Sul grave evento di Follonica Associazione 21 luglio invia lettera a Lidl Italia

È accaduto la mattina del 23 febbraio a Follonica, al supermercato Lidl. Tre dipendenti del noto supermercato, due ripresi più un terzo che ha filmato tutto, hanno rinchiuso con un carrello elevatore due donne rom intente a frugare all’interno dei cassonetti. Le hanno derise mentre giravano le immagini, e poi hanno pubblicato il video sui social scatenando decine e decine di commenti razzisti.
Associazione 21 luglio, ritiene gravissimo questo episodio, in cui viene lesa la dignità umana delle vittime, che hanno subito comportamenti attivi d’odio e sono state private arbitrariamente della loro libertà personale, e con una lettera inviata a Lidl Italia, esprime viva preoccupazione chiedendo che vengano intraprese serie ed esemplari misure disciplinari nei confronti dei tre dipendenti.
Secondo Associazione 21 luglio, il comportamento dei tre dipendenti, fondato sulla discriminazione multipla legata all’identità di genere e all’appartenenza etnica delle vittime, ha comportato nelle stesse gravi patimenti e angosce, e oltre ad evidenti profili penali, ha leso la loro dignità umana.
«Pertanto – conclude la missiva – Associazione 21 luglio chiede di esser informata in merito alle concrete misure disciplinari adottate dalla Vostra catena nei confronti degli autori di tale comportamento, di conoscere se esiste una policy di condotta per il contrasto di comportamenti d’odio e discriminazione all’interno dei vostri punti vendita e se sono previste adeguate formazioni in merito a tali temi».
«L’increscioso episodio di Follonica – dichiara Carlo Stasolla, presidente Associazione 21 luglio – altro non è che la conseguenza di un clima d’odio che, promosso da esponenti politici ed amplificato dai media, da mesi sta avvelenando nel nostro Paese, menti e coscienze. Davanti a dichiarazioni pubbliche che esprimono intolleranza e razzismo, il confine tra la parola e i fatti si va assottigliando in maniera pericolosa e incontrollata. Si ravvisa pertanto, l’urgenza di porre argini dal punto di vista culturale e legislativo al fine di offrire risposte adeguate davanti ad un Paese in cui i valori democratici e costituzionali rischiano di essere messi a serio rischio».

Giornata mondiale della Giustizia Sociale.

Giornata Mondiale della Giustizia Sociale – dialogo con Padre Alex Zanotelli

Il 20 febbraio ricorre la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 per sottolineare l’importanza dell’equità nel mondo. Un concetto che significa “pari condizioni tra i ceti sociali e i popoli di accedere all’istruzione, ai servizi e al soddisfacimento dei bisogni primari per l’uomo: abitazioni e alimentazione dignitose.”
Celebriamo questa giornata riportando un dialogo con Padre Alex Zanotelli proprio su questi temi.

Quali sono i presupposti necessari per parlare di “giustizia sociale”?

Il mio punto di partenza su questa tema ha una doppia prospettiva: la prima, fondamentale, da dove leggi la realtà. Se tu la leggi dal cuore di Roma la vedi in un modo, se sei a Tor Bella Monaca è tutto un altro discorso. Ciascuno di noi è profondamente influenzato dal luogo in sui si colloca, si leggono in un’altra maniera le cose.
Per me un altro aspetto fondamentale, oltre alla posizione, è il mio bagaglio. Credo in un Dio che è il Dio degli ultimi e non può accettare le ingiustizie, ma “sogna” – è un termine improprio ma rende bene l’idea – un mondo dove tutti, uomini e donne, abbiano davvero la piena possibilità di esprimere meglio che possono i doni che hanno ricevuto. Una società che sia più equa possibile e che accetti i limiti che abbiamo nei confronti del pianeta Terra.
Leggere la realtà dalla parte degli ultimi ti fa capire che il nostro è un mondo profondamente ingiusto e squilibrato. Le statistiche sono incredibili, l’1% della popolazione mondiale possiede più di quanto dispone il restante 99%. Viviamo in un sistema che non distribuisce la ricchezza ma permette che i beni si concentrino nelle mani di pochi. Questa minoranza di persone spende in armi per continuare a concentrare le ricchezze nelle proprie mani e per avere accesso alle risorse. Tutto questo a spese dell’ecosistema. Stiamo distruggendo l’unico spazio vitale di cui disponiamo. La giustizia non è solo un fatto umano ma anche una questione ambientale, non può esistere giustizia sociale senza un’eco-giustizia.
Quali riflessioni suscita la “giustizia sociale” nei confronti di temi come l’accoglienza o la povertà delle baraccopoli?

