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Mafia, chiude il Best House. A Roma per i campi rom è l'inizio della fine

L’Associazione 21 luglio esprime profonda soddisfazione per la chiusura, nella Capitale, del Best House Rom, la struttura senza finestre, da due anni oggetto di numerose denunce dell’Associazione, dove negli ultimi mesi 135 persone, di cui oltre la metà minori, vivevano in condizioni drammatiche, al di sotto degli standard minimi di tutela dei diritti umani.
«A Roma è iniziato un processo irreversibile: non soltanto dal 2012 si è impedito la costruzione di nuovi “campi rom”, ma si inizia finalmente a mettere i sigilli su questi ghetti e luoghi di discriminazione istituzionale, che rappresentano un’anomalia italiana nel contesto europeo», afferma il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla.
La chiusura del Best House Rom, situato in via Visso, nella periferia est della Capitale, è stata predisposta dal Comune di Roma in seguito a una “interdittiva antimafia” nei confronti della Cooperativa Inopera, l’ente gestore della struttura che nel 2014, come documentato dal rapporto dell’Associazione 21 luglio “Centri di raccolta S.p.a.”, è costata 2,8 milioni di euro, di cui quasi 2,6 milioni affidati senza bando pubblico alla stessa Cooperativa Inopera. Alle famiglie che vivevano nella struttura è stata offerta una sistemazione alternativa da loro giudicata adeguata, come hanno potuto constatare rappresentanti dell’Associazione 21 luglio che in questi giorni hanno seguito la vicenda sul posto.
Nato nel 2012, il Best House Rom si è consolidato tra dicembre 2013 e marzo 2014 in seguito al collocamento nella struttura di 137 persone provenienti dallo smantellamento del “villaggio attrezzato” della Cesarina e di altre 64 sgomberate da alcuni insediamenti informali.
L’Associazione 21 luglio, per prima, ha denunciato le condizioni di vita drammatiche all’interno del centro. Nel report “Senza Luce”, pubblicato a marzo 2014, l’Associazione ha puntato i riflettori sulle condizioni strutturali del Best House Rom, caratterizzato da stanze anguste, prive di finestre e punti di areazione naturale; sulla sua incompatibilità con i requisiti previsti dalla normativa regionale che regola il funzionamento di strutture di accoglienza; e sugli altissimi costi della sua gestione, a fronte di stanziamenti nulli per l’inclusione sociale degli uomini, delle donne e dei bambini rom residenti.
Alle numerose denunce dell’Associazione 21 luglio sul Best House Rom, sono seguite l’apertura di un’istruttoria sul centro da parte dell’Autorità Anticorruzione, dopo un esposto presentato dall’area legale dell’Associazione lo scorso febbraio, e varie visite ispettive con rappresentanti delle istituzioni locali, nazionali e internazionali: con il consigliere di Roma Capitale Riccardo Magi, con la Commissione Diritti Umani del Senato, con il presidente del Comitato Europeo dei Diritti Sociali Luis Quimena Quesada, con una delegazione della Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI).
La chiusura del Best House Rom va così ad aggiungersi a due importanti battaglie che hanno visto, nei mesi scorsi, l’Associazione 21 luglio in prima linea contro la costruzione di due nuovi “campi per soli rom” nella Capitale: il nuovo “villaggio attrezzato” della Cesarina, che nelle intenzioni dell’allora Assessore alle Politiche Sociali Rita Cutini avrebbe dovuto sostituire quello raso al suolo a dicembre 2013, e il nuovo “villaggio attrezzato” La Barbuta, che sarebbe dovuto essere realizzato dalla multinazionale Leroy Merlin in base a un progetto su cui, come emerso dalle intercettazioni su Mafia Capitale, aveva messo gli occhi anche il cosiddetto “ras delle cooperative” Salvatore Buzzi.
