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Rom, «Commissione UE apra procedura d'infrazione contro l'Italia»

Roma, Londra, Budapest, 26 febbraio 2016 – Nel 2011 la Commissione europea, consapevole delle pratiche discriminatorie e della lunga storia di marginalizzazione sofferta dai rom in Europa, aveva adottato una Comunicazione in cui richiedeva agli stati membri di sviluppare strategie nazionali per l’integrazione dei rom, individuando le politiche e le misure concrete da adottare.
Il 28 febbraio 2012, il governo italiano aveva quindi adottato la sua Strategia nazionale per l’inclusione dei rom (da qui in poi, la Strategia) al fine di delineare il piano d’azione delle politiche pubbliche 2012-2020, incentrate su una graduale eliminazione della povertà e dell’esclusione sociale delle comunità rom marginalizzate in quattro settori principali: salute, educazione, lavoro e alloggio.
Purtroppo, nonostante siano trascorsi quattro anni dall’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rimangono seriamente preoccupati a causa della mancanza di progressi fatti dall’Italia.
Ad oggi, infatti, i diritti umani di migliaia di rom continuano a essere limitati, soprattutto nel settore dell’alloggio, visto che campi segregati, discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e sgomberi forzati restano una realtà quotidiana per i rom che vivono nei campi in Italia. È in tale contesto che le tre organizzazioni hanno rivolto un appello alla Commissione europea affinché intraprenda un’azione decisiva contro queste violazioni, che costituiscono un’infrazione della Direttiva che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, attraverso l’apertura di una procedura di infrazione contro l’Italia.
Decenni di discriminazione, senza nessuna soluzione in vista
Per decenni, le autorità italiane hanno favorito la segregazione abitativa dei rom e le autorità locali e regionali hanno insistito nel proporre i “campi” come unica soluzione alloggiativa possibile e appropriata per i rom. Nel 2008, con l’introduzione della cosiddetta “Emergenza nomadi”, le autorità italiane si sono concentrate sugli sgomberi forzati delle comunità rom e hanno perseguito politiche che favorivano la segregazione abitativa. Queste politiche discriminatorie sono continuate anche dopo che, nel novembre 2011, il Consiglio di Stato aveva dichiarato l’illegittimità dello stato di emergenza. Successivamente è stata adottata la Strategia, che è stata accolta come una misura volta a superare il precedente approccio emergenziale e a promuovere la protezione dei diritti delle persone appartenenti a una delle comunità più marginalizzate in Europa.
Tuttavia, le speranze suscitate della Strategia sono durate poco. Per anni Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno ampiamente documentato la mancanza di progressi e il persistere, in tutta Italia, delle consuete politiche da parte delle autorità italiane: politiche che hanno impedito ai rom di godere del loro diritto a un alloggio adeguato al pari del resto della popolazione. Ciò contraddice lo spirito e i contenuti della Strategia e gli obblighi, internazionali e regionali, dell’Italia sul piano dei diritti umani, compresa la legislazione europea contro la discriminazione.
La persistente discriminazione dei rom si manifesta in tre modalità principali: segregazione in campi monoetnici, spesso caratterizzati da condizioni abitative sotto gli standard; discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare; sgomberi forzati.
I campi: unica scelta abitativa per i rom
Migliaia di famiglie rom vivono attualmente segregate in campi monoetnici istituiti dalle autorità locali in tutta Italia. Le disposizioni regionali e municipali autorizzano le autorità italiane a costruire e gestire campi per soli rom, spesso situati in aree remote, distanti dai servizi di base e a volte inabitabili, perché, ad esempio, vicino a discariche e a piste di aeroporti. Le condizioni abitative nei campi sono spesso inadeguate, non rispettose degli standard internazionali dei diritti umani e persino delle regolamentazioni nazionali in tema di alloggio. La sistemazione nei campi è offerta dalle autorità solo ai rom, spesso in seguito a sgomberi forzati da insediamenti informali.
Nonostante la Strategia assicuri il “superamento dei campi”, affermando che “l’uscita dal campo come luogo di degrado relazionale e fisico delle famiglie e delle persone di origine rom, e il loro ricollocamento in abitazioni dignitose, sia possibile”, poco è stato fatto dalle autorità a tale fine. Il “Tavolo nazionale sull’alloggio”, stabilito dalla Strategia per affrontare la discriminazione nell’accesso all’alloggio, è ancora lettera morta. Nessun piano nazionale è stato disegnato per il previsto processo di desegregazione dai campi. Al contrario, in alcuni casi le autorità hanno addirittura pianificato e/o avviato la costruzione di nuovi campi.