Non possiamo bloccare l’accoglienza perché queste persone scappano da un inferno che abbiamo contribuito noi a creare. Io ho vissuto dodici anni a Korogocho (Kenia) che è una delle slum più terribili dell’Africa e posso dire che certe situazioni si riescono a comprendere davvero solo nel momento in cui si vivono.
La presenza di queste realtà porta alla luce un problema: questo è un mondo disordinato, dobbiamo trovare un modo perché tutti vivano bene su questo pianeta. Ci vuole una redistribuzione dei beni. L’uomo non ha mai prodotto tanta ricchezza e questa non è mai stata distribuita in maniera tanto diseguale come oggi.
A proposito di disuguaglianze, come considera la condizione dei rom in emergenza abitativa in Italia?
La situazione dei rom è un dramma nel dramma perché vengono trattati come gli ultimi tra gli ultimi, sono stigmatizzati dai pregiudizi della società maggioritaria e sono un argomento scomodo anche per la politica. Le istituzioni non li tengono in considerazione e alcune di queste persone continuano a vivere in condizioni di pesante marginalità.
Ad esempio, non ho mai visto un gruppo umano tanto bistratto come le famiglie rom di Giugliano, sbattute da una parte all’altra e poi relegate in una situazione di precarietà estrema. Non accetto situazioni come queste. A Gianturco c’è un’altra comunità sotto sgombero imminente ma il Comune non ha preparato alcuna soluzione abitativa alternativa. Non si possono sbattere fuori delle persone da una territorio se non si ha una soluzione alternativa, è la legge universale del rispetto degli esseri umani.
Di fronte a queste ingiustizie in che modo le periferie del mondo possono affrontare tali e tante disuguaglianze?
Noi qui stiamo cercando di affrontare queste problematiche con il “Popolo in Cammino”, vogliamo unire tutte le periferie per far pressione sul Governo e sulle amministrazioni. Bisogna essere uniti e battersi per i propri diritti fondamentali. Chiediamo di investire in queste realtà, chiediamo istruzione e lavoro per rispondere i primo luogo all’emergenza che riguarda le nuove generazioni, per dare loro una possibilità. Senti cosa dice il parere del Tribunale di Napoli emesso dal giudice in una sentenza di condanna legata alla paranza dei bambini: «un filo sottile ed esistenziale lega i giovani che ricorrono alle armi nel centro storico di Napoli – per uccidere e farsi uccidere – e i militanti della jihad. Entrambi sono ossessionati dalla morte, forse la amano, probabilmente la cercano. Quasi fosse l’unica chance per dare un senso alla propria vita e vivere in eterno».
Dobbiamo chiedere sicurezza sociale. Mantenere nel degrado bombe sociali come queste è pericoloso per tutti, anche per chi non ne fa parte. Ma tocca agli impoveriti mettersi insieme e chiedere diritti perché se aspetti che ti diano qualcosa dall’alto non arriverà mai niente.

Ghetto dei bulgari.

