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La cittadinanza italiana non è più un miraggio: il caso di Emina

I diritti per il riconoscimento delle seconde generazioni in Italia hanno fatto un piccolo passo avanti. Il Tribunale ordinario di Roma ha riconosciuto infatti la cittadinanza italiana di Emina, rom ventenne di origini bosniache nata e cresciuta a Torino, dopo che la sua richiesta era stata rifiutata nel 2012 dal comune di residenza.
Emina ha vissuto in un campo fino all’età di otto anni, poi è stata data in affidamento e il Tribunale per i Minorenni ha nominato tutore della ragazza il Comune di Roma. Compiuti i 18 anni, Emina ha presentato subito la sua richiesta per ottenere la cittadinanza italiana ma il Comune di Torino l’ha rigettata contestando l’ottenimento tardivo, nel 2009, del permesso di soggiorno. Il diniego è stato spiegato con l’assenza della cosiddetta “residenza legale” che richiede, oltre alla residenza effettiva, un possesso continuato del permesso di soggiorno. Il Comune di Torino non aveva però tenuto in conto una nuova disposizione introdotta nel 2013 (art.33, D.L. 69/2013) secondo cui il richiedente non può essere penalizzato a causa dell’inefficienza dei genitori o della Pubblica Amministrazione che hanno avuto il minore sotto la propria tutela, qualora al momento della richiesta sia in grado di presentare una serie di altri documenti che accertino la propria residenza costante sullo stesso territorio. Nel caso di Emina, come in tanti altri, né i genitori né poi la Pubblica Amministrazione cui era stata affidata la tutela avevano precedentemente provveduto alla sua registrazione all’anagrafe.
Emina si è rivolta ad uno sportello giuridico dell’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) dove ha conosciuto l’avvocato Alessandro Maiorca che ha preso in carico la sua causa e, sostenuto da un finanziamento dell’ERRC (European Roma Rights Centre), ha proposto di citare in giudizio il Ministero dell’Interno chiedendo uno spostamento dell’azione legale presso il Tribunale Ordinario di Roma. Qui, la ragazza ha potuto presentare tutta la documentazione che attestava la sua effettiva permanenza sul territorio italiano nel corso dei suoi vent’anni di vita: certificati di battesimo e cresima, certificati di iscrizione scolastica, iscrizione alla ASL e, addirittura, l’attestato di frequenza del gruppo Scout di zona dal 2005 al 2011.
Ed ecco l’elemento di novità che apre, forse, uno spiraglio per le seconde generazioni. Di fronte alla documentazione presentata, infatti, a gennaio 2016 il Tribunale di Roma ha emesso una sentenza che riconosceva la cittadinanza italiana di Amina, nonostante la ragazza avesse presentato domanda prima della circolare del 2013. La sentenza infatti statuisce che «Una lettura della norma costituzionalmente orientata impone di ritenerla applicabile, almeno in via interpretativa, anche a chi, al momento dell’entrata in vigore aveva già compiuto i 18 anni, ma aveva proposto domanda nei termini prescritti dalla legge».

Rom, «Commissione UE apra procedura d'infrazione contro l'Italia»