Proprio recentemente, il 4 febbraio 2016, il comune di Giugliano in Campania, la regione Campania, la prefettura di Napoli e il ministero dell’Interno hanno concordato la costruzione di un nuovo campo, costituito da 44 prefabbricati, per i rom che attualmente vivono nell’insediamento formale di “Masseria del Pozzo”. Il campo di “Masseria del Pozzo” è stato istituito dalle autorità locali nel 2013 – un anno dopo l’approvazione della Strategia – per ospitare le famiglie rom che avevano già subito diversi sgomberi forzati. Le famiglie furono allora autorizzate a costruire le loro baracche in un’area remota, che presentava problemi seri per la sicurezza e la salute, in quanto situata in prossimità di una discarica per rifiuti tossici. Da allora le condizioni abitative del campo sono diventate insostenibili, anche a causa di problemi con le fogne e l’acquedotto. A causa delle precarie e degradanti condizioni strutturali e igieniche del campo, le autorità giudiziarie hanno recentemente ordinato il sequestro dell’area in cui questo è ubicato. In risposta a questa situazione, le autorità stanno pianificando la costruzione di un nuovo campo a pochi chilometri di distanza.
Mentre è chiaro che le famiglie residenti a “Masseria del Pozzo” debbano essere urgentemente ricollocate lontano dal campo, è preoccupante che le stesse autorità che le hanno alloggiate lì in passato, non abbiano previsto un piano per la loro inclusione a lungo termine e stiano ora offrendo, come unica alternativa, la costruzione di un altro campo monoetnico in cui trasferirle. Infatti, se da un lato il Ministero dell’Interno e la Regione Campania hanno già allocato 1,3 milioni di euro per la costruzione dei prefabbricati, non sono state garantite risorse per implementare più ampie misure di integrazione come previsto dal progetto.
Infatti, anche se il progetto si riferisce ad “alloggio adeguato e integrazione delle famiglie rom”, in pratica offre solo la costruzione di un nuovo campo che ospiterà soltanto famiglie rom in 44 unità abitative prefabbricate, per il quale il ministero dell’Interno e la Regione Campania spenderanno 1.3 milioni di euro.
La discriminazione dei rom nell’accesso all’alloggio
La segregazione è spesso aggravata dall’estrema difficoltà riscontrata dai rom nell’accedere ad un alloggio adeguato. A molti rom è stato essenzialmente negato l’accesso a un alloggio regolare e socialmente non segregante, non solo a causa della mancanza di investimenti volti ad accrescere la disponibilità di sistemazioni accessibili in linea con i bisogni della popolazione in generale, ma anche a causa dell’introduzione da parte delle autorità locali di criteri di accesso agli alloggi di edilizia popolare che direttamente o indirettamente discriminano i rom. Di fronte a queste azioni delle autorità locali che prevedono un trattamento differenziato dei rom rispetto ai non rom sulla base della loro origine razziale o etnica, il governo nazionale ha fallito nell’intraprendere azioni contro queste pratiche discriminatorie.
Per esempio a Roma, i rom bisognosi di alloggio sono stati trattati in maniera differenziata sulla base della loro etnicità. Per oltre un decennio, un sistema di alloggio assistito a doppio binario ha condannato migliaia di rom, e solo rom, a vivere in sistemazioni segreganti e inadeguate all’interno di campi sorti nelle periferie della città. Se da un lato c’è una disponibilità molto limitata di alloggi sociali per la popolazione in generale, che lascia migliaia di famiglie bisognose di alloggio in uno stato di abbandono, dall’altro i rom che vivono nei campi sono stati estromessi dall’accesso agli alloggi di edilizia popolare a causa di criteri di allocazione per loro impossibili da soddisfare. Le famiglie rom che hanno mostrato la volontà di accedere ad altre forme di alloggio, piuttosto che essere sostenute nella scelta di lasciare i campi, sono state essenzialmente ostacolate dalle autorità.
Sgomberi forzati dei rom
La Strategia ha riconosciuto come “eccessivo” il ricorso agli sgomberi attuato fino a quel momento e come questa pratica sia stata “sostanzialmente inadeguata” nell’affrontare la situazione alloggiativa dei rom.
