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Sgombero forzato per 250 rom. Associazione 21 luglio: «grave violazione dei diritti fondamentali»

Associazione 21 luglio condanna con fermezza lo sgombero forzato che ha coinvolto 250 persone di origine rom avvenuto questa mattina a Roma: «ennesima ferita di una città incapace di dare risposte».
Roma, 13/2/2018. Sono iniziate all’alba di questa mattina le operazioni di sgombero forzato di 250 persone di origine rom – tra cui circa 130 minori, donne incinte e anziani – che occupavano lo stabile di via Tiburtina 781 a Roma, un capannone industriale di proprietà della Società Romana Tiburtina Immobiliare S.p.A.
Le forze dell’ordine, un dispiego di Polizia Municipale, Carabinieri e Polizia di Stato, si sono presentate in tenuta antisommossa e hanno iniziato le operazioni di sgombero in evidente violazione degli obblighi internazionali e senza rispettare alcuna delle garanzie procedurali in materia di sgomberi previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite, in parte fatte proprie dal Decreto Minniti (legge 48/2017). L’operazione non è stata infatti preceduta da alcuna notifica scritta alle famiglie e – soprattutto – non è stata fornita alcuna soluzione abitativa alternativa.
I residenti, di origine rumena, abitavano nello stabile da circa un anno e provenivano da ripetuti sgomberi di insediamenti informali. Nel 2017 sono state 33 le operazioni di sgombero forzato a Roma, che hanno coinvolto 557 persone, tutte appartenenti alla comunità rom.
Come denuncia da sempre Associazione 21 luglio, gli sgomberi forzati non fanno che aggravare le condizioni di vulnerabilità delle persone coinvolte e, oltretutto, interrompono irrimediabilmente il percorso scolastico dei minori coinvolti. Numerosi infatti le bambine e i bambini sgomberati oggi che frequentavano le scuole del quartiere (Istituto Comprensivo di Via Cortina e Istituto Comprensivo Palombini) e che difficilmente riusciranno a riprendere gli studi con regolarità.
Si tratta del primo sgombero forzato dopo quello di Piazza Indipendenza e dopo la circolare del Ministero dell’Interno – la n. 11001/123/11(1) – nella quale si ribadisce la necessità di tutelare i nuclei familiari più vulnerabili e in condizioni di grave disagio economico.
«Dopo il giusto clamore suscitato lo scorso agosto dallo sgombero di Piazza Indipendenza – ha sottolineato Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – si prova amarezza nel constatare il silenzio che ha accompagnato lo sgombero odierno. Quella di oggi è una gravissima violazione dei diritti fondamentali – aggiunge – che provoca un’ennesima ferita nel corpo di una città incapace di ascoltare e di dare risposte a fasce di popolazione doppiamente discriminate: perché povere, perché di etnia rom».

Per maggiori informazioni:
Elena Risi
Ufficio stampa e comunicazione
Associazione 21 luglio
Tel. 06.64815620 – 388.4867611
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Sgomberi forzati

Roma, superato ieri il numero di sgomberi forzati di tutto il 2016

Lunedì mattina (23 ottobre) presso via di Torre Spaccata si è consumato a Roma lo sgombero forzato numero 29 dall’inizio del 2017 nei confronti di un insediamento informale abitato da circa 20 persone di cui almeno un minore.
Con quella di ieri si è superato il totale di operazioni effettuate dalle forze dell’ordine in tutto il 2016, stimando il coinvolgimento di 363 persone e un costo totale di 455.565 euro che equivale a una spesa pro-capite di 1255 euro. Già in estate Associazione 21 luglio aveva espresso la propria preoccupazione pubblicando un brief dal titolo significativo, “il ritorno delle ruspe”, in cui denunciava un incremento degli sgomberi forzati pari al 133% negli ultimi otto mesi (1° novembre 2017 – 30 giugno 2017) rispetto agli otto precedenti.
Gli sgomberi forzati violano i trattati internazionali sui diritti umani che riconoscono il diritto a un alloggio adeguato tra cui il Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. Quest’ultimo ha specificato che gli sgomberi possono essere effettuati esclusivamente come ultima risorsa, dopo aver esaurito tutte le altre possibili alternative, e solamente quando vengano predisposte delle appropriate garanzie procedurali quali: a) una genuina ed effettiva consultazione con gli interessati; b) la previsione e l’accesso a vie di ricorso legale e la possibilità di ottenere una compensazione adeguata per la perdita dei beni privati; c) un preavviso congruo e ragionevole riguardo l’operazione e le informazioni adeguate sulle modalità dell’operazione; d) la presenza di rappresentanti istituzionali e la possibilità di identificare tutti coloro che conducono lo sgombero; e) il divieto di condurre lo sgombero durante le ore notturne o in condizioni meteorologiche avverse; f) la predisposizione di soluzioni alternative adeguate per coloro che non sono in grado di provvedere a loro stessi; g) il divieto di rendere senza tetto le persone interessate dallo sgombero né di renderle vulnerabili a ulteriori violazioni dei diritti umani.
Nell’esprimere la propria preoccupazione di fronte alla netta intensificazione delle operazioni di sgombero forzato a Roma Associazione 21 luglio ribadisce la necessità di abbandonare l’approccio sicuritario in favore di politiche sociali inclusive, anche per quanti vivono negli insediamenti informali della Capitale.

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Il ritorno delle ruspe: nuovo brief sugli sgomberi forzati a Roma

A Roma negli ultimi 8 mesi gli sgomberi forzati verso i rom sono aumentati del 133%. Associazione 21 luglio: «Servono provvedimenti sociali abbandonando l’approccio sicuritario».

ROMA –  12/7/2017. Nella Capitale le ruspe sono tornate in piena attività. Lo dicono i dati raccolti nell’ultimo report di Associazione 21 luglio – “Il ritorno delle ruspe. Briefing sui recenti sgomberi forzati nei confronti di rom e migranti in transito nella città di Roma” – che riportano un incremento degli sgomberi forzati pari al 133% negli ultimi otto mesi (1° novembre 2016 – 30 giugno 2017) rispetto agli otto precedenti.