Roma, Londra, Budapest, 26 febbraio 2016 – Nel 2011 la Commissione europea, consapevole delle pratiche discriminatorie e della lunga storia di marginalizzazione sofferta dai rom in Europa, aveva adottato una Comunicazione in cui richiedeva agli stati membri di sviluppare strategie nazionali per l’integrazione dei rom, individuando le politiche e le misure concrete da adottare.
Il 28 febbraio 2012, il governo italiano aveva quindi adottato la sua Strategia nazionale per l’inclusione dei rom (da qui in poi, la Strategia) al fine di delineare il piano d’azione delle politiche pubbliche 2012-2020, incentrate su una graduale eliminazione della povertà e dell’esclusione sociale delle comunità rom marginalizzate in quattro settori principali: salute, educazione, lavoro e alloggio.
Purtroppo, nonostante siano trascorsi quattro anni dall’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rimangono seriamente preoccupati a causa della mancanza di progressi fatti dall’Italia.
Ad oggi, infatti, i diritti umani di migliaia di rom continuano a essere limitati, soprattutto nel settore dell’alloggio, visto che campi segregati, discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e sgomberi forzati restano una realtà quotidiana per i rom che vivono nei campi in Italia. È in tale contesto che le tre organizzazioni hanno rivolto un appello alla Commissione europea affinché intraprenda un’azione decisiva contro queste violazioni, che costituiscono un’infrazione della Direttiva che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, attraverso l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia.
Decenni di discriminazione, senza nessuna soluzione in vista
Per decenni, le autorità italiane hanno favorito la segregazione abitativa dei rom e le autorità locali e regionali hanno insistito nel proporre i “campi” come unica soluzione alloggiativa possibile e appropriata per i rom. Nel 2008, con l’introduzione della cosiddetta “Emergenza nomadi”, le autorità italiane si sono concentrate sugli sgomberi forzati delle comunità rom e hanno perseguito politiche che favorivano la segregazione abitativa. Queste politiche discriminatorie sono continuate anche dopo che, nel novembre 2011, il Consiglio di Stato aveva dichiarato l’illegittimità dello stato di emergenza. Successivamente è stata adottata la Strategia, che è stata accolta come una misura volta a superare il precedente approccio emergenziale e a promuovere la protezione dei diritti delle persone appartenenti a una delle comunità più marginalizzate in Europa.
Tuttavia, le speranze suscitate della Strategia sono durate poco. Per anni Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno ampiamente documentato la mancanza di progressi e il persistere, in tutta Italia, delle consuete politiche da parte delle autorità italiane: politiche che hanno impedito ai rom di godere del loro diritto a un alloggio adeguato al pari del resto della popolazione. Ciò contraddice lo spirito e i contenuti della Strategia e gli obblighi, internazionali e regionali, dell’Italia sul piano dei diritti umani, compresa la legislazione europea contro la discriminazione.
La persistente discriminazione dei rom si manifesta in tre modalità principali: segregazione in campi monoetnici, spesso caratterizzati da condizioni abitative sotto gli standard; discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare; sgomberi forzati.
I campi: unica scelta abitativa per i rom
Migliaia di famiglie rom vivono attualmente segregate in campi monoetnici istituiti dalle autorità locali in tutta Italia. Le disposizioni regionali e municipali autorizzano le autorità italiane a costruire e gestire campi per soli rom, spesso situati in aree remote, distanti dai servizi di base e a volte inabitabili, perché, ad esempio, vicino a discariche e a piste di aeroporti. Le condizioni abitative nei campi sono spesso inadeguate, non rispettose degli standard internazionali dei diritti umani e persino delle regolamentazioni nazionali in tema di alloggio. La sistemazione nei campi è offerta dalle autorità solo ai rom, spesso in seguito a sgomberi forzati da insediamenti informali.
Nonostante la Strategia assicuri il “superamento dei campi”, affermando che “l’uscita dal campo come luogo di degrado relazionale e fisico delle famiglie e delle persone di origine rom, e il loro ricollocamento in abitazioni dignitose, sia possibile”, poco è stato fatto dalle autorità a tale fine. Il “Tavolo nazionale sull’alloggio”, stabilito dalla Strategia per affrontare la discriminazione nell’accesso all’alloggio, è ancora lettera morta. Nessun piano nazionale è stato disegnato per il previsto processo di desegregazione dai campi. Al contrario, in alcuni casi le autorità hanno addirittura pianificato e/o avviato la costruzione di nuovi campi.