Entrambi i progetti furono bloccati in seguito al lancio di due campagne di mail bombing e mobilitazione on line (“#DiscriminareCosta” e “Leroy Merlin, un campo rom è un ghetto: non costruirlo!”) sul sito dell’Associazione 21 luglio. Lo scorso maggio, per di più, era stato il Tribunale di Roma, con una sentenza storica, in seguito a un’azione legale promossa da Associazione 21 luglio e Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, a riconoscere per la prima volta in Italia e in Europa il carattere discriminatorio dei “campi rom”, con specifico riferimento al “villaggio attrezzato” La Barbuta.
«La chiusura del Best House Rom, sebbene non sia stata accompagnata dall’individuazione di soluzioni che favoriscano l’inclusione sociale delle comunità rom, rappresenta comunque un punto di svolta cruciale per Roma: nella Capitale non si costruiscono più nuovi “campi” e si è iniziato a mettere la parola fine ai ghetti esistenti – conclude il presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla -. Oggi è evidentemente cominciato un percorso dal quale non sarà più possibile tornare indietro: il sistema campi va definitivamente superato e l’inclusione sociale dei rom deve far parte dell’agenda politica della nuova Amministrazione che sarà guidata a governare la città».
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Danilo Giannese
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#IpocrisiaCapitale: Buzzi e il progetto Leroy Merlin a La Barbuta

Era il 1 ottobre 2014. In una conferenza stampa mattutina presso la sede del Cesv, a Roma, e in un convegno pomeridiano tenuto nella sala Rosi dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale, l’Associazione 21 luglio presentava il rapporto “Terminal Barbuta”.
Il rapporto, oltre a denunciare le violazioni dei diritti umani nei confronti dei circa 600 rom residenti nel “villaggio attrezzato” La Barbuta – giudicato discriminatorio e segregante da una storica ordinanza del Tribunale Civile di Roma che ha condannato il Comune di Roma solo pochi giorni fa – portava allo scoperto un progetto per la costruzione di un nuovo “campo rom” in zona La Barbuta presentato il 27 gennaio 2014 (in una convocazione congiunta di alcune Commissioni di Roma Capitale presieduta dalla presidente della Commissione Politiche Sociali di Roma Capitale Erica Battaglia), da un’ATI composta dalla multinazionale Leroy Merlin Italia, dalla Comunità Capodarco di Roma e dalla ditta Stradaioli.
Il progetto prevedeva l’abbattimento dell’attuale “campo” La Barbuta, costruito nel 2012 al costo di 10 milioni di euro, per lasciare così spazio alle attività commerciali della multinazionale del bricolage.
In cambio dell’investimento, Leroy Merlin Italia avrebbe ricevuto la concessione gratuita del terreno per 99 anni. La ditta Stradaioli e la Comunità Capodarco di Roma – di quest’ultima è presidente Augusto Battaglia, ex deputato e padre di Erica Battaglia – avrebbero invece ricevuto rispettivamente 11,5 milioni di euro per la costruzione del nuovo “villaggio” e 597.285 euro annui per 15 anni per la gestione dello stesso.
Un progetto che, secondo quanto sta emergendo dalle intercettazioni nell’ambito dell’inchiesta Mafia Capitale, avrebbe subito ingolosito il numero uno della cooperativa 29 giugno, ora in carcere, Salvatore Buzzi.
«Ho visto una cosa enorme, sono stato a un incontro con Leroy Merlin», racconta Buzzi al collaboratore Carlo Guarany in data 17 settembre.
«10 milioni sul sociale, sui nomadi o sugli immigrati o sugli asili nido o su quel cazzo che vuoi tu. Sono disposti a fare un’associazione temporanea di imprese. Leroy Merlin, costruttori e noi, che gestiremmo la quota dei 10 milioni», spiega Buzzi al collaboratore Sandro Coltellacci.
Il pomeriggio del 1 ottobre 2014, al convegno dell’Associazione 21 luglio, avrebbe dovuto partecipare anche l’Assessore alle Politiche Sociali di Roma Capitale Rita Cutini, ufficialmente invitata dall’Associazione 21 luglio. Pur svolgendosi il convegno in Assessorato, l’Assessore purtroppo non si presentò.