In pieno contrasto con quanto raccomandato dagli enti internazionali di monitoraggio sui diritti umani, gli sgomberi forzati continuano ad annoverarsi tra le principali violazioni che colpiscono le comunità più vulnerabili, quelle che quotidianamente vivono segregazione e discriminazione.
Secondo il monitoraggio quotidiano di Associazione 21 luglio nel periodo di riferimento, sono stati 28 solo quelli che hanno coinvolto le comunità rom, una media mensile pari a 3,5 sgomberi, numero nettamente superiore rispetto a quello registrato negli otto mesi precedenti e pari a 1,5. Il picco delle azioni è stato riportato nel Municipio XI per una cifra complessiva di 6 sgomberi. Il numero stimato di persone coinvolte è di 478 unità per un costo totale di circa 600.000 euro.
Tutto questo a fronte di un numero davvero esiguo di persone rom che vivono in insediamenti informali nella Capitale. Se nell’ultimo quinquennio il numero era quantificato intorno alle 2.200/2.500 unità, oggi il numero non supera le 1.000 unità. Il calo è giustificato in minima parte da rientri nel Paese i origine o da spostamenti in altri Paesi Europei, ma è spiegato soprattutto dal passaggio dall’insediamento informale a strutture industriali occupate senza titolo. In una città che ha 2,9 milioni di abitanti, dunque, i rom che vivono in insediamenti informali costituiscono solo lo 0,03% della popolazione.
Un’altra importante cartina di tornasole che evidenzia la necessità di strutturare e programmare politiche abitative inclusive è rappresentata dalla situazione dei migranti transitanti che, privi di assistenza pubblica, sono presenti nel quartiere Tiburtino.
Solo nel periodo 15 aprile –  30 giugno sono stati 5 gli sgomberi forzati dei transitanti collocati a ridosso della Stazione Tiburtina, hanno coinvolto una media di 120 persone, tra cui anche minori, e hanno comportato la distruzione di tende da campeggio, sacchi a pelo e lenzuola donate da privati cittadini.
In relazione alle recenti azioni di sgombero forzato organizzate nei confronti delle comunità rom presenti negli insediamenti informali e dei gruppi di migranti transitanti, Associazione 21 luglio esprime profonda preoccupazione perché le stesse violano gli obblighi assunti dall’Italia sui diritti umani.
«È necessario abbandonare l’approccio sicuritario e strutturare una programmazione politica e sociale che includa quanti risiedono negli insediamenti informali della Capitale – raccomanda Associazione 21 luglio Onlus  – altrimenti si rischia di inaugurare una nuova stagione di ostilità e tensione sociale che, con una campagna elettorale alle porte, potrebbe rappresentare il combustibile ideale per il suo propagarsi  e il suo degenerare in azioni incontrollate».
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Elena Risi
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Condizioni inumane per gli oltre 300 rom sgomberati a Giugliano