Proprio recentemente, il 4 febbraio 2016, il comune di Giugliano in Campania, la regione Campania, la prefettura di Napoli e il ministero dell’Interno hanno concordato la costruzione di un nuovo campo, costituito da 44 prefabbricati, per i rom che attualmente vivono nell’insediamento formale di “Masseria del Pozzo”. Il campo di “Masseria del Pozzo” è stato istituito dalle autorità locali nel 2013 – un anno dopo l’approvazione della Strategia – per ospitare le famiglie rom che avevano già subito diversi sgomberi forzati. Le famiglie furono allora autorizzate a costruire le loro baracche in un’area remota, che presentava problemi seri per la sicurezza e la salute, in quanto situata in prossimità di una discarica per rifiuti tossici. Da allora le condizioni abitative del campo sono diventate insostenibili, anche a causa di problemi con le fogne e l’acquedotto. A causa delle precarie e degradanti condizioni strutturali e igieniche del campo, le autorità giudiziarie hanno recentemente ordinato il sequestro dell’area in cui questo è ubicato. In risposta a questa situazione, le autorità stanno pianificando la costruzione di un nuovo campo a pochi chilometri di distanza.
Mentre è chiaro che le famiglie residenti a “Masseria del Pozzo” debbano essere urgentemente ricollocate lontano dal campo, è preoccupante che le stesse autorità che le hanno alloggiate lì in passato, non abbiano previsto un piano per la loro inclusione a lungo termine e stiano ora offrendo, come unica alternativa, la costruzione di un altro campo monoetnico in cui trasferirle. Infatti, se da un lato il Ministero dell’Interno e la Regione Campania hanno già allocato 1,3 milioni di euro per la costruzione dei prefabbricati, non sono state garantite risorse per implementare più ampie misure di integrazione come previsto dal progetto.
Infatti, anche se il progetto si riferisce ad “alloggio adeguato e integrazione delle famiglie rom”, in pratica offre solo la costruzione di un nuovo campo che ospiterà soltanto famiglie rom in 44 unità abitative prefabbricate, per il quale il ministero dell’Interno e la Regione Campania spenderanno 1.3 milioni di euro.
La discriminazione dei rom nell’accesso all’alloggio
La segregazione è spesso aggravata dall’estrema difficoltà riscontrata dai rom nell’accedere ad un alloggio adeguato. A molti rom è stato essenzialmente negato l’accesso a un alloggio regolare e socialmente non segregante, non solo a causa della mancanza di investimenti volti ad accrescere la disponibilità di sistemazioni accessibili in linea con i bisogni della popolazione in generale, ma anche a causa dell’introduzione da parte delle autorità locali di criteri di accesso agli alloggi di edilizia popolare che direttamente o indirettamente discriminano i rom. Di fronte a queste azioni delle autorità locali che prevedono un trattamento differenziato dei rom rispetto ai non rom sulla base della loro origine razziale o etnica, il governo nazionale ha fallito nell’intraprendere azioni contro queste pratiche discriminatorie.
Per esempio a Roma, i rom bisognosi di alloggio sono stati trattati in maniera differenziata sulla base della loro etnicità. Per oltre un decennio, un sistema di alloggio assistito a doppio binario ha condannato migliaia di rom, e solo rom, a vivere in sistemazioni segreganti e inadeguate all’interno di campi sorti nelle periferie della città. Se da un lato c’è una disponibilità molto limitata di alloggi sociali per la popolazione in generale, che lascia migliaia di famiglie bisognose di alloggio in uno stato di abbandono, dall’altro i rom che vivono nei campi sono stati estromessi dall’accesso agli alloggi di edilizia popolare a causa di criteri di allocazione per loro impossibili da soddisfare. Le famiglie rom che hanno mostrato la volontà di accedere ad altre forme di alloggio, piuttosto che essere sostenute nella scelta di lasciare i campi, sono state essenzialmente ostacolate dalle autorità.
Sgomberi forzati dei rom
La Strategia ha riconosciuto come “eccessivo” il ricorso agli sgomberi attuato fino a quel momento e come questa pratica sia stata “sostanzialmente inadeguata” nell’affrontare la situazione alloggiativa dei rom.