Il "Ghetto dei Bulgari" è sotto sgombero: Associazione 21 luglio scrive al sindaco di Foggia

Associazione 21 luglio ha inviato una lettera di preoccupazione a Franco Landella, sindaco di Foggia, per esprimere preoccupazione in merito allo sgombero del cosiddetto “ghetto dei Bulgari”, una baraccopoli che sorge nelle campagne di Manfredonia (nel comune di Foggia) e in cui vivono numerosi braccianti bulgari che lavorano nei terreni circostanti. L’ordinanza è stata pubblicata il 9 febbraio e l’operazione è pianificata per la seconda metà del mese.
Già alcuni mesi fa Associazione 21 luglio si era recata nella baraccopoli con Antonio Ciniero – ricercatore di Sociologia delle migrazioni dell’Università del Salento – e insieme avevano denunciato sul quotidiano Avvenire la totale assenza di servizi igienico-sanitari e le condizioni di povertà assoluta in cui vivevano circa 800 persone, di cui la metà erano minori. Nel corso del tempo l’organizzazione ha continuato a monitorare lo sviluppo degli eventi, registrando la condizione di estrema vulnerabilità di queste famiglie. Rivolgendosi al sindaco di Foggia, l’Associazione sottolinea proprio come in assenza delle garanzie procedurali che comprendono l’offerta di una soluzione alloggiativa alternativa in seguito allo sgombero, si rischia di rendere le condizioni di queste persone, circa 100 e di cui la metà sono minori, ancora più precarie.
«Nelle azioni propedeutiche allo sgombero – si legge nella lettera – Associazione 21 luglio ha riscontrato l’assenza di adeguate e genuine consultazioni con i residenti della baraccopoli e ha accertato che solo ad alcune famiglie è stata rilasciata copia cartacea della documentazione atta alla formalizzazione scritta dello sgombero, non prevedendo per loro alcuna offerta di soluzione alternativa e adeguata e dando loro un termine perentorio, secondo quanto stabilito nell’Ordinanza summenzionata, di soli 10 giorni per lasciare le loro abitazioni.»

Per queste ragioni, continua, l’operazione assume i connotati di uno sgombero forzato, perché non garantisce le garanzie procedurali previste dal Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite e dunque rappresenta una violazione dei diritti umani.
Associazione 21 luglio conclude quindi chiedendo che vengano ristabiliti e rispettati gli standard internazionali e che si avvii nel più breve tempo possibile una consultazione con i nuclei famigliari coinvolti tenendo conto delle loro specifiche esigenze.
Foto di Foggia Today

Casa Sar San

Spazio ai diritti: lo sportello legale di Casa Sar San

Nell’ambito delle attività del progetto Casa Sar San, di Cooperativa ABCittà e Associazione 21 luglio, lo sportello legale di assistenza e consulenza per l’acquisizione dei documenti e per il diritto alla cittadinanza è cresciuto molto e ha allargato notevolmente il bacino di utenza. Al momento si tratta di uno sportello itinerante ma presto anche questa attività diventerà fissa all’interno del Polo Ex Fienile di Tor Bella Monaca che verrà inaugurato ufficialmente a gennaio 2017.
Ad oggi l’attività è gestita da un legale e un mediatore culturale che, insieme, si recano una volta a settimana nelle baraccopoli istituzionali della Capitale per ascoltare necessità e problematiche dei residenti relativamente a questioni come il rinnovo dei permessi di soggiorno, l’acquisizione della cittadinanza o dello status di apolidia. “L’approccio è molto informale” – spiega la responsabile dell’ufficio legale di Associazione 21 luglio – “facciamo consulenza e assistenza all’interno di un container e mentre siamo lì si affacciano tanti altri vicini incuriositi dalla nostra presenza”.
In questo modo il metodo del passaparola ha funzionato efficacemente e ha portato a un numero di richieste di consulenza sempre crescente. Se all’inizio bisognava andare alla ricerca di persone in difficoltà, oggi – nella maggior parte dei casi – sono i diretti interessati a rivolgersi a lei, anche telefonicamente.
Crescendo il numero di assistiti, sono aumentate anche le soddisfazioni per i casi risolti. I più recenti hanno riguardato due abitanti della baraccopoli di Salone: D., un giovane di origini montenegrine che al compimento dei 18 anni ha potuto ottenere la cittadinanza italiana, e S. a cui è stato riconosciuto un permesso umanitario per sé e per i suoi figli.