Dalle intercettazioni, come riporta il quotidiano Il Giornale, emerge che Buzzi avrebbe ricevuto la richiesta da parte dei dirigenti di Leroy Merlin di «stoppare” la partecipazione dell’assessore Cutini a una conferenza stampa di un’associazione contraria al progetto. Secondo quanto riportato dalla stampa, Buzzi avrebbe quindi contattato Mattia Stella, collaboratore del sindaco Ignazio Marino, chiedendogli di fermarla.
«Vedo un attimo di intercettà, tanto quella chi ce parla…Ok, ciao, ciao», dice Stella intercettato.
Poco più di un mese dopo, il 4 novembre 2014, di fronte all’avanzamento del progetto, l’Associazione 21 luglio lanciava una campagna sul web invitando utenti e cittadini a mobilitarsi per convincere Leroy Merlin Italia a fare un passo indietro e a ritirare il progetto.
Leroy Merlin: un campo rom è un ghetto. Non costruirlo!” è il titolo dell’appello che migliaia di cittadini hanno inviato via email ai dirigenti di Leroy Merlin, con in copia il sindaco Ignazio Marino.
A seguito del “mail bombing” e della mobilitazione della società civile, i dirigenti di Leroy Merlin Italia intraprendevano un dialogo sereno e costruttivo con l’Associazione 21 luglio che si concludeva con una nota congiunta nella quale la multinazionale si rendeva disponibile a valutare eventuali modifiche e «realizzare opere di pubblica utilità, nell’ambito di tale progetto, finalizzate, tra l’altro, a cercare soluzioni costruttive ed alternative alla situazione attuale in cui versano i beneficiari finali di tali opere, nel rispetto di tutte le norme di Legge e degli standard internazionali sui Diritti Umani».
Con questa nota l’Associazione 21 luglio concludeva con soddisfazione la propria campagna.
Nella nota congiunta, peraltro, si faceva riferimento a una dichiarazione rilasciata in diretta tv ad Announo da Marino il quale, rispondendo a una domanda precisa della conduttrice Giulia Innocenzi, aveva escluso categoricamente l’ipotesi del nuovo campo.
Dalle intercettazioni pubblicate stamane dalla stampa emerge invece che al sindaco il progetto piaceva «molto, moltissimo…Proprio tanto, tanto».
Di seguito l’intercettazione tra Salvatore Buzzi e Silvia Decina, capo segreteria del sindaco, la quale avrebbe ricevuto da Lionello Cosentino, allora segretario del Pd romano, la documentazione del “Progetto Leroy Merlin” (Secondo quanto emerge dalle intercettazioni Cosentino avrebbe assicurato a Buzzi l’interessamento diretto del sindaco sulla questione).
Buzzi: Pronto
Decina: Salvatore?
B: Sì
D: Salvatore ciao, sono Silvia Decina, il capo segreteria di Ignazio Marino
B: Buongiorno Silvia
D: Ciao
B: Eccomi, buongiorno a te
D: Senti, ti volevo dire questo, che Lionello, mh…
B: Si
D: Mi ha dato tutta la documentazione per Ignazio
B: Sì
D: Sulla questione…Leroy Merlin. Adesso Ignazio l’ha vista e sta facendo convocare una riunione di staff per…te lo volevo dire intanto
B: Ok
D: Ok?
B: Ti ringrazio molto
D: E appena…
B: Gli è piaciuta al sindaco?
D: Molto, moltissimo, appunto…Proprio tanto, tanto…
B: E infatti ho pensato, invece di darlo all’assessore, ho fatto: guarda, ne parlo a lui, infatti
D: Però ha chiesto che la seguissimo noi qui direttamente dal gabinetto, perché se inizia a passare per tutti gli assessorati non ne usciamo vivi con questo
B: Ah, guarda, te ne prego, te ne prego Silvia
D: Eh, no, no, no, per questo ti volevo dire, cioè, ha preferito che la prendessimo noi qui, così almeno velocizziamo il tutto, insomma. Quindi appena adesso io ho novità, ti dico.