Ciò nonostante, l’Italia ha continuato a sgomberare i rom dai campi informali senza le necessarie tutele quali ad esempio la consultazione genuina e un preavviso adeguato, in violazione degli obblighi internazionali e regionali del paese in tema di diritti umani e contrariamente a quanto avviene per altri sgomberi effettuati in Italia. Alle famiglie rom spesso non vengono fornite alternative di alloggio adeguate e sono frequentemente lasciate senza casa o trasferite in campi segregati etnicamente o collocate indefinitamente in centri per l’accoglienza temporanea. In alcuni casi i rom sono sgomberati da insediamenti autorizzati. Questo generalmente avviene quando le autorità decidono di chiudere tali campi senza offrire agli abitanti alternative adeguate, o quando gli abitanti non rispettano i regolamenti dei campi. Molti di questi regolamenti limitano intrinsecamente le libertà delle famiglie rom e non sono applicabili ad altre forme di alloggio.
Da marzo a settembre 2015, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre hanno rilevato che nel comune di Roma il numero di sgomberi forzati di rom è triplicato rispetto all’anno precedente (64 operazioni di sgombero nel 2015 contro le 21 del 2014). Sebbene secondo le stime del dipartimento delle Politiche sociali i rom che vivono nei campi informali sono circa 2300 – 2500 persone, ovvero lo 0.09% della popolazione totale, i 168 sgomberi forzati eseguiti tra il 2013 e il 2015 hanno interessato circa 4000 rom. Alcune di queste persone sono state ripetutamente soggette a sgomberi forzati dai loro insediamenti e i loro alloggi sono stati ripetutamente distrutti.
Il caso della comunità rom di origine rumena residente negli insediamenti informali nell’area del parco di Val D’Ala rappresenta un esempio, sfortunatamente non isolato. Gli abitanti sono stati inizialmente sgomberati il 9 luglio 2014. Il 14 luglio 2015 le autorità locali hanno nuovamente sottoposto a sgombero forzato la comunità dallo stesso luogo e ricollocato parte degli abitanti in un centro di accoglienza per soli rom, al di sotto degli standard abitativi. L’11 febbraio 2016 le famiglie rom sono state nuovamente vittime di uno sgombero forzato, che ha lasciato tutte le persone senza casa in presenza condizioni meteorologiche avverse. Tutti e tre gli sgomberi sono stati effettuati in assenza di un adeguato preavviso scritto e hanno comportato la perdita di beni delle famiglie coinvolte.
Nel 2016 suonerà un campanello d’allarme per le autorità italiane?
A quattro anni dall’adozione della Strategia migliaia di uomini, donne e bambini rom presenti in Italia affrontano costantemente il diniego del loro diritto a un alloggio adeguato. Nonostante persegua giusti obiettivi, compreso un maggiore accesso a una varietà di soluzioni abitative per i rom finalizzate al necessario superamento dei campi monoetnici, la Strategia ha chiaramente fallito nel raggiungerli. Fondamentalmente, la Strategia non sta apportando miglioramenti concreti alla vita delle persone che appartengono a una delle comunità più marginalizzate del paese. Le autorità italiane, che continuano a infrangere i propri impegni e la stessa legislazione europea, hanno bisogno di essere richiamate alle proprie responsabilità.
Per diversi anni, numerose organizzazioni internazionali e nazionali hanno sollevato le loro preoccupazioni riguardo la discriminazione e la segregazione dei rom ad opera delle autorità italiane. Tali organizzazioni si sono inoltre appellate ripetutamente alla Commissione europea affinché adottasse la “procedura d’infrazione” per garantire che l’Italia affrontasse efficacemente queste violazioni dei diritti umani. La segregazione nei campi, la discriminazione nell’accesso agli alloggi di edilizia popolare e gli sgomberi forzati rappresentano infatti una grave infrazione della Direttiva sull’uguaglianza razziale che proibisce la discriminazione nell’accesso ai servizi, incluso l’alloggio.
In vista dell’anniversario dell’adozione della Strategia, Amnesty International, Associazione 21 luglio e European Roma Rights Centre rivolgono un appello alle autorità italiane affinché pongano fine alla discriminazione di lunga data dei rom nell’accesso a un alloggio adeguato, e alla Commissione europea affinché intensifichi rapidamente il suo coinvolgimento e impieghi i necessari strumenti legali per chiamare l’Italia a rispondere della violazione di diritti garantiti dalla legislazione europea. Dal momento che la Commissione Junker ha conferito grande importanza a un’attuazione uniforme della legislazione europea, le tre organizzazioni sollecitano l’apertura di una procedura d’infrazione contro l’Italia, considerato che per lungo tempo le sue autorità non hanno fornito risposte adeguate.