Il CERD sull'Italia: preoccupante la discriminazione verso comunità rom e sinta

Il Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD): profonda preoccupazione per la persistente e consolidata discriminazione nei confronti della comunità rom e sinta in Italia, specie in materia di segregazione abitativa e sgomberi forzati.
A conclusione della novantunesima sessione del Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) terminata lo scorso 9 dicembre, sono state rese note le prime Osservazioni adottate in seguito al ciclo di monitoraggio sull’Italia in materia di discriminazione a cui anche Associazione 21 luglio ha portato il suo contributo in termini di raccolta dati.
Il Comitato ha espresso profonda preoccupazione per la persistente discriminazione cui è sottoposta la comunità rom e sinta residente in Italia, ponendo una particolare attenzione sulla continua pratica degli sgomberi forzati, che violano i diritti umani e compromettono la frequenza scolastica dei minori, oltre che sulla perpetrazione della segregazione abitativa. Il Comitato ha sottolineato l’inadeguatezza degli alloggi e delle aree predisposte, collocate in zone remote rispetto ai centri abitati e ai servizi di base, nettamente separate dalla società maggioritaria e sottoposte a condizioni igienico-sanitarie precarie.
Sul tema della condizione abitativa, il Comitato ha raccomandato allo Stato italiano di fermare «qualsiasi piano che stabilisca la costruzione di nuovi campi o aree abitative che li separino dal resto della società» e di porre fine «all’esistenza e all’uso dei campi segreganti», prevedendo allo stesso tempo un alloggio adeguato.
Alla luce di queste osservazioni e per sollecitare un intervento dell’Amministrazione Capitolina nella direzione di un superamento definitivo del “sistema campi”, nei giorni scorsi Associazione 21 luglio ha inviato una lettera all’Assessora alla Persona, Scuola e Comunità Solidale Laura Baldassarre e ai dirigenti del Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale, per rimarcare la propria condanna per la prosecuzione del Bando di Gara di appalto, reso pubblico lo scorso luglio, che prevede il reperimento di una nuova area attrezzata per soli rom nel territorio del XV Municipio di Roma. «Appare evidente – si legge nella lettera – il profondo gap presente tra la politica adottata dall’Amministrazione Capitolina, volta a dar vita ancora una volta ad una nuova area per soli rom, e le richieste sempre più pressanti degli organismi europei e internazionali come il CERD».
Associazione 21 luglio ha pertanto chiesto formalmente all’Assessorato alla Persona, Scuola e Comunità Solidale e al Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale di arrestare qualunque procedura rivolta alla realizzazione di una nuova area per soli rom e di uniformarsi alle richieste espresse dal Comitato delle Nazioni Unite.
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Elena Risi
Ufficio stampa e Comunicazione
Associazione 21 luglio
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Buone feste da Associazione 21 luglio

Natale si avvicina ed è questo il momento giusto per pensare di sostenere tanti bambini in difficoltà con un gesto concreto. Le condizioni di vita dei circa 20.000 minori rom, che in Italia vivono in condizioni di povertà ed emergenza abitativa e igienico-sanitaria, contrassegnano fatalmente il loro futuro.
Un minore rom che nasce oggi in una baraccopoli istituzionale e non, avrà possibilità prossime allo zero di accedere a un percorso universitario e le possibilità di frequentare le scuole superiori non superano l’1%. Inoltre, 9 minori su 10 non hanno frequentato con regolarità e in 1 caso su 5 non inizieranno mai il percorso scolastico.
Associazione 21 luglio si occupa dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia, principalmente attraverso la tutela dei diritti dell’infanzia e la lotta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza. Con il nostro impegno quest’anno, abbiamo favorito percorsi d’istruzione e cura a 45 bambini e la creazione di un atteggiamento positivo e responsabile delle famiglie dei minori rom, coinvolti nel progetto di scolarizzazione.
Natale è il momento migliore per testimoniare la propria sensibilità. Per poter proseguire questo cammino al fianco dei genitori, il sostegno di tutti è fondamentale.
Se volete sostenere Associazione 21 luglio, scoprite subito come donare visitando la pagina DONA ORA.