Ciò nonostante, l’Italia ha continuato a sgomberare i rom dai campi informali senza le necessarie tutele quali ad esempio la consultazione genuina e un preavviso adeguato, in violazione degli obblighi internazionali e regionali del paese in tema di diritti umani e contrariamente a quanto avviene per altri sgomberi effettuati in Italia. Alle famiglie rom spesso non vengono fornite alternative di alloggio adeguate e sono frequentemente lasciate senza casa o trasferite in campi segregati etnicamente o collocate indefinitamente in centri per l’accoglienza temporanea. In alcuni casi i rom sono sgomberati da insediamenti autorizzati. Questo generalmente avviene quando le autorità decidono di chiudere tali campi senza offrire agli abitanti alternative adeguate, o quando gli abitanti non rispettano i regolamenti dei campi. Molti di questi regolamenti limitano intrinsecamente le libertà delle famiglie rom e non sono applicabili ad altre forme di alloggio.
Da marzo a settembre 2015, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno rilevato che nel comune di Roma il numero di sgomberi forzati di rom è triplicato rispetto all’anno precedente (64 operazioni di sgombero nel 2015 contro le 21 del 2014). Sebbene secondo le stime del dipartimento delle Politiche sociali i rom che vivono nei campi informali sono circa 2300 – 2500 persone, ovvero lo 0.09% della popolazione totale, i 168 sgomberi forzati eseguiti tra il 2013 e il 2015 hanno interessato circa 4000 rom. Alcune di queste persone sono state ripetutamente soggette a sgomberi forzati dai loro insediamenti e i loro alloggi sono stati ripetutamente distrutti.
Il caso della comunità rom di origine rumena residente negli insediamenti informali nell’area del parco di Val D’Ala rappresenta un esempio, sfortunatamente non isolato. Gli abitanti sono stati inizialmente sgomberati il 9 luglio 2014. Il 14 luglio 2015 le autorità locali hanno nuovamente sottoposto a sgombero forzato la comunità dallo stesso luogo e ricollocato parte degli abitanti in un centro di accoglienza per soli rom, al di sotto degli standard abitativi. L’11 febbraio 2016 le famiglie rom sono state nuovamente vittime di uno sgombero forzato, che ha lasciato tutte le persone senza casa in presenza condizioni meteorologiche avverse. Tutti e tre gli sgomberi sono stati effettuati in assenza di un adeguato preavviso scritto e hanno comportato la perdita di beni delle famiglie coinvolte.
Nel 2016 suonerà un campanello d’allarme per le autorità italiane?
A quattro anni dall’adozione della Strategia migliaia di uomini, donne e bambini rom presenti in Italia affrontano costantemente il diniego del loro diritto a un alloggio adeguato. Nonostante persegua giusti obiettivi, compreso un maggiore accesso a una varietà di soluzioni abitative per i rom finalizzate al necessario superamento dei campi monoetnici, la Strategia ha chiaramente fallito nel raggiungerli. Fondamentalmente, la Strategia non sta apportando miglioramenti concreti alla vita delle persone che appartengono a una delle comunità più marginalizzate del paese. Le autorità italiane, che continuano a infrangere i propri impegni e la stessa legislazione europea, hanno bisogno di essere richiamate alle proprie responsabilità.
Per diversi anni, numerose organizzazioni internazionali e nazionali hanno sollevato le loro preoccupazioni riguardo la discriminazione e la segregazione dei rom ad opera delle autorità italiane. Tali organizzazioni si sono inoltre appellate ripetutamente alla Commissione europea affinché adottasse la “procedura d’infrazione” per garantire che l’Italia affrontasse efficacemente queste violazioni dei diritti umani. La segregazione nei campi, la discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e gli sgomberi forzati rappresentano infatti una grave infrazione della Direttiva sull’uguaglianza razziale che proibisce la discriminazione nell’accesso ai servizi, incluso l’alloggio.
In vista dell’anniversario dell’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rivolgono un appello alle autorità italiane affinché pongano fine alla discriminazione di lunga data dei rom nell’accesso a un alloggio adeguato, e alla Commissione europea affinché intensifichi rapidamente il suo coinvolgimento e impieghi i necessari strumenti legali per chiamare l’Italia a rispondere della violazione di diritti garantiti dalla legislazione europea. Dal momento che la Commissione Junker ha conferito grande importanza a un’attuazione uniforme della legislazione europea, le tre organizzazioni sollecitano l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia, considerato che per lungo tempo le sue autorità non hanno fornito risposte adeguate.

