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Rom sotto sgombero. La soluzione? Il ricollocamento in un centro coinvolto in Mafia Capitale

Sgombero forzato di 34 rom in corso a Roma. Il Comune intende sgomberare una struttura d’accoglienza a norma, quella di via San Cipirello, per ricollocare gli uomini, le donne e i bambini rom che attualmente vi vivono nel “centro di raccolta rom” di via Salaria: una struttura non a norma, gestita dal Consorzio Casa della Solidarietà – coinvolto in Mafia Capitale – dove i diritti umani sono sistematicamente violati.
Da questa mattina il personale della sala operativa sociale del Comune di Roma si trova nel centro di via San Cipirello, dove è iniziata una trattativa con i nuclei familiari rom, di origine rumena, che vi risiedono dal marzo 2014, dopo essere stati sgomberati dall’insediamento informale di via Belmonte Castello.
La soluzione alternativa proposta alle famiglie è il loro ricollocamento nel “centro di raccolta” di via Salaria, dove vivono oggi 385 persone in condizioni igienico-sanitarie precarie. La struttura di via Salaria, una ex cartiera che non potrebbe fungere da centro di accoglienza, è gestita dal Consorzio Casa della Solidarietà, ente coinvolto nella seconda tranche dell’inchiesta denominata “Mondo di Mezzo” su Mafia Capitale.
Stessa sorte dovrà toccare, secondo quanto affermato dal personale della sala operativa sociale del Comune, alle famiglie rom che vivono nel centro di assistenza abitativa di via Torre Morena, che dovrebbero essere sgomberate il prossimo 30 giugno. Soltanto pochi giorni fa il Comune di Roma aveva fornito rassicurazioni alle famiglie rom del centro di via San Cipirello che, in caso di sgombero, sarebbe stata loro offerta una soluzione abitativa alternativa adeguata.
«Il “centro di raccolta rom” di via Salaria non rappresenta una soluzione adeguata considerate le gravi violazioni dei diritti umani che in esso occorrono e il coinvolgimento dell’ente gestore nell’inchiesta su Mafia Capitale», affermano Associazione 21 luglio e Popica Onlus, presenti nel centro di via San Cipirello da questa mattina per monitorare la situazione.
Il “centro di raccolta” di via Salaria era stato visitato dalla Commissione Diritti Umani del Senato lo scorso 18 maggio. Il senatore Francesco Palermo aveva definito «disumane» le condizioni di vita delle famiglie nella struttura. «Non si possono chiudere gli occhi e far finta che queste persone siano invisibili e continuino a vivere ai margini della società – aveva detto Francesco Palermo – . Non soltanto bisogna adoperarsi per superare i campi a Roma e in Italia, ma anche agire sul piano culturale perché situazioni del genere non devono essere tollerate e accettate neanche dal resto dei cittadini».

La struttura di via Salaria, nel solo 2014, è costata alle casse comunali oltre 2 milioni di euro: ogni rom ospitato ha un costo di 450 euro al mese, il 93% delle risorse è utilizzato per la gestione e la sicurezza della struttura, il 6,5% per servizi di scolarizzazione mentre nessuna risorsa è dedicata all’inclusione sociale delle famiglie rom e alla loro fuoriuscita da esso. Le risorse, inoltre, sono state affidate dal Comune di Roma al Consorzio Casa della Solidarietà in via diretta, senza che alcun bando pubblico sia stato indetto.
Associazione 21 luglio e Popica Onlus condannano in maniera ferma quanto sta accadendo nel centro di via San Cipirello: «È del tutto inspiegabile che, nonostante la bufera Mafia Capitale, il Comune decida di sgomberare una struttura d’accoglienza a norma per poi inserire le famiglie rom in un centro gestito da un ente coinvolto nell’inchiesta della magistratura in corso, che peraltro prevede l’esborso di cifre astronomiche per il suo mantenimento».
«Lo sgombero forzato del centro di via San Cipirello e la mancanza dell’offerta alle famiglie di una soluzione alternativa adeguata – concludono le due associazioni – denotano, ancora una volta, una grave violazione dei diritti umani in corso nella Capitale e l’assenza di una visione strategica ed efficace, da parte dell’amministrazione, nell’affrontare la situazione delle famiglie rom presenti sul territorio cittadino».
Associazione 21 luglio e Popica Onlus, insieme a una delegazione delle famiglie rom coinvolte nello sgombero forzato, si stanno ora recando, in segno di protesta, sotto l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma.
Aggiornamenti in diretta su Twitter: @Ass21luglio

