Giornata Mondiale della Giustizia Sociale – dialogo con Padre Alex Zanotelli
Il 20 febbraio ricorre la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 per sottolineare l’importanza dell’equità nel mondo. Un concetto che significa “pari condizioni tra i ceti sociali e i popoli di accedere all’istruzione, ai servizi e al soddisfacimento dei bisogni primari per l’uomo: abitazioni e alimentazione dignitose.”
Celebriamo questa giornata riportando un dialogo con Padre Alex Zanotelli proprio su questi temi.
Quali sono i presupposti necessari per parlare di “giustizia sociale”?
Il mio punto di partenza su questa tema ha una doppia prospettiva: la prima, fondamentale, da dove leggi la realtà. Se tu la leggi dal cuore di Roma la vedi in un modo, se sei a Tor Bella Monaca è tutto un altro discorso. Ciascuno di noi è profondamente influenzato dal luogo in sui si colloca, si leggono in un’altra maniera le cose.
Per me un altro aspetto fondamentale, oltre alla posizione, è il mio bagaglio. Credo in un Dio che è il Dio degli ultimi e non può accettare le ingiustizie, ma “sogna” – è un termine improprio ma rende bene l’idea – un mondo dove tutti, uomini e donne, abbiano davvero la piena possibilità di esprimere meglio che possono i doni che hanno ricevuto. Una società che sia più equa possibile e che accetti i limiti che abbiamo nei confronti del pianeta Terra.
Leggere la realtà dalla parte degli ultimi ti fa capire che il nostro è un mondo profondamente ingiusto e squilibrato. Le statistiche sono incredibili, l’1% della popolazione mondiale possiede più di quanto dispone il restante 99%. Viviamo in un sistema che non distribuisce la ricchezza ma permette che i beni si concentrino nelle mani di pochi. Questa minoranza di persone spende in armi per continuare a concentrare le ricchezze nelle proprie mani e per avere accesso alle risorse. Tutto questo a spese dell’ecosistema. Stiamo distruggendo l’unico spazio vitale di cui disponiamo. La giustizia non è solo un fatto umano ma anche una questione ambientale, non può esistere giustizia sociale senza un’eco-giustizia.
Quali riflessioni suscita la “giustizia sociale” nei confronti di temi come l’accoglienza o la povertà delle baraccopoli?
Non possiamo bloccare l’accoglienza perché queste persone scappano da un inferno che abbiamo contribuito noi a creare. Io ho vissuto dodici anni a Korogocho (Kenia) che è una delle slum più terribili dell’Africa e posso dire che certe situazioni si riescono a comprendere davvero solo nel momento in cui si vivono.
La presenza di queste realtà porta alla luce un problema: questo è un mondo disordinato, dobbiamo trovare un modo perché tutti vivano bene su questo pianeta. Ci vuole una redistribuzione dei beni. L’uomo non ha mai prodotto tanta ricchezza e questa non è mai stata distribuita in maniera tanto diseguale come oggi.
A proposito di disuguaglianze, come considera la condizione dei rom in emergenza abitativa in Italia?
La situazione dei rom è un dramma nel dramma perché vengono trattati come gli ultimi tra gli ultimi, sono stigmatizzati dai pregiudizi della società maggioritaria e sono un argomento scomodo anche per la politica. Le istituzioni non li tengono in considerazione e alcune di queste persone continuano a vivere in condizioni di pesante marginalità.
Ad esempio, non ho mai visto un gruppo umano tanto bistratto come le famiglie rom di Giugliano, sbattute da una parte all’altra e poi relegate in una situazione di precarietà estrema. Non accetto situazioni come queste. A Gianturco c’è un’altra comunità sotto sgombero imminente ma il Comune non ha preparato alcuna soluzione abitativa alternativa. Non si possono sbattere fuori delle persone da una territorio se non si ha una soluzione alternativa, è la legge universale del rispetto degli esseri umani.
Di fronte a queste ingiustizie in che modo le periferie del mondo possono affrontare tali e tante disuguaglianze?
Noi qui stiamo cercando di affrontare queste problematiche con il “Popolo in Cammino”, vogliamo unire tutte le periferie per far pressione sul Governo e sulle amministrazioni. Bisogna essere uniti e battersi per i propri diritti fondamentali. Chiediamo di investire in queste realtà, chiediamo istruzione e lavoro per rispondere i primo luogo all’emergenza che riguarda le nuove generazioni, per dare loro una possibilità. Senti cosa dice il parere del Tribunale di Napoli emesso dal giudice in una sentenza di condanna legata alla paranza dei bambini: «un filo sottile ed esistenziale lega i giovani che ricorrono alle armi nel centro storico di Napoli – per uccidere e farsi uccidere – e i militanti della jihad. Entrambi sono ossessionati dalla morte, forse la amano, probabilmente la cercano. Quasi fosse l’unica chance per dare un senso alla propria vita e vivere in eterno».
Dobbiamo chiedere sicurezza sociale. Mantenere nel degrado bombe sociali come queste è pericoloso per tutti, anche per chi non ne fa parte. Ma tocca agli impoveriti mettersi insieme e chiedere diritti perché se aspetti che ti diano qualcosa dall’alto non arriverà mai niente.