Cosenza, sgombero forzato e una tendopoli per i rom

A Cosenza 490 rom rumeni, di cui un consistente numero di minori, rischiano di essere sgomberati dall’insediamento informale di Vaglio Lise, lungo il fiume Crati, e da un Ferrhotel situato nelle vicinanze e di essere ricollocati all’interno di una tendopoli che il primo cittadino Mario Occhiuto sta già provvedendo a costruire. Se questa operazione dovesse essere portata a compimento, il Comune di Cosenza si renderebbe autore di una grave discriminazione collettiva nei confronti della comunità rom, violando peraltro le garanzie procedurali previste dal diritto internazionale in materia di sgomberi.
Lo scrive, in una lettera di preoccupazione e richiesta di chiarimenti al prefetto della città calabrese Gianfranco Tomao, una coalizione di organizzazioni ed espressioni della società civile composta da Associazione 21 luglio, MO.C.I. (Movimento per la Cooperazione Internazionale), Amnesty International-Circoscrizione Calabria, AUSER Territoriale di Cosenza, Ambulatorio Medico SENZA CONFINI “A. Grandinetti” e Suore Ausiliatrici Cosenza.
«Dalla documentazione amministrativa del Comune di Cosenza, nonché dai riscontri mediatici, dalle comunicazioni rilasciate dal Sindaco Mario Occhiuto attraverso i social network e dai sopralluoghi e colloqui effettuati – scrive la coalizione al prefetto- si è appreso dell’intenzione di procedere allo sgombero della comunità rom rumena residente a Cosenza presso l’insediamento spontaneo lungo il fiume Crati (circa 400 persone) e presso la struttura Ferrhotel (circa 90 persone), con l’intenzione di rialloggiare 200 persone all’interno di una tendopoli, i cui lavori di allestimento risultano riavviati a partire dal 1° giugno 2015».
L’intera operazione e la soluzione abitativa alternativa suscitano profonda preoccupazione nelle organizzazioni che, in particolare, mettono in evidenza la mancanza di una consultazione genuina con la comunità rom antecedente allo sgombero, l’assenza di chiarezza sul destino delle persone oggetto del provvedimento di sgombero, l’inadeguatezza della tendopoli a ospitare nuclei familiari con minori al seguito e l’assenza di comunicazione sul suo effettivo carattere di temporaneità.
In assenza di tale temporaneità, si legge nella lettera, l’insediamento si connoterebbe a tutti gli effetti come segregante su base etnica e ci si ritroverebbe dinanzi all’allestimento dell’ennesimo “campo rom” in Italia, una soluzione che palesa una discriminazione collettiva verso la comunità rom come peraltro già rilevato dal Tribunale Civile di Roma il 30 maggio scorso con la condanna nei confronti del Comune capitolino per il carattere discriminatorio del “campo” La Barbuta.
In più, lo sgombero dell’insediamento di Vaglio Lise e del Ferrhotel si configurerebbe come forzato in quanto la sua realizzazione non prevede il rispetto delle garanzie procedurali in materia di sgomberi sancite dal diritto internazionale.
L’insediamento di Vaglio Lise era stato colpito da un incendio il 3 giugno 2014. Nei giorni successivi, 84 persone furono trasferite in un Ferrhotel in seguito a una ordinanza del sindaco che disponeva l’immediata requisizione dell’immobile di proprietà della Rete Ferroviaria Italiana (Rfi). Nonostante una ulteriore ordinanza, mai eseguita, che prevedeva lo sgombero dell’insediamento di Vaglio Lise, coloro le cui abitazioni non furono interessate dalle fiamme continuarono invece a vivere nell’insediamento.
Un mese dopo, a luglio 2014, la Rete Ferroviaria Italiana avanzò ricorso al Tar della Calabria contro l’ordinanza del sindaco Occhiuto che disponeva la requisizione del Ferrhotel. Il 21 maggio 2015 il Tar ha accolto il ricorso di Rfi ordinando al Comune di Cosenza di sgomberare l’immobile entro 15 giorni dalla notifica dell’ordinanza. Nello stesso tempo il Tar ha dato mandato al prefetto Gianfranco Tomao di eseguire la stessa ordinanza, mentre dal 1 giugno i lavori per la costruzione della tendopoli hanno subito una accelerazione.
Nel chiedere delucidazioni sulla vicenda, le organizzazioni firmatarie della lettera, che si dicono consapevoli della necessità di superare l’insediamento informale di Vaglio Lise nonché degli effetti della pronuncia del Tar sul Ferrhotel, invitano il prefetto Tomao ad avviare un canale di dialogo con la comunità rom interessata al fine di individuare una soluzione condivisa e partecipata, in linea con la Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom e Sinti, che sia graduale e dignitosa e che eviti le violazioni dei diritti umani che uno sgombero forzato comporterebbe inevitabilmente.
Foto: siti.chiesacattolica.it

Tribunale condanna Comune Roma: campi rom discriminano

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».