Alla luce di tutto ciò, trovano oggi una spiegazione le minacce ricevute dal presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla il 16 luglio 2014 nel corso di una conferenza stampa di presentazione del rapporto “Campi Nomadi s.p.a.”. «Se parli ancora del campo La Barbuta ti mando in coma», le parole rivolte a Stasolla da un “capo” del campo La Barbuta…

Sulla pelle dei rom

 
«Il traffico di droga rende di meno […]. Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato ma tutti i soldi, gli utili li abbiamo fatti sugli zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati» (Salvatore Buzzi, presidente del consorzio di cooperative Eriches, arrestato nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale).
L’operazione “Mondo di Mezzo”, coordinata dalla Procura di Roma, sta rompendo la spessa coltre di omertà presente sul ramificato sistema corruttivo di stampo mafioso finalizzato all’assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici da parte del Comune di Roma, con interessi attivi anche nella gestione dei “campi nomadi” della Capitale.
Dal 2010 l’Associazione 21 luglio denuncia nelle sue ricerche come negli ultimi anni a Roma ad un drammatico peggioramento delle condizioni di vita delle comunità rom sia corrisposto un aumento della spesa pubblica per interventi volti a segregare, concentrare e allontanare famiglie rom in emergenza abitativa, violandone in maniera sistematica i diritti umani. L’inchiesta giudiziaria di questi giorni sta dimostrando come sulla pelle dei rom rappresentanti istituzionali, militanti politici e cooperative ne abbiano tratto un ampio profitto economico. È innegabile come sia convenuto a molti soffiare sulla cenere dell’antiziganismo, sgomberare per anni da un punto all’altro della città donne, uomini e bambini rom, ampliare i «villaggi attrezzati» per aumentare a dismisura la concentrazione abitativa, istituire i “centri di raccolta rom” in spazi privi di autorizzazione.
L’inchiesta di questi giorni sta dimostrando come la sofferenza dei rom che oggi a Roma vivono stipati in insediamenti indegni e in centri di raccolta illegali sia anche figlia di un processo politico-mafioso dovuto al fatto che i rom producono denaro e rendono voti (il tutto ripetendo senza sosta che i ladri “sono loro”). I “campi rom”, così come i “centri di raccolta rom” sono un prodotto che si riesce a vendere bene attraverso precisi messaggi comunicativi: si racconta in giro che i rom non sappiano e non vogliano vivere in abitazioni convenzionali, li si criminalizza additandoli come il problema della città, gli si costruiscono intorno delle gabbie nelle quali rinchiuderli. L’operazione è semplice quanto redditizia. Ma nei suoi calcoli non tiene assolutamente in considerazione la sofferenza e la ripetuta lesione di dignità e diritti umani che comporta. Sulla pelle dei rom.
L’Associazione 21 luglio ritiene sia giunto il momento di voltare pagina e dire la parola “fine” al processo deumanizzante e lucrativo finalizzato a incassare denaro sulla sofferenza delle famiglie rom a Roma. La “decapitazione” dell’Ufficio Nomadi di Roma Capitale, a seguito dell’arresto della sua responsabile, è il segno tangibile dell’urgenza di un cambio totale di indirizzo.
L’Associazione 21 luglio chiede pertanto al sindaco di Roma un segno concreto che indichi un radicale cambio di indirizzo politico. E lo fa a partire dal “Best House Rom“, il centro di raccolta di via Visso che incarna tutte le contraddizioni di un sistema organizzato e redditizio volto a concentrare e segregare i rom in spazi di sofferenza e violazioni dei diritti umani.
Per tale ragione, a partire da sabato 6 dicembre il presidente dell’Associazione 21 luglio inizierà uno sciopero della fame a oltranza e, da mercoledì 10 dicembre, “Giornata Internazionale dei Diritti Umani” verrà allestito dall’Associazione 21 luglio un presidio fisso con raccolta firme in prossimità del “Best House Rom”, in via Visso 12, Roma.
Le due azioni termineranno solo quando l’Amministrazione Comunale darà dimostrazione concreta di voler relegare al passato la “stagione dei campi” e avviare una nuova politica di reale inclusione delle comunità rom nella città di Roma.

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