Tribunale condanna Comune Roma: campi rom discriminano

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».

Campi rom discriminatori: Tribunale condanna Comune di Roma

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».

L'Ombudsman Ue: «No a fondi Ue per violare i diritti dei rom»

No ai fondi europei utilizzati per finanziare progetti che discriminano i rom in Italia, violandone i diritti umani fondamentali.
È una delle raccomandazioni rivolte dall’Ombudsman, il Mediatore europeo, Emily O’Reilly, alla Commissione Europea relativamente all’implementazione, da parte degli Stati membri, dei cosiddetti programmi di coesione, finanziati con i 350 miliardi di euro dei “Fondi Europei Strutturali e d’Investimento” per il periodo 2014- 2020.
La raccomandazione dell’Ombudsman si riferisce a un progetto del Comune di Napoli per la costruzione di un nuovo insediamento segregante per soli rom ed è stata inclusa tra le otto proposte avanzate alla Commissione in seguito a una richiesta formale di informazioni da parte dell’Ombudsman all’Associazione 21 luglio e al Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC), attraverso la Piattaforma per i Diritti Fondamentali dell’Agenzia per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.
«La Commissione Europea non dovrebbe permettersi di finanziare, con denaro europeo, azioni che non sono in linea con i più alti valori dell’Unione, vale a dire i diritti, le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Ue – ha dichiarato l’Ombudsman Emily O’Reilly in un comunicato stampa -. Tra le questioni riguardanti i diritti fondamentali di cui sono stata messa al corrente nel corso delle mie indagini figura il progetto di un’area segregante per i rom finanziato, come riportato pubblicamente, da fondi Strutturali e d’Investimento. Sono fiduciosa che la Commissione accoglierà le mie proposte in questa prima fase del periodo di finanziamenti 2014-2020».
Rispondendo alla richiesta d’informazioni giunta dall’Ombusdman, l’Associazione 21 luglio e l’ERRC avevano sottolineato il caso di Cupa Perillo, l’insediamento informale che sorge nel quartiere Scampia, a Napoli, dove vivono da circa vent’anni 800 rom, tra cui 300 minori.
Nel 2013 il Comune di Napoli aveva iniziato a lavorare a un progetto per la costruzione di un insediamento segregante temporaneo per soli rom che avrebbe dovuto ospitare 400 degli 800 rom che sarebbero stati sgomberati da Cupa Perillo. Per la realizzazione di tale progetto, il Comune partenopeo avrebbe utilizzato circa 7 milioni di euro provenienti dai fondi europei.
Venuta a conoscenza di tale progetto, una coalizione di organizzazioni della società civile composta da Associazione 21 luglio, ERRC, OsservAzione e Chi Rom e…Chi No ha inviato una serie di lettere di preoccupazione alla Commissione Europea per sottolineare sia il carattere segregante e discriminatorio del progetto che la sua incompatibilità con gli standard minimi previsti dall’edilizia sociale.
In seguito all’azione congiunta delle organizzazioni, il progetto è stato bloccato e il nuovo insediamento segregante per i rom di Cupa Perillo non è stato realizzato.

Il prof. Vitale e gli stereotipi sui rom

Si è conclusa la prima giornata del corso di formazione per attivisti rom e sinti, giunto quest’anno alla sua terza edizione.
Il primo docente a dare il benvenuto ai ragazzi è stato Tommaso Vitale – professore associato di Sociologia presso Sciences Po, Centre d’Etudes Europennes, Parigi – che si è soffermato sul tema degli stereotipi razzisti. Ha spiegato come modelli generalizzati possono sfociare nella discriminazione anche quando si ragiona seguendo un’ottica paternalista e assistenzialista, ha discusso del concetto di razzismo istituzionale focalizzando le riflessioni dei partecipanti sulla necessità di abbattere gli stereotipi e i pregiudizi costruiti intorno ai rom e ai sinti, anche quando all’apparenza sembrano restituire un’immagine positiva.
«Grazie al confronto con questi ragazzi ho imparato molto anche io – ha confidato Tommaso Vitale -sarà molto utile per i miei studi e le ricerche future».

Per maggiori informazioni sul Corso per attivisti rom e sinti, organizzato da Associazione 21 luglio, Amnesty International – Sezione Italiana e dal Centro Europeo dei Diritti dei Rom clicca qui.