Campi rom discriminatori: Tribunale condanna Comune di Roma

Il 30 maggio 2015, con ordinanza della seconda sezione del Tribunale Civile di Roma, il Giudice ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale […] che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», ordinando di conseguenza al Comune di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti».
In riferimento al «villaggio attrezzato» La Barbuta, realizzato nel 2012 dall’Amministrazione capitolina, nell’aprile dello stesso anno l’Associazione 21 luglio e l’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) avevano promosso un’azione legale contro il Comune di Roma attraverso il sostegno dell’Open Society Foundations e il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
Accolta pienamente la tesi espressa nel ricorso dalle due organizzazioni che hanno sostenuto come il “villaggio” La Barbuta debba considerarsi discriminatorio e quindi illegittimo – già per il solo fatto di rappresentare una soluzione abitativa di grandi dimensioni rivolta a un gruppo etnico specifico e comunque priva dei caratteri tipici di un’azione positiva.
«Deve infatti intendersi discriminatoria qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
L’ 8 agosto 2012, pronunciandosi sull’istanza cautelare, il Tribunale di Roma aveva ritenuto che le circostanze esposte dalle due organizzazioni «concorrano nel rendere verosimile il carattere discriminatorio delle attività di assegnazione degli alloggi presso il campo denominato Nuova Barbuta». Il Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta presentata dall’Associazione 21 luglio e dall’ASGI aveva pertanto ordinato «la sospensione delle procedure di assegnazione degli alloggi all’interno del villaggio attrezzato Nuova Barbuta fino alla definizione del procedimento sommario di cognizione».
Il 13 settembre 2012 lo stesso Tribunale, in diversa composizione, accogliendo il reclamo del Comune di Roma, aveva annullato la precedente sospensiva, consentendo così il trasferimento delle comunità rom forzatamente sgomberate nel nuovo insediamento.
Il 30 maggio 2015 il Tribunale Civile di Roma, definendo in primo grado il procedimento promosso da Associazione 21 luglio e ASGI ha riconosciuto le ragioni delle due organizzazioni e ha confermato, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di un “campo nomadi”, luogo ormai riconosciuto, anche a livello internazionale, come spazio di segregazione e di discriminazione su base etnica.
«Con una sentenza di grande pregio il Tribunale di Roma ha confermato l’illegittimità delle politiche abitative adottate dal governo centrale e da alcune amministrazioni locali nei confronti dei cittadini rom, riaffermando la necessità di superare non solo i “campi” ma anche qualsiasi altra politica abitativa finalizzata alla marginalizzazione e ghettizzazione del popolo rom» afferma l’ASGI.
Secondo l’Associazione 21 luglio «la sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune di Roma deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei “campi” della Capitale». I “campi nomadi” vanno superati, «da oggi – aggiunge l’associazione – deve porsi fine all’immobilismo che ha caratterizzato sino ad ora l’Amministrazione Capitolina. In assenza di una repentina azione ci riserviamo ulteriori interventi per dare effetto immediato alla sentenza».

Corso per attivisti rom e sinti: si parte!

Il corso di formazione per attivisti rom e sinti sta per cominciare anche quest’anno. L’appuntamento è alla sua terza edizione ed è organizzato dall’Associazione 21 luglio, Amnesty International Sezione Italiana e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC). Avrà inizio domenica 26 aprile e prevede una settimana intensiva di incontri fino al 3 maggio.
La formula continuata è una novità di quest’anno. Nelle edizioni precedenti gli incontri erano distribuiti su due o tre mesi e occupavano solo i week end, ma l’immersione intensiva sarà una buona occasione per creare affiatamento, complicità e nuove relazioni. L’obiettivo è la formazione e la sensibilizzazione di giovani rom e sinti che aspirano a diventare cittadini attivi e consapevoli, per la difesa dei diritti umani fuori e dentro la propria comunità.
Alcune informazioni per conoscere meglio i partecipanti di quest’anno: sono dieci in totale, sei ragazzi e quattro ragazze che mantengono una media di 25 anni di età. La maggior parte vive nella stessa città in cui verrà tenuto il corso, Roma, ma quattro di loro provengono anche da altre parti d’Italia: Cagliari, Firenze e un fratello e una sorella da Mazara del Vallo che saranno i primi partecipanti siciliani nella storia del corso. Hanno tutti un titolo di licenza media e due hanno conseguito il diploma superiore, soprattutto, sono pronti e motivati ad intraprendere questa nuova strada.
L’obiettivo principale del corso è quello di coinvolgerli direttamente nelle attività di sensibilizzazione e advocacy, oltre che fornire gli strumenti necessari per l’organizzazione di eventi e campagne in materia di difesa e promozione dei diritti umani. Le esperienze passate raccontano che molti dei partecipanti hanno raggiunto risultati e obiettivi soddisfacenti.

