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La Barbuta, il Comune di Roma inizia a dare seguito agli ordini dei giudici

È stata pubblicata sul Corriere della Sera l’ordinanza del Tribunale Civile di Roma che il 30 maggio 2015 ha riconosciuto il carattere discriminatorio del “villaggio attrezzato” La Barbuta a Roma, accogliendo così il ricorso presentato da Associazione 21 luglio e ASGI, con il sostegno di Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International Italia e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC). La pubblicazione sul quotidiano nazionale è stata ordinata dallo stesso ordine giudicante.
Accogliendo pienamente la tesi delle due organizzazioni, che hanno sostenuto la natura discriminatoria del “villaggio attrezzato” in quanto soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico, la seconda sezione del Tribunale Civile di Roma ha ordinato al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In una conferenza stampa al Senato organizzata pochi giorno dopo il pronunciamento del Tribunale, Associazione 21 luglio e ASGI avevano parlato di un risultato storico, perché per la prima volta in Europa un tribunale aveva confermato il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
Il “villaggio attrezzato” La Barbuta, inaugurato nel 2012 sotto la giunta Alemanno, è uno dei sette insediamenti formali attualmente presenti nella Capitale, all’interno del quale vivono in condizioni igienico-sanitarie precarie circa 600 persone, i cui diritti umani risultano costantemente violati, come si evince dal rapporto Terminal Barbuta pubblicato dall’Associazione 21 luglio nel 2014. In seguito a una visita nel “campo”, anche il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks lo aveva definito «un insediamento segregato su base etnica».
Attraverso la pubblicazione dell’ordinanza sul Corriere della Sera, sottolinea l’Associazione 21 luglio, il Comune di Roma ha iniziato a dare attuazione a quanto comandato dai giudici, un fatto che l’Associazione considera positivo. L’Associazione continuerà tuttavia a monitorare la situazione con grande attenzione e urge le autorità capitoline ad adoperarsi al fine di superare definitivamente il mega-campo, una vergogna tutta romana, e di individuare percorsi virtuosi che conducano le famiglie de La Barbuta verso una reale inclusone abitativa e sociale.
rom La Barbuta

Tribunale condanna Comune Roma: campi rom discriminano

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».

Campi rom discriminatori: Tribunale condanna Comune di Roma

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».

Casa editrice condannata per pubblicazione che discrimina i rom

Il Tribunale Civile di Roma ha condannato la casa editrice Simone per condotta discriminatoria nei confronti di rom e sinti, ordinando il ritiro dal mercato di una pubblicazione, rivolta ai partecipanti al concorso di abilitazione per l’esercizio della professione di avvocato, in cui tali comunità vengono automaticamente associate alla commissione di reati.
Lo rendono noto Associazione 21 luglio e ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) che a giugno 2012 avevano presentato un’azione civile congiunta contro la casa editrice, supportando la causa avanzata da D.S., una donna rom che si è sentita lesa nella sua dignità personale in quanto appartenente alla comunità criminalizzata.
Il volume in oggetto, pubblicato dal Gruppo Editoriale Simone nel 2011, contiene una raccolta di pareri motivati di diritto penale destinati alla preparazione dell’esame di avvocato. Per spiegare il reato previsto dall’articolo 712 del codice penale (“Acquisto di cose di sospetta provenienza”) l’autore della pubblicazione analizza le circostanze che debbono far sorgere nel soggetto che acquista o riceve il sospetto che la cosa provenga da reato indicando, in particolare, l’acquisto da “un mendicante, da uno zingaro o da un noto pregiudicato”.
Secondo Associazione 21 luglio e ASGI l’esempio usato dall’autore veicola un messaggio gravemente lesivo della dignità e della reputazione di tutta la comunità rom e sinta in quanto porta a dedurre che l’acquisto o la ricezione di un bene da uno zingaro debba necessariamente far sorgere in capo a chi acquista o riceve il sospetto dell’illecita provenienza del bene.
«Associare il termine zingaro alla commissione di reati contro il patrimonio, di fatto diffonde uno stereotipo negativo, oltre che un preconcetto razziale privo di fondamento, secondo il quale i rom sono delinquenti per il solo fatto di essere rom, stigmatizzando così negativamente l’intera comunità rom e sinta con evidente pregiudizio per la vita sociale degli appartenenti ad essa», spiegano Associazione 21 luglio e ASGI.
Con la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale Civile di Roma, il giudice ha accolto la richiesta di dichiarare discriminatorio il riferimento agli zingari e ha ordinato al Gruppo Editoriale Simone e all’autore della pubblicazione «di cessare il comportamento discriminatorio, provvedendo al ritiro dal mercato della pubblicazione o di successive edizioni recanti il medesimo contenuto e, in caso di pubblicazioni successive, alla eliminazione dell’espressione “quando la cosa, nonostante il suo notevole valore, sia offerta in vendita da uno zingaro” nella trattazione delle circostanze della provenienza delittuosa del bene quale elemento costitutivo del reato di cui all’art. 712 c.p.”».
Il Tribunale ha inoltre condannato la casa editrice a un risarcimento economico di 1000 euro nei confronti di D.S., la donna rom che ha introdotto la causa civile.
Associazione 21 luglio e ASGI accolgono con favore la sentenza del Tribunale Civile di Roma e si dicono convinte che azioni di simile portata possano contribuire a scoraggiare il reiterarsi di quegli atteggiamenti – in alcuni casi inconsapevoli, ma purtroppo ben radicati nella coscienza collettiva – che hanno come conseguenza quella di discriminare gli appartenenti alla comunità rom e sinta arrecando un grave danno alla loro dignità personale e alimentando stereotipi e pregiudizi nei loro confronti.

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