Amnesty International, Associazione 21 luglio Onlus, Associazione Garibaldi 101, Centro Europeo per i Diritti dei Rom, Associazione Cinema e diritti – Festival del cinema dei diritti umani e OsservAzione hanno duramente condannato lo sgombero forzato eseguito il 21 giugno dalle autorità del comune di Giugliano, in provincia di Napoli, ai danni di circa 75 famiglie rom (oltre 300 persone), che dal campo di Masseria del Pozzo sono state trasferite in un’ex fabbrica e si trovano in condizioni inumane.
Le sei organizzazioni hanno sollecitato tutte le autorità competenti ad assicurare che alle famiglie colpite dallo sgombero forzato sia immediatamente offerto un riparo adeguato e che verrà approntato e realizzato per loro un piano a lungo termine, in consultazione con le famiglie interessate e nel pieno rispetto degli standard in materia di diritti umani.
Il caso di Giugliano, così come molti altri documentati dalle sei organizzazioni, mostra una volta di più la realtà quotidiana dei rom in Italia, spesso collocati in campi segregati, a rischio di sgomberi forzati e discriminati nell’accesso a un alloggio adeguato: gravi violazioni dei diritti umani, vietate dalle norme internazionali e da quelle dell’Unione europea. Per questo motivo, le sei organizzazioni chiedono alla Commissione europea di intraprendere un’azione decisiva nei confronti di queste violazioni, attraverso l’avvio di una procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione della Direttiva anti-discriminazione razziale.
Lo sgombero forzato
Il 21 giugno oltre 300 rom, tra cui decine di bambini e alcuni neonati, sono stati costretti a lasciare il campo di Masseria del Pozzo, dove erano rimasti per quasi tre anni. Quel campo per soli rom era stato costruito nel 2013 dal comune di Giugliano nelle vicinanze di una discarica di rifiuti tossici, dopo che in precedenza le famiglie rom erano state ripetutamente sottoposte a sgombero forzato.
Le sei organizzazioni riconoscono il fatto che le famiglie rom dovevano essere urgentemente spostate da Masseria del Pozzo per ragioni di salute e d’incolumità. Infatti, il campo di Masseria del Pozzo non avrebbe mai dovuto essere costruito. La necessità di risolvere la situazione d’emergenza, creata dalle stesse autorità attraverso la costruzione di un campo in una zona inabitabile, non giustifica però il ricorso a uno sgombero forzato, che costituisce una grave violazione dei diritti umani.
Le autorità non hanno mai notificato per iscritto lo sgombero, limitandosi a fornire qualche informazione a voce. A partire dal 14 giugno, le autorità locali e la polizia avevano informato le famiglie rom che lo sgombero sarebbe stato realizzato il 16 o il 23 giugno.
Invece, lo sgombero forzato ha avuto luogo il 21 giugno e le famiglie rom sono state trasferite sul terreno di un’ex fabbrica di fuochi d’artificio.
La comunità era stata informata che lo sgombero era necessario poiché i terreni di Masseria del Pozzo erano stati posti sotto sequestro dall’autorità giudiziaria sin dall’ottobre 2015, in quanto potenzialmente pericolosi per la salute e l’incolumità dei residenti. Purtroppo, le famiglie rom non sono state coinvolte in alcuna autentica consultazione per esplorare soluzioni alternative. Dopo aver inizialmente preso in considerazione un terreno lontano, privo di servizi igienico-sanitari e di forniture d’acqua, le autorità locali hanno deciso di trasferire le 75 famiglie rom nel terreno abbandonato dell’ex fabbrica di fuochi d’artificio. Le famiglie hanno ricevuto pochissime informazioni al riguardo.
Decine di rom, incontrati da Amnesty International il 22 giugno, hanno dichiarato che non erano stati informati sulle condizioni della nuova area e che non avevano avuto la possibilità di vederla prima dello sgombero. Le famiglie rom si sono sentire dire che quella era l’unica alternativa esistente e sono state poste di fronte al dilemma se accettare il trasferimento in un luogo sconosciuto o rimanere del tutto senza tetto.
Dato che le necessarie salvaguardie – la notifica adeguata per iscritto, la genuina consultazione con la comunità e la messa a disposizione di un’alternativa alloggiativa adeguata – non sono state poste in essere prima del trasferimento, le sei organizzazioni hanno concluso che il trasferimento ha costituito uno sgombero forzato, ossia una grave violazione dei diritti umani in contrasto con gli obblighi assunti dall’Italia rispetto a una serie di norme internazionali e dell’Unione europea, tra cui la Direttiva anti-discriminazione razziale, che garantiscono il diritto a un alloggio adeguato e la protezione da ogni forma di discriminazione basata sull’etnia o sulla razza. Questo sgombero forzato e il successivo trasferimento in un ulteriore campo monoetnico si pongono inoltre in contrasto con gli impegni assunti dall’Italia nel 2012 con la Strategia nazionale d’inclusione di rom, sinti e caminanti.
Un’alternativa gravemente inadeguata
Dopo lo sgombero forzato, l’alternativa messa a disposizione dal comune di Giugliano è risultata gravemente inadeguata. Il terreno di circa 1000 metri quadrati, situato all’estremità della zona industriale del comune campano, è un area chiusa circondata su tre lati da vegetazione incolta e sul quarto da un muro con una cancellata. Nei pressi del terreno si trovano due bagni chimici, uno dei quali inagibile e l’altro in condizioni tali da costringere i residenti a recarsi nei cespugli, col conseguente impatto sulla loro salute e sull’ambiente.
All’arrivo, le famiglie rom hanno trovato rifiuti, materiale arrugginito e residui della lavorazione dei fuochi d’artificio, la cui fabbrica era stata distrutta da un’esplosione nel 2015. I rappresentanti di Amnesty International hanno rinvenuto sul posto un contenitore aperto di polvere di natura non identificata, insieme a molti altri contenitori pieni di sostanze sconosciute classificate come “polveri” e “a combustione spontanea”, insieme a pezzi apparentemente di amianto della struttura ancora in piedi nonostante i danni provocati dall’esplosione.
Il 22 giugno, le famiglie rom non avevano ancora avuto accesso all’energia elettrica e stavano usando fuochi, torce a batteria e fari delle automobili per fare luce dopo il tramonto. L’accesso all’acqua era rappresentato da quattro cannelle, insufficienti per il numero di famiglie presenti.
Le autorità locali non hanno messo a disposizione alcuna struttura o riparo. Chi aveva una roulotte ha avuto il permesso di portarla con sé da Masseria del Pozzo. Nel nuovo sito, adulti e bambini sono costretti a dormire stipati nelle roulotte o all’esterno. Almeno tre famiglie, che a Masseria del Pozzo vivevano all’interno di baracche, ora sono senza tetto e sono costrette a dormire nelle automobili o per terra. Quando Amnesty International ha visitato il nuovo campo, le persone stavano iniziando a costruire baracche improvvisate coi materiali che erano riusciti a salvare dallo sgombero di Masseria del Pozzo.
Un piano a lungo termine destinato alla segregazione
Le autorità locali hanno detto alle famiglie rom che il trasferimento sarà una misura “temporanea”, in attesa che venga costruito un nuovo campo. Sulla base della documentazione esaminata dalle sei organizzazioni e delle dichiarazioni ufficiali, nel febbraio 2016 è stata approvata a livello locale, regionale e nazionale la costruzione di un nuovo campo segregato con 44 unità abitative prefabbricate. Alla costruzione dei prefabbricati il ministero dell’Interno e la Regione Campania hanno destinato 1.300.000 euro, mentre non sono state minimamente finanziate le parti del progetto relative all’integrazione.
Non risulta inoltre esservi alcun piano per inserire nel medio e lungo termine le famiglie rom in alloggi adeguati. La comunità non è stata adeguatamente consultata nella fase definitoria del progetto e il trasferimento in un nuovo campo è stata l’unica opzione messa a disposizione. Il progetto dà adito a grandi preoccupazioni e solleva molti rischi, poiché rappresenta ancora una volta l’esempio di un modello di segregazione abitativa, per soli rom, vietata dalle norme internazionali e dell’Unione europea.
L’attiva partecipazione al progetto del ministero dell’Interno, anche attraverso il suo finanziamento, solleva forti preoccupazioni sull’effettiva intenzione del governo italiano di rispettare le norme e gli standard sui diritti umani a livello internazionale e dell’Unione europea così come la stessa Strategia nazionale per l’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti del 2012, che conteneva l’impegno a “superare i campi”.