Rom stranieri in Italia: una storia di migrazione e di mancata cittadinanza

Il 18 dicembre si celebra la Giornata Internazionale del Migrante, istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite. La data fu scelta per richiamare la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle Loro Famiglie, adottata il 18 dicembre del 1990 dall’Assemblea delle Nazioni Unite.
Per ricordare questa giornata abbiamo chiesto ad Antonio Ciniero ricercatore presso International Centre of Interdisciplinary Studies on Migrations (I.C.I.S.MI.) di ripercorre la storia migratoria dei rom in Italia.
Dei circa 180 mila rom e sinti stimati in Italia, quasi la metà non ha la cittadinanza italiana. Si tratta quindi di migranti, oppure di figli e nipoti di migranti. Per quanto riguarda la storia recente, è in particolare dalla fine degli anni ’70 del Novecento che i rom iniziano a giungere in Italia, sulla scia dei più generali flussi migratori che, a partire da quel periodo, interessano con maggiore sistematicità il paese. Partono per le motivazioni classiche che spingono tutti i soggetti alla migrazione: la possibilità di trovare un lavoro, il semplice desiderio di conoscere un nuovo posto, la volontà di creare una vita migliore per sé o per i propri figli, di costruirsi una casa.
Come nel caso di altre fasi migratorie, vecchie e nuove, anche tra i rom non manca chi è stato costretto ad abbandonare le proprie case a causa della guerra, o per problematiche politiche e sociali innescate da conflitti interni al paese di provenienza. È il caso della gran parte dei rom stranieri arrivati in Italia dalla ex-Jugoslavia fino gli anni ’90 del secolo scorso. Si tratta di un flusso migratorio che si intensifica negli anni delle guerre che insanguinano il paese dopo la morte di Tito e soprattutto tra il ’96 e il ’99, con la guerra in Kosovo. Profughi, proprio come buona parte dei migranti che oggi cercano di raggiungere le coste europee, alcuni dei quali sono riusciti, oggi come ieri, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato politico.
È in questo contesto che l’etichetta e lo stereotipo di nomadi, che da tempo immemore erroneamente accompagna i cittadini rom provenienti da altri paesi nel sentire comune, ma soprattutto nel discorso pubblico egemone fatto da organizzazioni del privato sociale e delle istituzioni italiane, ha agito, rendendo quasi scontata l’idea dei campi – di fatto baraccopoli istituzionali – come unici luoghi idonei all’“accoglienza” di questo tipo di migrazione. Tra la fine degli anni ’80 e tutta la decade degli anni ’90, il numero dei campi attrezzati aumenta notevolmente in tutta Italia: da allora, roulotte, container, baracche e prefabbricati, sistemati all’interno di aree periferiche delle nostre città, sono divenuti, non solo per quei profughi, ma per tanti loro figli e nipoti le anguste case in cui crescere, la negazione del sogno di un futuro migliore.
“Non sapevo cosa volesse dire vivere in roulotte prima di venire in Italia”, racconta S., rom kosovara, rifugiata politica, che dal 1998 vive nel campo-sosta Panareo di Lecce. Come lei, tanti, prima di arrivare in Italia, non avevano mai vissuto in un campo.
Eppure, sebbene per il discorso pubblico dominante parlare di rom equivalga a parlare esclusivamente di campi, a vivere nei campi è solo 1 rom su 5 e la maggioranza dei rom presenti in Italia, inclusi i rom stranieri, vive in normali abitazioni. Si tratta di cittadini montenegrini, kosovari, serbi, rumeni, bulgari, arrivati in Italia alla ricerca di lavoro: tra loro, non pochi nascondono il fatto di essere rom, o evitano di parlare di questo aspetto.
