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Sabrina: "Noi rom non siamo come ci dipingono i media"

Sabrina, 23 anni, vive nel "campo rom" di San Nicolò d'Arcidano, in Sardegna

Sabrina, 23 anni, vive nel “campo rom” di San Nicolò d’Arcidano, in Sardegna


[tfg_social_share]Sabrina Milanovic ha 23 anni, è italiana e vive in un “campo rom” a San Nicolò d’Arcidano, in provincia di Oristano, in Sardegna. È stanca dei pregiudizi e degli stereotipi negativi diffusi nei confronti della sua comunità e vorrebbe impegnarsi per promuovere e valorizzare i diritti dei rom nella sua cittadina e nel resto d’Italia.
«Noi rom veniamo continuamente discriminati e questo succede non perché la gente sia cattiva o in malafede. Ma semplicemente perché non ci conosce e di noi sa solo le cose brutte che scrivono i giornali. Ma noi non siamo come ci dipingono i media e non è giusto che per colpa di alcuni a subirne le conseguenze debbano essere tutti i rom»
Dallo scorso ottobre Sabrina frequenta il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato dall’Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
«Io voglio fare qualcosa in prima persona per combattere contro i pregiudizi nei confronti del mio popolo, per affermare i nostri diritti e per promuovere un’immagine differente di noi».
A San Nicolò d’Arcidano, la comunità rom è costituita da circa un centinaio di persone, il 3,5% della popolazione totale, composta da 2.800 abitanti. Dal 2011 i rom vivono in un nuovo “campo” dopo che un incendio aveva distrutto l’insediamento provvisorio in cui viveva la comunità.
Sabrina non vorrebbe vivere in un “campo” ma in una casa come ogni altro cittadino italiano.
«Vivere in un campo vuol dire vivere la vita in maniera amplificata. Le casette sono tutte attaccate e non hai un minimo di privacy».
Nel “campo” di San Nicolò d’Arcidano, “campo” realizzato dal Comune, gli abitanti rom vivono in baracche di 40 mq ciascuna all’interno delle quali, in alcuni casi, arrivano a dividere lo spazio anche 11 persone.
Secondo il Comitato per la Prevenzione della Tortura, istituito dal Consiglio d’Europa, lo spazio minimo nelle celle per ogni detenuto dovrebbe essere di 7 mq, cioè il doppio dello spazio a disposizione di alcuni residenti rom nel “campo” in provincia di Oristano.
Per Sabrina la strada per rafforzare i diritti delle comunità rom passa attraverso il lavoro.
«Bisogna che anche i rom abbiano opportunità lavorative. Questo servirà a combattere i pregiudizi, a favorire l’integrazione e il vivere insieme. In questo modo potremo non essere più giudicati per quello che non siamo».
L’appello
Nell’ambito della Campagna “Stop all’apartheid dei Rom!“, l’Associazione 21 luglio ha lanciato un appello nazionale con raccolta firme, rivolto ad otto Presidenti di Regione, per chiedere l’abrogazione delle Leggi regionali che istituiscono i “campi nomadi” in Italia, ghetti che alimentano la segregazione delle comunità rom e sinte e rendono impossibile l’inclusione sociale. Tra le regioni considerate figura anche la Sardegna. Per firmare l’appello “Inclusione per le comunità rom e sinte in Italia” clicca qui

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Giovani attivisti rom e sinti: le video-testimonianze

Ha preso il via il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato da Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC). I giovani partecipanti spiegano perché hanno scelto di aderire all’iniziativa e di impegnarsi per i diritti umani delle proprie comunità.
I ragazzi e le ragazze che si sono presentati al primo dei sei appuntamenti previsti dal Corso sono arrivati da varie regioni e città italiane. Tra di loro Sead Dobreva, 31 anni, rom arrivato in Italia nel 1991 in fuga dai tumulti nella ex Iugoslavia:
«Quando ho saputo di questo corso ho pensato che per me potesse essere una buona opportunità per fare finalmente qualcosa per il mio popolo», spiega Sead, che vive a Rovigo «in una casa» – come ci tiene a sottolineare – e che lavora come operaio in una fabbrica dove è anche rappresentante sindacale.
 