Sgombero forzato a Roma: 500 persone in strada

Associazione 21 luglio condanna fermamente lo sgombero forzato avvenuto questa mattina a Roma, presso l’insediamento informale di via Mirri, che ha coinvolto 500 persone rom di origine rumena, tra cui donne incinte, anziani, malati e circa 250 minori, anche di pochi mesi.
Lo sgombero forzato, realizzato attraverso un consistente dispiegamento di forze dell’ordine – 15 pattuglie della Polizia municipale, tre dei Carabinieri e forze antisommossa – rappresenta l’ennesima violazione del diritto internazionale e dei diritti umani da parte delle autorità locali che, ancora una volta, lascia sulla strada famiglie intere, senza fornire loro alcuna soluzione alternativa adeguata e aumentando irrimediabilmente la loro condizione di vulnerabilità.
Lo sgombero forzato è stato realizzato in evidente violazione degli obblighi internazionali dello Stato italiano, in particolare in materia di diritto a un alloggio adeguato, e non ha rispettato nessuna delle garanzie procedurali in materia di sgomberi previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. L’operazione non è stata infatti accompagnata da una notifica formale scritta alle famiglie né da un congruo preavviso e da una genuina consultazione con le stesse. L’unica soluzione alternativa fornita  è stata il ricollocamento di appena 11 tra donne e bambini in strutture di accoglienza, con il conseguente smembramento del nucleo familiare e uomini lasciati in strada: soluzione ovviamente non accettabile da parte delle persone coinvolte.
Circa cento bambini che vivevano nell’insediamento informale frequentano regolarmente la scuola e prendono parte a progetti paralleli educativi e formativi volti a favorire la loro inclusione sociale. Tra le conseguenze drammatiche dello sgombero forzato vi sarà dunque, inevitabilmente, l’interruzione del percorso scolastico dei minori.
Anche i compagni di classe e gli insegnanti dei bambini si sono mobilitati in supporto dei bambini e delle famiglie rom, preparando delle letterine da consegnare al prefetto della Capitale.
Nel corso dello sgombero forzato,  operatori di Associazione 21 luglio, presenti sul posto per verificare l’evolversi della situazione, sono stati allontanati dall’insediamento dalle forze dell’ordine. Da segnalare anche la presenza sul posto di un presidio di militanti pro-sgombero appartenenti a Casa Pound. Alle operazioni di sgombero hanno assistito anche rappresentanti delle autorità rumene in Italia.
«Queste persone sono senza cuore. La mia preoccupazione in questo momento è che mia figlia ha solo cinque mesi e sono due giorni che non lavoro», ha raccontato una donna durante le operazioni di sgombero, mentre un bambino che assisteva sbalordito alle operazioni delle forze dell’ordine ha detto: «Io sono solo un bambino e basta». Durante lo sgombero, in segno di resistenza, le famiglie hanno tentato di rientrare nelle loro case al grido di “Siamo cittadini romani!”.
«Con lo sgombero forzato di questa mattina, le autorità locali si sono dimostrate incapaci di affrontare le problematiche di carattere sociale della città, se non attraverso la reiterazione di un approccio basato sull’emergenza e sulla sicurezza – è il commento di Associazione 21 luglio -. Si è così bruscamente interrotta, senza alcun dialogo con le famiglie, con la scuola e con le associazioni, una esperienza positiva di inclusione sociale e scolastica, condannando centinaia di persone rom a una vita di vulnerabilità e pregiudizi nei loro confronti. Oggi trattati come capro espiatorio per guadagnare consenso in vista delle imminenti elezioni amministrative, è quanto mai urgente che il prossimo sindaco della Capitale affronti la cosiddetta “questione dei rom” da una prospettiva sociale e non più etnica, mettendo finalmente una pietra sopra alle vergognose violazioni dei diritti umani che si continuano a mettere in atto nella Capitale».

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Per maggiori informazioni:

Danilo Giannese
Responsabile Comunicazione e Ufficio stampa
Associazione 21 luglio
Tel: 388 4867611

 

Peccato Capitale: consegnate le firme in Campidoglio

Associazione 21 luglio ha consegnato al commissario Tronca le firme raccolte nell’ambito della Campagna internazionale “Peccato Capitale”. Grazie all’impegno di cittadini, attivisti e sostenitori sono state presentate oltre 1800 adesioni per chiedere una moratoria sugli sgomberi forzati di uomini, donne e bambini rom residenti nella Capitale. In attesa che la prossima Giunta capitolina avvii un Tavolo di concertazione per esplorare alternative possibili in linea con il rispetto dei diritti umani, Associazione 21 luglio continuerà il lavoro di monitoraggio del flusso delle azioni di sgombero per evitare ulteriori violazioni da parte dell’attuale Amministrazione.
Nei mesi successivi al lancio della Campagna, Associazione 21 luglio ha constatato un netto calo degli sgomberi forzati nella Capitale, in concomitanza anche con l’arrivo dell’inverno: sono state 10 le operazioni registrate da novembre 2015 a marzo 2016 e hanno coinvolto 471 persone.
La Campagna era stata lanciata il 5 ottobre 2015, in seguito al lavoro di monitoraggio svolto tra gennaio e ottobre 2015 da cui è emerso che dal giorno dell’annuncio del Giubileo della Misericordia, il 13 marzo 2015, il Comune di Roma aveva triplicato il numero di sgomberi forzati effettuati, passando da una media di 3 al mese ad una di 10. Queste operazioni non rispettano le garanzie procedurali previste dagli organismi internazionali e rappresentano una pesante violazione dei diritti umani di uomini, donne e soprattutto bambini.
«Sebbene le condizioni igienico-sanitarie degli insediamenti informali siano oggettivamente inadeguate», si legge nella lettera formale allegata all’elenco delle firme, «gli sgomberi forzati non rappresentano certamente una soluzione efficace per affrontare la questione. Queste operazioni» – continua – «non fanno che rendere ancora più vulnerabili le famiglie, in molti casi le privano di un tetto, seppur precario, sopra la testa e hanno conseguenze devastanti sulla vita dei bambini, costretti peraltro a interrompere la frequenza scolastica».
La consegna delle firme al Commissario, tuttavia, non conclude la Campagna, attraverso la quale, anche nei mesi a venire, si continuerà il lavoro di monitoraggio per evitare ulteriori violazioni dei diritti umani nella Capitale anche da parte della Giunta che salirà al Campidoglio dopo le elezioni.