“In Italia, per colpa della televisione, è già difficile essere rumena, figurati se dico di essere rom! Secondo te, chi mi prenderebbe a lavorare?”. Questo è quello che racconta M., una cittadina della Romania che nel 2007 ha deciso, insieme a suo marito, di partire per l’Italia per trovare lavoro. Da allora M. vive in una casa in provincia di Lecce e lavora nell’ambito dell’assistenza di persone anziane.
Anche tra i rom che hanno intrapreso l’esperienza migratoria per motivi economici, tuttavia, c’è chi è costretto a vivere per strada, in campi spontanei, all’interno di baraccopoli istituzionali o informali. Anche questa condizione non è una scelta dovuta a presunte attitudini culturali, ma, nella quasi totalità dei casi, è una conseguenza, drammatica, dei processi di impoverimento, di precarizzazione e di esclusione che colpiscono fasce sempre crescenti di cittadini, italiani e stranieri. Un’esclusione che non si limita ad incidere negativamente sulle condotte di vita di chi la subisce, che può arrivare, nei casi più drammatici, a distruggere la stessa vita.
È di qualche giorno fa la notizia della tragica fine di Ivan, un giovane lavoratore morto nell’incendio del ghetto rurale nel quale viveva, il cosiddetto “ghetto bulgaro” di Borgo Mezzanone (Fg), uno dei tanti ghetti della zona, dove vivono migliaia di braccianti stranieri il cui lavoro, sottoposto a livelli di sfruttamento altissimo, permette di consumare sulle tavole di mezza Europa i prodotti agricoli made in Puglia e di far crescere il PIL in Italia. Nel “ghetto bulgaro”, prima dell’incendio in cui Ivan ha perso la vita, vivevano, nel più assoluto abbandono, senza nemmeno i servizi essenziali, intere famiglie rom, inclusi molti minori e bambini, impegnate in un ciclo di migrazioni circolari, in alcuni casi da oltre dieci anni, e presenti sul territorio italiano solo per alcuni mesi, quelli necessari a mettere da parte, con fatica, viste le paghe giornaliere (meno di 20 euro per oltre 12 ore di duro lavoro), i risparmi necessari per vivere il resto dell’anno in Bulgaria.
I campi, informali o istituzionali, sono oggi l’emblema di una cittadinanza e di un’accoglienza mancata. Un paradigma con il quale i decisori pubblici continuano ad approcciarsi non solo alle presenze rom , ma a sempre maggiori aspetti dei fenomeni migratori. Un dispositivo politico di controllo e subordinazione dei soggetti considerati indesiderabili che viene esteso ad un numero sempre più alto di persone. Campi sosta, baraccopoli istituzionali, ghetti, tendopoli temporanee, così come tutti gli altri campi nati ai confini e nel cuore dell’Europa, hotspot, CARA e altri luoghi para-istituzionali, pensati per un’accoglienza ambivalente che assume i connotati dell’esclusione, pur nelle loro differenze, sono accomunati dal fatto di costringere la vita dei soggetti che vivono o transitano al loro interno a una continua provvisorietà e subalternità, sospendendone e violandone i diritti fondamentali. Processi di segregazione e confinamento che si pensava consegnati alla storia e che invece riaffiorano con sempre maggiore frequenza, frutto di politiche ancora schiacciate nell’alveo della logica emergenziale.
Nonostante l’immigrazione in Italia sia un fenomeno stabile e strutturale, infatti, si ignora, o si fa finta di ignorare, che quando si parla di cittadini immigrati ci si riferisce a circa 5 milioni di persone – tra queste, ci sono i circa 90 mila rom – molte delle quali in Italia da oltre un trentennio, in moltissimi casi invece nate e cresciute qui, che il nostro sistema giuridico continua a considerare straniere. Una situazione che discrimina e depriva di diritti un gran numero di cittadini, e che la condizione vissuta da molti rom, soprattutto da quelli che vivono in emergenza abitativa (circa 35 mila persone), rende drammaticamente visibile e inaccettabile per un paese che voglia definirsi democratico e rispettoso dei diritti di ogni essere umano.
di Antonio Ciniero

