Rapporto “Terminal Barbuta”).
Per scoraggiare la multinazionale del bricolage dal realizzare l’ennesimo ghetto per soli rom nella Capitale, oggi l’Associazione 21 luglio ha lanciato una campagna di mobilitazione pubblica e di pressione nei confronti di Leroy Merlin Italia.
«Leroy Merlin: un campo rom è un ghetto. Non costruirlo!», è l’appello dell’Associazione 21 luglio che invita cittadini e utenti del web a inviare un’email, con un semplice clic dal sito della campagna, direttamente a Leroy Merlin Italia per chiedere alla multinazionale di non sporcarsi la faccia e di non farsi coinvolgere nella creazione dell’ennesimo ghetto per rom a Roma.
«Diffonderemo la campagna anche all’estero, chiederemo alle persone di condividerla sui social media e di unirsi così alla nostra battaglia per dire basta alla creazione di nuovi ghetti per soli rom», afferma l’Associazione 21 luglio.
«I “campi” sono luoghi di sospensione dei diritti umani, che rendono impossibile l’inclusione sociale, che creano disagi al resto della cittadinanza e che alimentano nella pubblica opinione un clima di ostilità verso le comunità rom. L’unica soluzione percorribile è dunque quella di superare i “campi rom”, come prevede la Strategia Nazionale d’Inclusione dei Rom redatta dal governo italiano nel 2012. Convincere Leroy Merlin Italia a ritirare il progetto sarebbe un passo molto importante in questa direzione», conclude l’Associazione 21 luglio.

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