Nel centro di raccolta rom di via Salaria, ai margini della società

«Sono arrivata in Italia per dare un futuro migliore a mio figlio, ma non si può vivere in un posto come questo: siamo ammassati gli uni agli altri e ci sentiamo esclusi dal resto della società».
Denisa, 32 anni, rumena, racconta come si vive nel centro di via Salaria, uno dei tre “centri di raccolta” per soli rom presenti oggi a Roma. Lo fa davanti a una delegazione della Commissione Diritti Umani del Senato nel corso di una visita alla struttura organizzata dall’Associazione 21 luglio, alla quale ha partecipato anche il consigliere capitolino Riccardo Magi.
Denisa non ha paura di parlare e spera che la visita della Commissione possa servire a fare luce sulle condizioni di vita dei rom all’interno di centri come quello di via Salaria. «Non tutti avranno il coraggio di raccontarvi le cose come stanno, perché temono poi di essere mandati via. Ma io voglio far valere i miei diritti e quelli delle altre persone accanto a me», spiega la donna, che quest’anno ha partecipato a un corso di formazione per attivisti rom e sinti promosso da Associazione 21 luglio, Amnesty International – sezione italiana e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom.
Nel centro di raccolta di via Salaria, nella periferia nord della Capitale, vivono 385 persone, tra cui 169 minori. Tutti rom, in prevalenza provenienti dalla Romania. La struttura, una ex cartiera classificata come edificio industriale, ospita famiglie rom dal novembre 2009, quando fu utilizzata per dare alloggio a 130 rom sgomberati dal Casilino 700; successivamente è stata ampliata e ha continuato ad accogliere le famiglie rom vittime dei continui sgomberi forzati in città.

Le condizioni di vita nel centro sono particolarmente precarie: i servizi igienici sono privi di finestre o sistemi di areazione e risulta disponibile un solo bagno per ogni 20 persone, gli spazi dei padiglioni sono suddivisi da divisori mobili per separare le famiglie e ogni nucleo, composto in media da 4-5 persone, dispone di circa dodici metri quadrati di spazio. Inoltre, non vi sono aree coperte per attività collettive o di socializzazione, e agli ospiti non è consentito cucinare all’interno della struttura (i pasti – colazione e cena – sono serviti da un catering esterno e solo dal 2013 sono state allestite delle piccole strutture esterne adibite a cucine di fortuna). A pochi metri, peraltro, da un impianto dell’Ama (Azienda Municipalizzata Ambiente) per il trattamento e la selezione dei rifiuti solidi urbani.
Davanti alla delegazione della Commissione del Senato, i rom di via Salaria hanno potuto esprimere anche gli ultimi motivi del loro malcontento: l’impianto elettrico che non ha funzionato per alcuni giorni e il sistema di riscaldamento che anche al momento della visita non poteva essere spento nonostante le alte temperature registratesi a Roma in questo periodo. Hanno poi raccontato che da alcuni giorni a questa parte sono costretti a firmare la propria presenza quotidiana nella struttura: un fatto del tutto anomalo che va ad aggiungersi all’ impossibilità del ricevere visite di amici e familiari, se non con previa autorizzazione.
Per questa struttura, nel 2014, come emerge dal rapporto “Centri di Raccolta s.p.a.” presentato di recente dall’Associazione 21 luglio, il Comune di Roma ha speso oltre 2 milioni di euro, pari a più di 20 mila euro in un anno a famiglia. Queste risorse, affidate senza bando pubblico al Consorzio Casa della Solidarietà, sono state utilizzate per il 78% per la sola gestione del centro, per il 15,5% per sicurezza e vigilanza, per il 6,5% per i servizi di scolarizzazione, mentre neanche un euro è stato destinato alla messa in atto di percorsi di inclusione sociale volti a favorire la fuoriuscita delle famiglie e la loro indipendenza alloggiativa e lavorativa.
«Come può il Comune spendere così tanti soldi per mantenerci in questo stato, senza darci alcuna possibilità di vivere come tutti gli altri cittadini? – si chiede Camelia, madre di quattro figli, da cinque anni abitante della struttura – Basterebbe che usassero questo denaro per darci una mano a inserirci nella società, a trovare un lavoro normale, a vivere in una casa normale».
Francesco Palermo, senatore della Commissione Diritti Umani, definisce «disumane» le condizioni di vita delle famiglie rom nel centro di via Salaria. «Non si possono chiudere gli occhi e far finta che queste persone siano invisibili e continuino a vivere ai margini della società. Non soltanto bisogna adoperarsi per superare i campi a Roma e in Italia, ma anche agire sul piano culturale perché situazioni del genere non devono essere tollerate e accettate neanche dal resto dei cittadini».
Prima che la visita nella struttura si concluda, Denisa ha il tempo per l’ultima confidenza. «Le maestre di scuola di mio figlio (che ha 9 anni e frequenta la quarta elementare nda) stanno organizzando il camposcuola. Il mio bambino vorrebbe tanto partecipare e anche io lo vorrei, ma mi hanno chiesto la tessera sanitaria. Per avere la tessera sanitaria, però, serve la residenza e anche se viviamo in questa struttura non ci è permesso di avere la residenza qui».