Il Comune di Roma avvia l'iter per il superamento delle baraccopoli

Il Comune di Roma avvia l’iter per il superamento delle baraccopoli rom. Associazione 21 luglio: «questo è il primo segnale di inversione di rotta registrato nella Capitale. Per la sua credibilità attendiamo l’approvazione della Delibera di Iniziativa Popolare per il “superamento dei campi”»
ROMA – Con una Memoria di Giunta a firma della sindaca Virginia Raggi, il 18 novembre scorso la Giunta Capitolina ha indicato al Dipartimento Politiche Sociali e della Salute di Roma Capitale l’adozione di un Piano di Lavoro cittadino denominato “Progetto Inclusione Rom”.
Nel testo della Memoria si sottolinea come le linee politiche adottate nel passato in riferimento alle baraccopoli per soli rom abbiano prodotto «il risultato di moltiplicare da un lato insicurezza e conflitti nelle periferie e dall’altro di aumentare il livello di emarginazione delle popolazioni Rom, Caminanti e Sinti, senza garantire alcun processo di inclusione sociale nonostante le ingenti risorse economiche investite nel settore». Il punto nodale, viene affermato, è la questione abitativa che «influisce sulla condizione di vita dei singoli soggetti e della comunità perché incide sulle possibilità di accesso ai servizi, di vita sociale con le altre popolazioni residenti oltre che sulle opportunità di accesso al lavoro e all’istruzione» e per tale ragione, in una prospettiva di approccio interdisciplinare, viene adottato un Workplan “Progetto Inclusione Rom” con indicazione sintetica delle azioni nel periodo gennaio-luglio 2017.
Il Piano di Lavoro prevede, tra le altre cose, il coinvolgimento della Regione Lazio, dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, del Ministero del Lavoro e dell’ANCI, l’avvio di accertamenti patrimoniali, due delibere (la prima per l’istituzione di un Tavolo, la seconda per il superamento degli insediamenti), la preparazione di un bando e Capitolato Europeo, incontri con cittadini rom e non rom, la costruzione di un network di organizzazioni.
Associazione 21 luglio esprime una cauta soddisfazione per il documento prodotto dalla Giunta Capitolina. «Registriamo – sottolinea l’organizzazione – come per la prima volta nella Capitale venga prodotto un cronoprogramma per l’avvio del processo per il superamento delle baraccopoli abitate dai rom. Il segnale è quindi importante e non di poco conto».
Secondo Associazione 21 luglio è fondamentale come la questione abitativa sia stata posta al centro in un quadro dove l’approccio interdisciplinare appare condizione indispensabile per l’avvio di un lavoro fondato su basi solide. «Auspichiamo – conclude Associazione 21 luglio – che la Memoria di Giunta rappresenti lo spartiacque con le politiche passate, l’inizio della fine del “sistema campi” che negli anni ha prodotto lesione dei diritti umani, fenomeni corruttivi e assistenzialismo inconcludente. Lo sarà realmente se ad essa seguirà il congelamento dei bandi milionari che nei prossimi mesi potrebbero ridare vita ad un perverso sistema di realizzazione e gestione di nuovi insediamenti. Ma la cartina di tornasole sarà la discussione nell’Aula dell’Assemblea Capitolina della “Delibera di iniziativa popolare per il superamento dei campi” sottoscritta da 6.000 cittadini romani che avverrà entro gennaio 2017. La sua approvazione, sollecitata dal Comitato “Accogliamoci”, di cui Associazione 21 luglio è parte, potrà essere il segnale concreto e definitivo di una inversione di rotta da tanti auspicato che potrà consentire alla città di Roma di relegare al passato la vergognosa e tragica stagione delle baraccopoli per soli rom».