Foto di: Lorenzo Moscia/Popica Onlus

Rom, «Commissione UE apra procedura d'infrazione contro l'Italia»

Roma, Londra, Budapest, 26 febbraio 2016 – Nel 2011 la Commissione europea, consapevole delle pratiche discriminatorie e della lunga storia di marginalizzazione sofferta dai rom in Europa, aveva adottato una Comunicazione in cui richiedeva agli stati membri di sviluppare strategie nazionali per l’integrazione dei rom, individuando le politiche e le misure concrete da adottare.
Il 28 febbraio 2012, il governo italiano aveva quindi adottato la sua Strategia nazionale per l’inclusione dei rom (da qui in poi, la Strategia) al fine di delineare il piano d’azione delle politiche pubbliche 2012-2020, incentrate su una graduale eliminazione della povertà e dell’esclusione sociale delle comunità rom marginalizzate in quattro settori principali: salute, educazione, lavoro e alloggio.
Purtroppo, nonostante siano trascorsi quattro anni dall’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rimangono seriamente preoccupati a causa della mancanza di progressi fatti dall’Italia.
Ad oggi, infatti, i diritti umani di migliaia di rom continuano a essere limitati, soprattutto nel settore dell’alloggio, visto che campi segregati, discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e sgomberi forzati restano una realtà quotidiana per i rom che vivono nei campi in Italia. È in tale contesto che le tre organizzazioni hanno rivolto un appello alla Commissione europea affinché intraprenda un’azione decisiva contro queste violazioni, che costituiscono un’infrazione della Direttiva che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, attraverso l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia.
Decenni di discriminazione, senza nessuna soluzione in vista
Per decenni, le autorità italiane hanno favorito la segregazione abitativa dei rom e le autorità locali e regionali hanno insistito nel proporre i “campi” come unica soluzione alloggiativa possibile e appropriata per i rom. Nel 2008, con l’introduzione della cosiddetta “Emergenza nomadi”, le autorità italiane si sono concentrate sugli sgomberi forzati delle comunità rom e hanno perseguito politiche che favorivano la segregazione abitativa. Queste politiche discriminatorie sono continuate anche dopo che, nel novembre 2011, il Consiglio di Stato aveva dichiarato l’illegittimità dello stato di emergenza. Successivamente è stata adottata la Strategia, che è stata accolta come una misura volta a superare il precedente approccio emergenziale e a promuovere la protezione dei diritti delle persone appartenenti a una delle comunità più marginalizzate in Europa.
Tuttavia, le speranze suscitate della Strategia sono durate poco. Per anni Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno ampiamente documentato la mancanza di progressi e il persistere, in tutta Italia, delle consuete politiche da parte delle autorità italiane: politiche che hanno impedito ai rom di godere del loro diritto a un alloggio adeguato al pari del resto della popolazione. Ciò contraddice lo spirito e i contenuti della Strategia e gli obblighi, internazionali e regionali, dell’Italia sul piano dei diritti umani, compresa la legislazione europea contro la discriminazione.
La persistente discriminazione dei rom si manifesta in tre modalità principali: segregazione in campi monoetnici, spesso caratterizzati da condizioni abitative sotto gli standard; discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare; sgomberi forzati.
I campi: unica scelta abitativa per i rom
Migliaia di famiglie rom vivono attualmente segregate in campi monoetnici istituiti dalle autorità locali in tutta Italia. Le disposizioni regionali e municipali autorizzano le autorità italiane a costruire e gestire campi per soli rom, spesso situati in aree remote, distanti dai servizi di base e a volte inabitabili, perché, ad esempio, vicino a discariche e a piste di aeroporti. Le condizioni abitative nei campi sono spesso inadeguate, non rispettose degli standard internazionali dei diritti umani e persino delle regolamentazioni nazionali in tema di alloggio. La sistemazione nei campi è offerta dalle autorità solo ai rom, spesso in seguito a sgomberi forzati da insediamenti informali.
Nonostante la Strategia assicuri il “superamento dei campi”, affermando che “l’uscita dal campo come luogo di degrado relazionale e fisico delle famiglie e delle persone di origine rom, e il loro ricollocamento in abitazioni dignitose, sia possibile”, poco è stato fatto dalle autorità a tale fine. Il “Tavolo nazionale sull’alloggio”, stabilito dalla Strategia per affrontare la discriminazione nell’accesso all’alloggio, è ancora lettera morta. Nessun piano nazionale è stato disegnato per il previsto processo di desegregazione dai campi. Al contrario, in alcuni casi le autorità hanno addirittura pianificato e/o avviato la costruzione di nuovi campi.
Proprio recentemente, il 4 febbraio 2016, il comune di Giugliano in Campania, la regione Campania, la prefettura di Napoli e il ministero dell’Interno hanno concordato la costruzione di un nuovo campo, costituito da 44 prefabbricati, per i rom che attualmente vivono nell’insediamento formale di “Masseria del Pozzo”. Il campo di “Masseria del Pozzo” è stato istituito dalle autorità locali nel 2013 – un anno dopo l’approvazione della Strategia – per ospitare le famiglie rom che avevano già subito diversi sgomberi forzati. Le famiglie furono allora autorizzate a costruire le loro baracche in un’area remota, che presentava problemi seri per la sicurezza e la salute, in quanto situata in prossimità di una discarica per rifiuti tossici. Da allora le condizioni abitative del campo sono diventate insostenibili, anche a causa di problemi con le fogne e l’acquedotto. A causa delle precarie e degradanti condizioni strutturali e igieniche del campo, le autorità giudiziarie hanno recentemente ordinato il sequestro dell’area in cui questo è ubicato. In risposta a questa situazione, le autorità stanno pianificando la costruzione di un nuovo campo a pochi chilometri di distanza.
Mentre è chiaro che le famiglie residenti a “Masseria del Pozzo” debbano essere urgentemente ricollocate lontano dal campo, è preoccupante che le stesse autorità che le hanno alloggiate lì in passato, non abbiano previsto un piano per la loro inclusione a lungo termine e stiano ora offrendo, come unica alternativa, la costruzione di un altro campo monoetnico in cui trasferirle. Infatti, se da un lato il Ministero dell’Interno e la Regione Campania hanno già allocato 1,3 milioni di euro per la costruzione dei prefabbricati, non sono state garantite risorse per implementare più ampie misure di integrazione come previsto dal progetto.