Sabrina, una delle partecipanti della prima edizione, dopo aver svolto uno stage presso l’Associazione 21 luglio, si è trasferita dalla Sardegna a Roma dove collabora tuttora alle attività educative dell’Associazione rivolte ai bambini. Da pochi giorni, inoltre, frequenta un corso per diventare chef presso l’Accademia Italiana Chef e, durante il corso di formazione che sta per iniziare, sarà lei ad occuparsi della preparazione dei pasti, mettendo così in pratica ciò che sta imparando all’Accademia Italiana Chef.
Serena, di Bologna, era stata invece tra i corsisti dell’edizione appena passata e sarà la tutor di riferimento per i ragazzi e le ragazze che parteciperanno quest’anno. Gladiola, da Cosenza, ha ottenuto una borsa per studiare all’università di Roma; Ivana, di Torino, si è occupata tra l’altro di seguire una campagna sulla memoria dello sterminio di rom e sinti nel nazifascismo. Altri, dopo aver terminato questa esperienza, hanno partecipato a progetti SVE (Servizio Volontario Europeo), hanno svolto un periodo di tirocinio presso l’Associazione o collaborano con progetti attualmente attivi, come Nedzad, di Roma, e Fiorello, della provincia di Lucca.
Tornando al presente, a pochi giorni da questo nuovo inizio, non resta che augurare ai protagonisti della nuova edizione buona fortuna e buon viaggio per questa importante opportunità.

Per l'Europa Italia ancora lontana dal realizzare l'inclusione dei rom

Roma, 25 febbraio 2015 – L’Italia è ancora in ritardo sull’attuazione della Strategia nazionale d’inclusione dei rom e dei sinti e continua a realizzare sgomberi forzati che non rispettano le procedure previste dal diritto internazionale. Lo afferma l’ECRI, la Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa nelle sue conclusioni sull’implementazione delle raccomandazioni al nostro Paese.
Nel suo rapporto sull’Italia pubblicato il 21 febbraio 2012, l’ECRI aveva raccomandato alle autorità italiane di rafforzare il ruolo dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni (Unar) e di assicurare a tutti i rom che rischiassero di essere sgomberati dalle proprie abitazioni la piena protezione prevista dal diritto internazionale in materia di sgomberi.
«Lo sgombero deve essere notificato alle persone interessate, le quali devono beneficiare dell’appropriata protezione legale; inoltre esse non devono essere sgomberate senza avere la possibilità di accedere a un’alternativa abitativa adeguata, anche se potrebbero restare nel Paese solo per periodi di tempo limitati», scriveva l’ECRI nel suo rapporto.
A tre anni di distanza, l’ECRI, nelle sue conclusioni sull’implementazione di tali raccomandazioni, sottolinea che gli sviluppi legislativi e politici che si sono registrati in Italia mostrano l’inizio di un cammino positivo, tuttavia, allo stato attuale, il processo di cambiamento del modo in cui le autorità italiane affrontano la questione rom è ancora lento, in particolar modo in relazione agli sgomberi.
Per quanto riguarda l’Unar, l’ECRI specifica che nessuna legislazione è stata attuata per estendere formalmente la competenza dell’Unar ai casi di discriminazione in base al colore, lingua, religione e cittadinanza. Nonostante il numero di Ong e associazioni autorizzate a rappresentare le vittime di discriminazione e di portare in tribunale i casi di discriminazione collettiva sia aumentato, l’Unar non è ancora autorizzato in prima persona ad occuparsi di procedimenti legali nei casi di discriminazione, limitandosi a interventi di “amicus curiae”, conclude l’ECRI.
Sull’attuazione della Strategia nazionale d’inclusione dei rom, l’Italia è ancora in ritardo – scrive l’ECRI – mentre, sul fronte sgomberi, la Commissione afferma che «gli sgomberi di rom e sinti sono continuati nel 2012 e nel 2013 e, più recentemente, nel luglio 2014», come dimostra il caso di uno sgombero forzato avvenuto a Roma il 9 luglio scorso e denunciato congiuntamente da Associazione 21 luglio e Amnesty International.
«Sgomberi – dice l’ECRI – spesso realizzati senza le necessarie tutele procedurali e senza la previsione di alternative abitative».
L’Associazione 21 luglio, che ha contribuito al monitoraggio dell’ECRI, condivide l’analisi dell’organo della Commissione del Consiglio d’Europa e ribadisce il forte ritardo dell’Italia nel dar seguito agli impegni presi in sede europea nel 2012 con l’adozione della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom.
L’Associazione 21 luglio esprime inoltre profonda preoccupazione per la pratica degli sgomberi forzati che continuano a registrarsi nel nostro Paese anche nel 2015. Solo nella città di Milano, per esempio, nel 2014 sono stati perpetrati più di 200 sgomberi forzati.
«A Torino – afferma l’Associazione 21 luglio – proprio in queste ore 51 famiglie rom presenti nell’insediamento informale Lungo Stura Lazio sono sotto minaccia di sgombero forzato da parte delle autorità locali. Vista l’assenza di adeguate consultazioni, di notifica scritta e in assenza di possibilità di vie di ricorso, tale sgombero si configurerebbe ancora una volta non conforme alle procedure previste dal diritto internazionale».
 