 
Gladiola Lacramioara Lacatus, 20 anni, viene dalla Romania e da sei anni vive a Cosenza. Per alcuni mesi ha vissuto in un campo rom; ora è in una casa famiglia per minori e frequenta la scuola superiore: «Ho scelto di fare questo corso per avere la formazione adatta per aiutare, successivamente, gli altri ragazzi che come me hanno incontrato difficoltà nell’integrarsi nella società».
Gladiola è una delle sette ragazze che hanno partecipato al primo incontro del corso. Un tasso di partecipazione femminile molto, che ha reso felici gli organizzatori dell’iniziativa.
Come lei, anche Naomi Ahmetovic, rom/sinta di 18 anni che vive a Trieste, ha deciso di immergersi nella teoria e nella pratica dei diritti umani. «In questo modo saprò riconoscere le violazioni dei diritti umani e potrò battermi perché i diritti della mia comunità vengano rispettati», racconta Naomi.
Il Corso di formazione
Il Corso di formazione per attivisti rom e sinti, promosso da Associazione 21 luglio e ERRC, rientra tra le attività della Campagna “STOP all’apartheid dei Rom!“, lanciata dall’Associazione lo scorso ottobre.
Francesca Colombo, responsabile Campagne dell’Associazione 21 luglio, spiega il senso dell’iniziativa:
«L’obiettivo è quello di dar vita a un attivismo giovanile tra le comunità rom e sinte in Italia. Forniamo ai ragazzi e le ragazze una serie di strumenti che riguardano i loro diritti umani in modo tale che essi stessi possano rivendicarli e farli conoscere alle proprie comunità. È importante che siano essi stessi ad agire in prima persona».
 

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Blitz a sorpresa dei senatori nei "campi rom" della Capitale

I senatori Palermo e Donno durante la visita nei "campi rom"

I senatori Palermo e Donno durante la visita nei “campi rom”


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«È peggio di quanto immaginavo. I rom sono buttati lì in un limbo giuridico, lasciati a se stessi, senza alcuna attenzione delle istituzioni: una situazione disperante».
Sono le parole pronunciate ieri da Francesco Palermo, senatore della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, al termine di una visita a sorpresa in due “campi rom” della città di Roma, alla quale ha partecipato assieme a un’altra senatrice della Commissione, Daniela Donno.
Nel corso della visita, alla quale hanno preso parte anche alcuni giornalisti, i due parlamentari sono stati accompagnati da una delegazione dell’Associazione 21 luglio e hanno potuto appurare in prima persona le condizioni di vita di uomini, donne e bambini rom all’interno del centro di raccolta rom di via Salaria 971 e del “villaggio attrezzato” della Cesarina, in zona Nomentana.
L’iniziativa dell’Associazione 21 luglio rientra nella Campagna “Stop all’apartheid dei Rom!”, tra i cui obiettivi vi è quello di informare i rappresentanti politici e istituzionali sulle conseguenze negative che le attuali politiche rivolte in Italia nei confronti di rom e sinti hanno sulla vita quotidiana di queste comunità.
Il centro di raccolta rom
Nel centro di raccolta di via Salaria, dove in un primo momento ai senatori è stata negata l’autorizzazione ad entrare, vivono circa 380 rom, di cui 200 minori.
Nonostante sia stata inaugurata, nel 2009, come struttura transitoria per far fronte a situazioni di emergenza, a quattro anni dalla sua conversione i servizi offerti all’interno di questa ex cartiera sono scarsi e inadeguati a bisogni di lunga accoglienza, di assistenza e di supporto nei diversi percorsi che una struttura di assistenza deve garantire. Inoltre, accogliendo al suo interno quasi esclusivamente persone rom con cittadinanza rumena, si connota come un luogo di discriminazione istituzionalizzata su base etnica, caratterizzata da esclusione sociale, segregazione spaziale e precarietà abitativa dove mancano percorsi finalizzati all’integrazione e al reinserimento sociale delle famiglie accolte.
Il “villaggio attrezzato” della Cesarina
In questo “villaggio attrezzato”, il più piccolo degli otto presenti a Roma, vivono circa 180 rom, di cui la metà sono minori. Tra le principali criticità di questo “campo” vi è il precario stato generale delle condizioni strutturali dell’insediamento e una serie di minacce alla sicurezza rappresentate dall’assenza di sistemi antincendio, dal frequente uso domestico di bombole gpl a causa del basso voltaggio disponibile che non permette di usare stufe elettriche e la presenza di alti alberi con molti rami spezzati che potrebbero cadere da un momento all’altro.
Gli abitanti, inoltre, denunciano di vivere in un clima di costante paura e ricatto a causa della gestione del tutto arbitraria e poco trasparente del gestore del campo: «Il gestore ci obbliga a dargli 50 euro al mese, anche se questo versamento non è previsto nel regolamento del Comune di Roma – hanno raccontato le persone ai senatori -. Per punirci ci stacca di frequente la corrente e in più per avere l’acqua per lavarci o per lavare i vestiti dobbiamo andare all’autobotte fuori dal campo. Qui non ci trattano come essere umani ma come animali. E le conseguenze peggiori sono per i bambini, che non riescono a studiare, a giocare e a vivere una vita degna di tale nome».
La reazione dei senatori
« È chiaro che chiunque viva in queste condizioni poi possa cadere nella disperazione – ha affermato la senatrice Daniela Donno al termine della visita nei “campi” -. Gli accordi internazionali prevedono una normativa che dà la possibilità a queste persone di vivere in modo dignitoso. Il Comune di Roma invece spende tanti soldi ogni giorno per non dare tutti i servizi che occorrono a queste persone, come nell’ultimo campo visitato, (La Cesarina ndr) dove gli stessi ospiti devono pagare a un privato per avere alcuni servizi».
Per il senatore Francesco Palermo serve un intervento del Parlamento: «I Comuni, invece di gestire tutto questo in silenzio, dovrebbero fare rete e fare pressione sul Parlamento affinché ci sia quella base giuridica minima per fare azioni che abbiano un senso. Io ho visto tanti campi rom in giro per l’Europa – dice ancora il senatore – ma nessuno a questo livello. Neanche in Serbia o Romania».
Secondo l’Associazione 21 luglio, «la politica dei campi, che a Roma ha un costo annuo di 20 milioni di euro,  si è dimostrata fallimentare e totalmente inefficace ai fini dell’inclusione sociale dei rom. Essa è stata attuata indistintamente da amministrazioni di centrodestra e di centrosinistra e sta continuando inesorabilmente anche oggi con il preoccupante immobilismo dimostrato finora dalla giunta Marino».
 