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Elena Risi
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In libreria la storia di Anina: dal Casilino 900 alla Sorbona

Oggi, 24 novembre, esce in tutte le librerie il testo di Anina Ciuciu, “Sono rom e ne sono fiera. Dalle baracche romane alla Sorbona”, pubblicato in Italia da Alegre Edizioni dopo aver venduto oltre 10 mila copie in Francia.
Il libro è un’autobiografia, la storia di Anina, che cambia il punto di vista sul popolo rom. La protagonista ha 26 anni ed è rom. Oggi studia alla Sorbona di Parigi per diventare magistrato, ma prima di riuscirci è passata attraverso incredibili difficoltà e discriminazioni. Scappata dalla Romania ha raggiunto l’Italia quando era ancora bambina. Qui ha conosciuto lo squallore dei cosiddetti “campi nomadi”, la miseria e la necessità di chiedere l’elemosina, insultata dai passanti e dai compagni di classe.
La narrazione è tutta in prima persona, un coinvolgente racconto che ripercorre con coraggio i drammatici eventi dell’infanzia fino al momento del riscatto. A Roma Anina ha vissuto per alcuni mesi nella baraccopoli del Casilino 900, dove trascorre un periodo di soprusi e umiliazioni. Tra mille peripezie fugge verso la Francia dove vive con la sua famiglia in un furgone, poi arriva la speranza: grazie all’aiuto di due donne riescono ad ottenere un appartamento.
Finalmente dopo la clandestinità arrivano il permesso di soggiorno e un lavoro regolare, che permettono ai genitori di assicurare l’istruzione dei propri figli. Fino ad oggi, con l’arrivo di Anina alla Sorbona.
Questa storia capovolge il punto di vista con cui si è abituati a guardare la realtà e permette di superare qualsiasi pregiudizio razzista. Lanciando un messaggio di speranza allo stesso popolo rom.
Dal 6 al 9 dicembre Anina sarà in Italia per un tour di presentazioni.
GUARDA LA SCHEDA DEL LIBRO
LE INIZIATIVE IN ITALIA DAL 6 AL 9 DICEMBRE:
6 dicembre ore 11,30 MILANO: Università Cattolica – Largo Gemelli, 1
6 dicembre ore 21,00 CONCOREZZO (MI): Associazione Minerva – Via Santa Marta
7 dicembre ore 18,00 TORINO: Circolo dei Lettori – Via Bogino, 9
8 dicembre ore 15,30 BOLOGNA: Atelier Sì – Via San Vitale, 69
8 dicembre ore 20,30 PISA: Chiesa Valdese – Via Derna, 13
9 dicembre ore 11,00 ROMA: Liceo Classico Visconti – Piazza del Collegio Romano, 4
9 dicembre ore 15,30 ROMA: Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – Via della Ferratella in Laterano, 51 (per la partecipazione a questo evento è necessario l’accredito scrivendo NOME, COGNOME, DATA e LUOGO DI NASCITA all’indirizzo: stampa@21luglio.org)

Istruzione.

Un sostegno alla responsabilità genitoriale per favorire l'istruzione

Tra i servizi di orientamento e supporto offerti dallo sportello socio-sanitario di Casa Sar San, spicca il sostegno che viene dato nell’ambito dell’accompagnamento alla scolarizzazione dei minori rom. Difficoltà linguistiche e povertà culturale costituiscono spesso uno scoglio insormontabile per genitori già socialmente ed economicamente vulnerabili. Un approccio mirato alla persona e fortemente improntato all’autonomia facilita la messa in relazione diretta tra scuola e famiglie, restituendo ad ognuna delle due parti il proprio ruolo.
Per quanto riguarda il sostegno alla scolarizzazione lo sportello procede raccogliendo le richieste di aiuto delle famiglie, indicando la documentazione necessaria e accompagnando la famiglia presso l’ufficio didattico dell’istituto scolastico di riferimento per la compilazione della domanda d’iscrizione. Particolare attenzione viene riposta nella modalità dell’intervento, sempre mirato alla costruzione di un rapporto diretto fra scuola e famiglia. Inoltre, al fine di monitorare l’andamento del percorso scolastico dei minori, gli operatori si interfacciano costantemente con i dirigenti scolastici, intervenendo solo qualora appaia necessaria o venga esplicitamente richiesta una mediazione tra la famiglia e gli insegnati.
Negli ultimi due anni lo sportello ha supportato circa 150 minori nell’accesso al sistema educativo e più della metà di questi ora frequentano regolarmente la scuola con successo.

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