Tra i rom vittime dello sgombero forzato

Cristian* ha appena 4 mesi e ha già vissuto sulla sua pelle due sgomberi forzati. Insieme ad altre 38 persone, tra cui bambini e malati, Cristian fa parte dei rom che il 9 luglio scorso sono stati sgomberati da un insediamento informale in zona Val d’Ala, periferia nord-est della Capitale.
Poco prima della mezzanotte di venerdì 11 luglio, tra le braccia della mamma, Cristian è potuto finalmente salire sull’autobus messo a disposizione dal Comune di Roma che avrebbe portato i rom sgomberati in una struttura di accoglienza temporanea. Per Cristian e gli altri rom voleva dire scongiurare il rischio di un’altra notte all’addiaccio.
Si è conclusa così positivamente, dopo tre giorni di trattative intense con le autorità locali di Roma Capitale, la vicenda dello sgombero forzato di Val d’Ala, uno sgombero che Associazione 21 luglio e Amnesty International hanno denunciato pubblicamente perché in violazione dei diritti umani e degli standard internazionali.
Maria*, 23 anni, è una delle giovani donne vittime dello sgombero: «Negli ultimi anni io e la mia famiglia siamo stati sgomberati molte volte, anche a brevissima distanza di tempo. Arriva la polizia, ci distrugge la baracca, ci distrugge la tenda, ci distrugge i materassi. Tutto. E noi restiamo senza nulla, senza avere la minima idea di che fine faremo, proprio come oggi», ha raccontato Maria il giorno dello sgombero del 9 luglio.
«Non sono riuscita neanche a prendere i miei vestiti. Li ho persi per via dello sgombero e ora ho solo quelli che indosso», si è sfogata, allo stesso modo, Anna*, anche lei 23enne.
Subito dopo essere stati allontanati dall’insediamento informale dove vivevano, i rom, nel tentativo di chiedere alle istituzioni romane una soluzione, si sono spostati sotto la sede del Dipartimento alle Politiche Sociali del Comune di Roma, in pieno centro della Capitale. In qui momenti, con loro, c’erano anche gli attivisti di Associazione 21 luglio e Amnesty International che hanno supportato le persone sgomberate anche attraverso la distribuzione di generi alimentari.
Tra i rom, quel giorno, c’era anche Camelia, madre di una delle ragazze allontanate da Val d’Ala. Camelia vive attualmente in una struttura d’accoglienza per soli rom a Roma ma, saputo dello sgombero, si è subito recata sul posto per stare vicino a sua figlia e, soprattutto, ai suoi nipotini di 8 mesi e 2 anni.
Fino a qualche mese fa anche la figlia di Camelia viveva nella stessa struttura d’accoglienza con la madre. Da quel centro, però, è stata allontanata, assieme al marito e ai bambini. «Il motivo? Si è assentata dalla struttura pochi giorni oltre il dovuto. Per questo è stata mandata via e, da un giorno all’altro, si è ritrovata per strada», ci ha spiegato la donna.