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Attivisti rom e sinti da tutta Italia: al via il Corso di formazione

Giovani attivisti rom e sinti Foto ERRC

Giovani attivisti rom e sinti
Foto ERRC


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Si parte! Domenica 20 ottobre inizia il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato dall’Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Diciotto giovani rom e sinti provenienti da otto regioni italiane si ritroveranno nella Capitale per il primo appuntamento dell’iniziativa che ha come obiettivo finale quello di dar voce a un attivismo rom in grado di reclamare in prima persona i propri diritti umani.
Alcuni dei giovani selezionati hanno già avuto o stanno portando avanti esperienze di attivismo nelle proprie città di provenienza: da Torino a Trieste, Rovigo, Firenze e Lucca e, ancora, Pisa, Roma, Napoli, Cosenza, Cagliari e Oristano. Da segnalare, poi, l’alto tasso di presenze femminili: su 18 partecipanti, otto sono ragazze.
In seguito all’appuntamento di domenica, nel corso del quale i formatori dell’Associazione 21 luglio e dell’ERRC affronteranno con i ragazzi le nozioni di base sui diritti umani e approfondiranno il concetto di minoranza e gli stereotipi diffusi nei confronti delle comunità rom, vi sarà un’ulteriore selezione basata sull’assegnazione di un compito motivazionale. I partecipanti che supereranno la prova proseguiranno il corso che si svolgerà con un appuntamento mensile da novembre a marzo.
Lo scopo principale del Corso, che rientra tra le attività della campagna “Stop all’apartheid dei Rom!” dell’Associazione 21 luglio, è la formazione di giovani attivisti rom e sinti sull’utilizzo degli strumenti di advocacy e dei meccanismi internazionali, nazionali e regionali di tutela dei diritti umani e di lotta alla discriminazione.
In particolare, i partecipanti apprenderanno ad analizzare, monitorare e denunciare le problematicità riscontrate dalle proprie comunità nelle rispettive città e le eventuali violazioni dei diritti umani. Impareranno anche a promuovere azioni concrete di tutela dei diritti umani, costruendo allo stesso tempo relazioni e collaborazioni con organizzazioni della società civile impegnate su tali tematiche.
Le lezioni del corso saranno basate su una modalità didattica partecipata, in modo da consentire il coinvolgimento attivo dei giovani e una continua e costruttiva interazione con il personale formatore. Alla teoria saranno inoltre affiancati momenti di pratica dei diritti umani, tra cui un laboratorio sulla comunicazione e l’ideazione di una campagna di advocacy.
Oltre che dai formatori di Associazione 21 luglio ed ERRC, le lezioni saranno tenute da esperti esterni impegnati nel campo della tutela dei diritti umani.
Il  Corso di formazione costituirà un’occasione unica per immergersi nella teoria e nella pratica dei diritti umani, i diritti delle minoranze e la lotta alle discriminazioni e consentirà ai partecipanti di stabilire contatti tra di loro e con gli esperti, assicurando che il programma sia istruttivo e piacevole.
Alla fine del corso, ai partecipanti più meritevoli sarà offerto un tirocinio retribuito della durata di tre mesi presso la sede dell’Associazione 21 luglio, a Roma, o dell’ERRC a Budapest.
(16 ottobre 2013)

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foto Andrea Sermoneta

foto Andrea Sermoneta


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Al via oggi la nuova Campagna “Stop all’apartheid dei Rom” dell’Associazione 21 luglio.

Si continua a chiamarli “nomadi”, ma ormai da diverse generazioni sono comunità stanziali. Si dice che non vogliano integrarsi, ma per loro le istituzioni individuano come unica soluzione alloggiativa quei mega campi monoetnici, luoghi di degrado fisico e relazionale lontani dai centri abitati. Continua a leggere

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