Infatti, anche se il progetto si riferisce ad “alloggio adeguato e integrazione delle famiglie rom”, in pratica offre solo la costruzione di un nuovo campo che ospiterà soltanto famiglie rom in 44 unità abitative prefabbricate, per il quale il ministero dell’Interno e la Regione Campania spenderanno 1.3 milioni di euro.
La discriminazione dei rom nell’accesso all’alloggio
La segregazione è spesso aggravata dall’estrema difficoltà riscontrata dai rom nell’accedere ad un alloggio adeguato. A molti rom è stato essenzialmente negato l’accesso a un alloggio regolare e socialmente non segregante, non solo a causa della mancanza di investimenti volti ad accrescere la disponibilità di sistemazioni accessibili in linea con i bisogni della popolazione in generale, ma anche a causa dell’introduzione da parte delle autorità locali di criteri di accesso agli alloggi di edilizia popolare che direttamente o indirettamente discriminano i rom. Di fronte a queste azioni delle autorità locali che prevedono un trattamento differenziato dei rom rispetto ai non rom sulla base della loro origine razziale o etnica, il governo nazionale ha fallito nell’intraprendere azioni contro queste pratiche discriminatorie.
Per esempio a Roma, i rom bisognosi di alloggio sono stati trattati in maniera differenziata sulla base della loro etnicità. Per oltre un decennio, un sistema di alloggio assistito a doppio binario ha condannato migliaia di rom, e solo rom, a vivere in sistemazioni segreganti e inadeguate all’interno di campi sorti nelle periferie della città. Se da un lato c’è una disponibilità molto limitata di alloggi sociali per la popolazione in generale, che lascia migliaia di famiglie bisognose di alloggio in uno stato di abbandono, dall’altro i rom che vivono nei campi sono stati estromessi dall’accesso agli alloggi di edilizia popolare a causa di criteri di allocazione per loro impossibili da soddisfare. Le famiglie rom che hanno mostrato la volontà di accedere ad altre forme di alloggio, piuttosto che essere sostenute nella scelta di lasciare i campi, sono state essenzialmente ostacolate dalle autorità.
Sgomberi forzati dei rom
La Strategia ha riconosciuto come “eccessivo” il ricorso agli sgomberi attuato fino a quel momento e come questa pratica sia stata “sostanzialmente inadeguata” nell’affrontare la situazione alloggiativa dei rom.
Ciò nonostante, l’Italia ha continuato a sgomberare i rom dai campi informali senza le necessarie tutele quali ad esempio la consultazione genuina e un preavviso adeguato, in violazione degli obblighi internazionali e regionali del paese in tema di diritti umani e contrariamente a quanto avviene per altri sgomberi effettuati in Italia. Alle famiglie rom spesso non vengono fornite alternative di alloggio adeguate e sono frequentemente lasciate senza casa o trasferite in campi segregati etnicamente o collocate indefinitamente in centri per l’accoglienza temporanea. In alcuni casi i rom sono sgomberati da insediamenti autorizzati. Questo generalmente avviene quando le autorità decidono di chiudere tali campi senza offrire agli abitanti alternative adeguate, o quando gli abitanti non rispettano i regolamenti dei campi. Molti di questi regolamenti limitano intrinsecamente le libertà delle famiglie rom e non sono applicabili ad altre forme di alloggio.
Da marzo a settembre 2015, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno rilevato che nel comune di Roma il numero di sgomberi forzati di rom è triplicato rispetto all’anno precedente (64 operazioni di sgombero nel 2015 contro le 21 del 2014). Sebbene secondo le stime del dipartimento delle Politiche sociali i rom che vivono nei campi informali sono circa 2300 – 2500 persone, ovvero lo 0.09% della popolazione totale, i 168 sgomberi forzati eseguiti tra il 2013 e il 2015 hanno interessato circa 4000 rom. Alcune di queste persone sono state ripetutamente soggette a sgomberi forzati dai loro insediamenti e i loro alloggi sono stati ripetutamente distrutti.
Il caso della comunità rom di origine rumena residente negli insediamenti informali nell’area del parco di Val D’Ala rappresenta un esempio, sfortunatamente non isolato. Gli abitanti sono stati inizialmente sgomberati il 9 luglio 2014. Il 14 luglio 2015 le autorità locali hanno nuovamente sottoposto a sgombero forzato la comunità dallo stesso luogo e ricollocato parte degli abitanti in un centro di accoglienza per soli rom, al di sotto degli standard abitativi. L’11 febbraio 2016 le famiglie rom sono state nuovamente vittime di uno sgombero forzato, che ha lasciato tutte le persone senza casa in presenza condizioni meteorologiche avverse. Tutti e tre gli sgomberi sono stati effettuati in assenza di un adeguato preavviso scritto e hanno comportato la perdita di beni delle famiglie coinvolte.
Nel 2016 suonerà un campanello d’allarme per le autorità italiane?
A quattro anni dall’adozione della Strategia migliaia di uomini, donne e bambini rom presenti in Italia affrontano costantemente il diniego del loro diritto a un alloggio adeguato. Nonostante persegua giusti obiettivi, compreso un maggiore accesso a una varietà di soluzioni abitative per i rom finalizzate al necessario superamento dei campi monoetnici, la Strategia ha chiaramente fallito nel raggiungerli. Fondamentalmente, la Strategia non sta apportando miglioramenti concreti alla vita delle persone che appartengono a una delle comunità più marginalizzate del paese. Le autorità italiane, che continuano a infrangere i propri impegni e la stessa legislazione europea, hanno bisogno di essere richiamate alle proprie responsabilità.
Per diversi anni, numerose organizzazioni internazionali e nazionali hanno sollevato le loro preoccupazioni riguardo la discriminazione e la segregazione dei rom ad opera delle autorità italiane. Tali organizzazioni si sono inoltre appellate ripetutamente alla Commissione europea affinché adottasse la “procedura d’infrazione” per garantire che l’Italia affrontasse efficacemente queste violazioni dei diritti umani. La segregazione nei campi, la discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e gli sgomberi forzati rappresentano infatti una grave infrazione della Direttiva sull’uguaglianza razziale che proibisce la discriminazione nell’accesso ai servizi, incluso l’alloggio.
In vista dell’anniversario dell’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rivolgono un appello alle autorità italiane affinché pongano fine alla discriminazione di lunga data dei rom nell’accesso a un alloggio adeguato, e alla Commissione europea affinché intensifichi rapidamente il suo coinvolgimento e impieghi i necessari strumenti legali per chiamare l’Italia a rispondere della violazione di diritti garantiti dalla legislazione europea. Dal momento che la Commissione Junker ha conferito grande importanza a un’attuazione uniforme della legislazione europea, le tre organizzazioni sollecitano l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia, considerato che per lungo tempo le sue autorità non hanno fornito risposte adeguate.