 

L'Associazione 21 luglio presenta il rapporto "Terminal Barbuta"

Mercoledì 1 ottobre 2014 alle ore 11, presso la sede dei Centri di Servizio per il Volontariato del Lazio Cesv e Spes – via Liberiana 17, Roma – l’Associazione 21 luglio presenta “Terminal Barbuta“, il nuovo rapporto che fa luce sul «villaggio della solidarietà» La Barbuta, uno degli insediamenti formali più controversi della Capitale.
La ricerca ripercorre la storia, il presente e le prospettive future del “campo”, situato all’estrema periferia sud-orientale di Roma, e mostra come sulle vite dei 580 rom residenti si addensino anni di politiche discriminatorie e come queste ultime, oltre a compromettere le fruizione di alcuni diritti umani, pongano i rom stessi in una condizione di svantaggio e di malessere.
Nato come “campo tollerato” sotto l’Amministrazione di centro-sinistra presieduta da Rutelli (1993 – 2001), l’insediamento prosegue la sua esistenza negli anni successivi fino a che non viene trasformato in «villaggio della solidarietà» sotto l’Amministrazione di centro-destra presieduta dal sindaco Gianni Alemanno (2008 – 2013) mentre oggi, sotto l’Amministrazione di centro-sinistra presieduta da Ignazio Marino, si discute la possibilità, sempre più concreta, di spostarne nuovamente i residenti presso un insediamento da costruire ex novo, chiudendo così il «villaggio della solidarietà» inaugurato nel 2012 e costato all’Amministrazione locale diversi milioni di euro.
Tale progetto, che dovrebbe riguardare 400 dei 580 rom attualmente residenti nel «villaggio della solidarietà» La Barbuta, non è mai sino ad ora stato divulgato e sarà presentato nel corso della conferenza stampa.
Il progetto rappresenta un’assoluta novità visto che per la prima volta in Italia l’onere per la progettazione, la costruzione e la gestione di un nuovo mega insediamento monoetnico dovrebbe essere interamente a carico di un ente privato, Leroy Merlin Italia.
Il rapporto “Terminal Barbuta” sarà inoltre presentato nel corso della stessa giornata – a partire dalle ore 16 presso la sala Rosi dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, in viale Manzoni 16 – all’interno del convegno “Superare i ‘campi’ per soli rom a Roma: una sfida vicina“.
Interverranno al convegno anche alcuni rappresentanti delle istituzioni: il consigliere capitolino Riccardo Magi, il senatore della Commissione Diritti Umani del Senato Francesco Palermo, il presidente della Commissione Politiche Sociali di Roma Capitale Erica Battaglia. L’Assessore al Sostegno Sociale e alla Sussidiarietà di Roma Capitale Rita Cutini è stata invitata.

LEGGI IL PROGRAMMA COMPLETO DEL CONVEGNO

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Danilo Giannese
Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa
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