Presentata la ricerca: "So Dukhalma – quello che mi fa soffrire"
In occasione della Giornata Mondiale dei Diritti Umani è stata presentata ieri, presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, la nuova ricerca dell’Associazione 21 luglio: “So Dukhalma – quello che mi fa soffrire. Il disagio interiore dei giovani e delle famiglie rom residenti negli insediamenti istituzionali”.
L’indagine è partita da un campione di famiglie rom con una storia migratoria molto simile, che inizialmente si era insediato nel campo informale di Vicolo Savini – a Roma – e successivamente si è disgregato facendo scelte abitative differenti. Nel 2005, infatti, di fronte all’intimazione di sgombero della giunta Veltroni, una parte ha accettato la sistemazione nel nuovo campo di Castel Romano, un’altra parte (minoritaria) ha deciso di occupare uno stabile e abitare all’interno di una casa convenzionale.
La ricerca si è calata nella realtà del «villaggio della solidarietà» di Castel Romano, un ghetto sovraffollato nel quale vivono 1200 persone, collocato sulla Pontina (una strada provinciale a scorrimento veloce), distante dal centro di Roma oltre 30 Km e localizzato nei pressi di una riserva naturale abitata da cinghiali e serpenti. Il campo è completamente isolato sia dai centri urbanizzati dell’area circostante sia dalle zone commerciali, per cui anche fare la spesa diventa estremamente complicato per chi è privo di automobile.
All’interno di questo scenario, l’analisi ha cercato di cogliere le conseguenze psicologiche che un tale contesto di esclusione sociale può avere sulla vita e i comportamenti dei minori e delle famiglie. Ne è risultato che la maggior parte dei giovani e dei bambini, privati di spazi per giocare ed esprimere la propria personalità oltre che impossibilitati ad un confronto con la società esterna, sfogano la propria noia e l’insoddisfazione anche in forme di autolesionismo, rabbia e fame nervosa.
Dalla ricerca emerge – inoltre – come anni di politiche assistenzialistiche realizzate su base etnica abbiano azzerato la progettualità di uomini e donne rom che hanno visto generazioni intere nascere e crescere nei campi, in un contesto di segregazione, esclusione e discriminazione.
Completamente diverso il destino delle famiglie che nel 2005 hanno scelto di rifiutare la sistemazione nel campo di Castel Romano. Oggi queste persone sono orgogliose della loro autonomia e rivendicano la propria scelta. Come nel caso di Sevla Sejdic, capofamiglia rom intervenuta ieri pomeriggio per portare la sua testimonianza durante la presentazione. Dopo l’esperienza nel campo di Vicolo Savini, ha occupato uno stabile abbandonato e attualmente abita in una casa convenzionale. «Il campo ti spegne la vita» – ricorda – «oggi ho una casa come tutti e sono felice, per me e per i miei figli, di aver rifiutato il trasferimento a Castel Romano».
La ricerca è stata realizzata con il sostegno della Bernard van Leer Foundation.
L’autrice del testo è Angela Tullio Cataldo, la quale ha condotto l’intera ricerca con il supporto di Luca Facchinelli, Cristiana Ingigneri, Emiliana Iacomini e sotto la supervisione scientifica di Natale Losi, direttore della Scuola Quadriennale di Psicoterapia Etno Sistemico Narrativa di Roma.
Le fotografie del reportage sono state scattate da Stefano Sbrulli, fotoreporter e digital designer, presso il “villaggio della solidarietà” Castel Romano e presso le famiglie rom residenti in abitazioni private a Roma.
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