Lettera a Renzi del Commissario europeo: «Italia viola obblighi internazionali»

In una lettera inviata al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks si è detto seriamente preoccupato per la continuazione degli sgomberi forzati ai danni delle comunità rom in Italia.
«Voglio ricordare che ogni sgombero effettuato senza le dovute garanzie procedurali e senza l’offerta di soluzioni abitative alternative adeguate rappresenta una seria violazione degli obblighi internazionali da parte dell’Italia. Con dispiacere osservo la continuazione delle politiche del passato», ha scritto al primo ministro italiano il Commissario, che ha citato i dati fornitigli dall’Associazione 21 luglio sull’incremento degli sgomberi forzati a Roma, a partire dal 13 marzo 2015, giorno dell’annuncio del Giubileo della Misericordia nella Capitale (vedi campagna #PeccatoCapitale).
Il Commissario per i Diritti Umani, accompagnato dall’Associazione 21 luglio, aveva visitato alcuni insediamenti rom della Capitale nel luglio 2012. Un anno dopo, a novembre 2013, aveva rivolto una lettera di preoccupazione all’ex sindaco Ignazio Marino.
«Durante la mia visita ho potuto osservare in prima persona le condizioni al di sotto degli standard in cui vivono i rom nei dintorni di Roma, sia negli insediamenti informali che nei “villaggi attrezzati” autorizzati. La segregazione che caratterizza questi ultimi – si legge nella lettera – mina seriamente le possibilità per gli abitanti di ricevere istruzione, avere accesso al lavoro, interagire con persone non rom e integrarsi nella società. Per questo, i “villaggi attrezzati” non possono essere considerati delle alternative abitative adeguate nel contesto degli sgomberi forzati».
Oltre agli sgomberi forzati che continuano ad occorrere nella Capitale, Nils Muižnieks si è soffermato sugli oltre 2 mila rom sgomberati nel 2014 a Milano e sulle ulteriori azioni previste nei primi mesi del 2016.
«In molti casi le azioni di sgombero sono realizzate senza una notifica formale o sufficiente preavviso e, fatto ancora più grave, senza una genuina consultazione con i diretti interessati», ha scritto ancora il Commissario nella lettera che prosegue: «Ho ricevuto notizie di famiglie rom rese senza tetto dato che nessuna soluzione alternativa è stata loro fornita oppure considerato che l’unica alternativa proposta è stata il ricollocamento in centri di raccolta, segregati, per soli rom».
Muižnieks ha quindi ricordato a Matteo Renzi come già nel 2005 e nel 2010 il Comitato Europeo sui Diritti Sociali avesse già ravvisato la violazione, da parte dell’Italia, dell’articolo 31 della Carta Sociale Europea sul diritto all’alloggio e, nel 2010, di altri tre articoli della stessa Carta in relazione alle condizioni di vita di rom e sinti. Violazioni che lo stesso Comitato ha ribadito anche a gennaio 2016.
«Campi segregati e sgomberi forzati sono diametricalmente opposti rispetto allo spirito della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti che l’Italia ha adottato nel febbraio 2012», ha concluso il Commissario che ha quindi chiesto al Presidente del Consiglio italiano informazioni sulle misure che l’Italia intende attuare per un cambio di marcia.
Alla lettera di Nils Muižnieks è seguita la replica del Ministero degli Esteri italiano, a firma del sottosegretario Benedetto Della Vedova, il quale, tra le altre cose, ha voluto sottolineare come gli sgomberi degli insediamenti informali siano realizzati «nel pieno interesse delle persone coinvolte, nel rispetto delle normative e delle procedure» e con il massimo impegno, da parte della autorità locali, nel «provvedere soluzioni alternative abitative adeguate».
«Oltre che del tutto insoddisfacente per i contenuti espressi nella replica al richiamo del Commissario per i Diritti Umani, la lettera a firma Benedetto Della Vedova contiene informazioni, relative in particolare al rispetto delle procedure in materia di sgomberi forzati, che non trovano alcun riscontro nel modo in cui, in Italia, le autorità competenti attuano le azioni di sgombero, rendendosi pertanto responsabili di gravi violazioni dei diritti umani di uomini, donne e bambini», afferma l’Associazione 21 luglio che ha chiesto un nuovo inontro al Commissario Muižnieks.
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Danilo Giannese
Responsabile Comunicazione e Ufficio stampa
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Ascanio Celestini firma l'appello "Peccato Capitale"