Napoli, no a un nuovo campo segregante per i rom

campo rom Napoli[tfg_social_share]L’Associazione 21 luglio, il Centro Europeo per i Diritti dei Rom (European Roma Rights Centre, ERRC) e OsservAzione, il 21 novembre hanno inviato una lettera al Comune di Napoli per esprimere la loro preoccupazione in merito al piano del Comune di sgomberare la comunità rom di Cupa Perillo, e rialloggiare soltanto la metà di essa in un nuovo campo segregante.
Le organizzazioni hanno sottolineato che queste politiche serviranno soltanto a consolidare la segregazione piuttosto che favorire la piena inclusione sociale, in violazione di quanto stabilito dai parametri legali nazionali e dell’Unione Europea.
Come confermato da Roberta Gaeta, assessore alle politiche sociali, in occasione di un incontro pubblico tenutosi il 21 Novembre, il Comune di Napoli progetta di sgomberare gli attuali campi informali di Cupa Perillo. Il Comune intende utilizzare circa 7 milioni di Fondi Europei per lo Sviluppo Regionale (FESR) per costruire un nuovo campo segregante nella stessa area in cui alloggiare circa metà dell’attuale popolazione dei campi informali, in contrasto con gli obblighi legali nazionali e internazionali. Le autorità locali inoltre non hanno chiarito cosa accadrà alla restante parte della popolazione (circa 400 persone) che attualmente vive nei campi informali di Cupa Perillo dopo lo sgombero.
Le organizzazioni firmatarie hanno scritto alla Commissione Europea per segnalare lo sgombero pianificato e la costruzione di un altro campo segregante con fondi europei. Nella sua risposta la Commissione Europea ha chiarito che «il progetto […] non sembrerebbe in linea con gli obiettivi dei FESR», opponendosi così a quanto pianificato dal Comune di Napoli per l’utilizzo dei summenzionati fondi.
Per tali motivi Associazione 21 luglio, ERRC e OsservAzione chiedono con urgenza al Comune di Napoli di rispettare i parametri legali europei e nazionali e chiedono con forza di non costruire un altro campo segregante per la comunità rom, ma di fornire invece a tutti gli abitanti dei campi informali di Cupa Perillo (circa 800) soluzioni abitative accessibili in un ambiente integrato supportando l’inclusione abitativa con misure specifiche in settori chiave quali l’istruzione, la salute e il lavoro.
Il presente comunicato stampa è disponibile anche in inglese sul sito dell’ERRC.
La lettera al Comune di Napoli è disponibile in inglese e italiano

Attivisti rom e sinti: comincia l'avventura

Provengono da nove città italiane, da nord a sud, e hanno un’età media di 25 anni. Sono i 16 giovani rom e sinti – sette ragazze e nove ragazzi – selezionati per partecipare alla seconda edizione del Corso di formazione per attivisti organizzato da Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
I candidati selezionati parteciperanno al primo dei quattro incontri del Corso, che si terranno tutti nella Capitale, il 27 e 28 settembre. Alghero, Bologna, Cagliari, Foggia, Guidonia, Grottaferrata, Lucca, Roma e Vicenza le loro località di provenienza.
Vista l’alta qualità delle candidature ricevute, gli organizzatori del Corso hanno deciso di incrementare di quattro unità i posti a disposizione, rispetto ai 12 previsti,  dando così la possibilità a più ragazzi/e di partecipare agli incontri di formazione.
Il primo weekend formativo si articolerà attraverso due sessioni tematiche principali:
la percezione dei rom in Italia;
diritti umani: concetto, principi, strumenti.
I successivi incontri di formazione si terranno il 18-19 ottobre, il 15-16 novembre e il 13-14 dicembre.
Tutte le spese del Corso, organizzato grazie al sostegno dell’otto per mille della Chiesa valdese, sono a carico degli organizzatori.

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Corso per attivisti rom e sinti: iscrizioni chiuse

Scaduto il termine per le iscrizioni, previsto per il 31 agosto, è in corso la selezione dei 12 candidati che parteciperanno alla seconda edizione del Corso di formazione per attivisti rom e sinti, organizzato da Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC), con il sostegno dell’otto per mille della Chiesa Valdese.
L’Associazione 21 luglio ringrazia tutti i candidati per l’interesse mostrato nei confronti dell’iniziativa e comunica che nei prossimi giorni saranno resi noti gli esiti della selezione. I 12 candidati considerati idonei saranno contatti personalmente e parteciperanno al primo incontro del Corso, il 27 e 28 settembre a Roma.
Il Corso di formazione per attivisti rom e sinti si svolgerà secondo un calendario di 4 incontri formativi, fino a dicembre 2014. Tutti gli incontri si terranno nella Capitale e le spese saranno interamente a carico degli organizzatori.
Al termine dell’iniziativa, i partecipanti riceveranno un attestato di partecipazione e per i più meritevoli è prevista la possibilità di svolgere un tirocinio retribuito della durata di tre mesi presso la sede dell’Associazione 21 luglio.

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