Ascanio Celestini ha firmato il nostro appello “Peccato Capitale”, la campagna internazionale per dire basta agli sgomberi forzati delle popolazioni rom a Roma in vista del Giubileo della Misericordia.
“A volte dimentichiamo, o ci prendiamo il lusso di dimenticare” – ha commentato Celestini – “che le nostre case sono diverse da quelle di queste persone solo perché le nostre hanno un tetto solido e delle mura, le loro no”.
“È facile demonizzare e dare la colpa agli ultimi, ma sarebbe molto meglio per tutti imparare a capire davvero le loro condizioni”, conclude.
Dire no agli sgomberi forzati significa chiedere di fermare la costante violazione dei diritti umani ai danni delle comunità rom da parte delle autorità competenti, che eseguono le operazioni di sgombero senza alcun rispetto delle garanzie procedurali prescritte dagli standard internazionali.
La campagna “Peccato Capitale” è stata lanciata lo scorso 5 ottobre e ad oggi hanno firmato più di 1700 persone, tra cui Roberto Saviano, Gad Lerner, padre Alex Zanotelli, Sabina Guzzanti, Piotta, Kento, Paul Polansky e – appunto – Ascanio Celestini.
Fino ad oggi avete fatto tanto ma abbiamo ancora bisogno del vostro aiuto per raggiungere l’obiettivo di 5000 firme. Per aderire all’appello visitate e condividete la pagina http://www.21luglio.org/peccato-capitale

Papa Francesco abbraccia i rom, Roma li sgombera

Questa mattina Papa Francesco ha ricevuto in udienza 5.000 rom provenienti da almeno venti nazioni del mondo. Nel frattempo, tuttavia, le autorità di Roma Capitale proseguono senza sosta, in vista del Giubileo, le azioni di sgombero forzato delle comunità rom per “ripulire” la città dai cosiddetti insediamenti informali.
«I vostri problemi e le vostre inquietudini interpellano non soltanto la Chiesa ma anche le autorità locali – ha detto il Pontefice rivolgendosi ai rom ricevuti nella sala Nervi -. Ho potuto vedere le condizioni precarie in cui vivono molti di voi e ciò contrasta col diritto di ogni persona ad una vita dignitosa». Papa Francesco ha quindi parlato della necessità dell’«integrazione» dei rom e ha ribadito che «nessuno è autorizzato a calpestare la dignità e i diritti».
Dignità e diritti che tuttavia – denuncia l’Associazione 21 luglio – si continuano a calpestare nella Capitale con la pratica sistematica degli sgomberi forzati, che hanno come unica conseguenza quelle di rendere ancora più vulnerabili uomini, donne e bambini, relegandoli ai margini della società.
L’Associazione 21 luglio esprime forte preoccupazione soprattutto per il netto incremento degli sgomberi forzati realizzati dalle autorità capitoline in seguito all’annuncio del Giubileo della Misericordia da parte di Papa Bergoglio, avvenuto il 13 marzo scorso.
Da allora, gli sgomberi forzati a Roma sono triplicati, passando da una media di 2,8 sgomberi al mese nei tre mesi precedenti l’annuncio a una media mensile di 10 sgomberi forzati dal 13 marzo 2015 a oggi. Dal 13 marzo, infatti, sono stati realizzati 70 sgomberi forzati che hanno coinvolto circa 1.150 persone per una spesa stimata di 1,5 milioni di euro.
«Gli sgomberi forzati violano il diritto internazionale, perché non rispettano le garanzie procedurali in materia di sgomberi previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite. Ma soprattutto queste azioni calpestano i diritti umani di uomini, donne e bambini, che continuano ad essere spostati da una parte all’altra della città e privati di un tetto, seppur precario, sopra la testa», afferma l’Associazione 21 luglio, che ha lanciato la campagna internazionale #PeccatoCapitale per chiedere una moratoria sugli sgomberi forzati a Roma durante il periodo giubilare.
«Auspichiamo che le parole di oggi di Papa Francesco rappresentino uno stimolo decisivo per le autorità di Roma Capitale al fine di voltare una volta per tutte la pagina delle politiche dell’esclusione e della discriminazione nei confronti dei rom, che oggi continuano a trovare compimento nella ghettizzazione di tali comunità nei cosiddetti “villaggi attrezzati” e nell’attuazione sistematica di sgomberi forzati», conclude l’Associazione.
Con l’appello #PeccatoCapitale, che ha già raccolto 1.200 firme, l’Associazione 21 luglio chiede alle autorità capitoline di fermare le azioni di sgombero – inutili, inefficaci, dispendiose e lesive dei diritti umani – nel periodo del Giubileo della Misericordia e di avviare con urgenza un tavolo di concertazione per individuare alternative possibili agli sgomberi.
Hanno finora aderito all’appello Roberto Saviano, Gad Lerner, Ascanio Celestini, Sabina Guzzanti, Piotta, Assalti Frontali, Paul Polansky e Padre Alex Zanotelli. Oltre a loro, 25 organizzazioni della società civile.
«Io non voglio un Giubileo del business. Ma un Giubileo che metta al primo posto i ‎rom, che oggi sono maltrattati e emarginati. Dobbiamo fare arrivare questo nostro appello anche a Papa Francesco per mettere fine a questi sgomberi forzati!», è il messaggio del missionario comboniano Padre Alex Zanotelli.
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