sgombero rom

Camelia si prende cura della sua nipotina appena sgomberata


Camelia, rumena come tutti i 39 rom sgomberati a Val d’Ala, ha 33 anni e vive in Italia da 10. È madre di quattro figli e anche lei, nella sua vita, ha dovuto affrontare il trauma dello sgombero forzato.
«Ricordo ancora che quando le forze dell’ordine hanno distrutto le nostre case sembrava che non avessero nessuna preoccupazione per noi – ha spiegato la donna mentre si prendeva cura della nipotina appena sgomberata – Poi, a un tratto, hanno trovato dei gattini. E per salvare i gattini si sono prodigati tantissimo. E lo reputo giusto. Ma per me che avevo in braccio mia figlia appena nata nessuno ha mostrato compassione e si è preoccupato di lasciarci senza un tetto sopra la testa».
Camelia ci ha raccontato di aver lasciato la Romania per l’Italia per dare un futuro migliore ai propri figli. «Nel mio Paese non avevamo alcuna possibilità. Vivevamo nella povertà assoluta. Un mio nipotino è morto perché non aveva da mangiare», ci ha raccontato.
«Anche qui a Roma è molto dura e l’unico lavoro che i rom riescono a fare è quello di raccogliere il ferro. Ma io vorrei fare un lavoro normale, come tutti i cittadini italiani. Ma ci sentiamo discriminati e la gente continua a dirci che siamo zingari. Senza darci nessuna possibilità».
* Nome di fantasia

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Sgombero rom: la soluzione nella notte

sgombero romDopo tre giorni di trattative con le autorità locali, per i 39 rom coinvolti nello sgombero forzato di Val d’Ala, a Roma, è stata finalmente individuata una soluzione.
Venerdì 11 luglio, poco prima dello scoccare della mezzanotte, i rom, tra cui bambini di pochi mesi e persone affette da gravi patologie, sono stati trasferiti provvisoriamente in una struttura di accoglienza in città, dove risiederanno fino all’individuazione di ulteriori soluzioni.
[tfg_social_share]Si è così scongiurato il rischio, per queste persone, di altre notti all’addiaccio dopo che le loro abitazioni, nella mattinata del 9 luglio, erano state rase al suolo dalle ruspe cittadine.
Dall’inizio dello sgombero, gli attivisti delll’Associazione 21 luglio, insieme ad Amnesty International, hanno costantemente monitorato la situazione e supportato, anche materialmente, i 39 rom ritrovatisi improvvisamente senza tetto.
Con due comunicati stampa congiunti con Amnesty International, il primo il 9 luglio e il secondo l’11 luglio, l’Associazione ha dapprima denunciato le violazioni dei diritti umani e degli standard internazionali perpetrati con lo sgombero forzato e poi rivolto un appello urgente al sindaco  di Roma Ignazio Marino e all’Assessore al Sostegno Sociale e alla Sussidiarietà Rita Cutini al fine di trovare una soluzione immediata per far fronte all’emergenza creata dallo stesso sgombero.
Subito dopo lo sgombero, infatti, le famiglie rom sono state letteralmente abbandonate a loro stesse dalle istituzioni e per sbloccare la situazione si sono rese necessarie ore di trattative con le autorità locali.

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Sgomberati due volte in due giorni e abbandonati dalle istituzioni

Amnesty International rom

I rom davanti alla sede del Municipio Roma III


[tfg_social_share]Sgomberati due volte in due giorni e abbandonati dalle istituzioni. Per 39 rom ancora nessuna soluzione alternativa è stata individuata dalle autorità di Roma Capitale dopo lo sgombero forzato dell’insediamento informale in zona Val d’Ala. Associazione 21 luglio e Amnesty International rivolgono un appello urgente al sindaco di Roma Marino e all’Assessore Cutini: «Serve una soluzione immediata per rispondere all’emergenza che queste persone, tra cui minori e malati, stanno affrontando».
I 39 rom rumeni sono stati sgomberati lo scorso 9 luglio dall’insediamento informale nei pressi della stazione ferroviaria di Val d’Ala, nella periferia nord-est di Roma. Lo sgombero, come denunciato in un comunicato congiunto da Associazione 21 luglio e Amnesty International,  ha violato «i diritti umani delle persone coinvolte in quanto realizzato senza le garanzie previste dagli standard internazionali».
In particolare, lo sgombero – hanno denunciato le due organizzazioni – non è stato accompagnato da una genuina consultazione con le persone coinvolte né da una notifica formale scritta. In più, nessuna soluzione abitativa alternativa adeguata è stata offerta loro, come invece prescritto dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite.
Dopo lo sgombero, nella stessa giornata, i rom si sono recati davanti alla sede dell’Assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale per chiedere una soluzione alternativa. Sul posto erano presenti anche gli attivisti dell’Associazione 21 luglio, di Amnesty International e l’Assessore alle Politiche Sociali del Municipio III Eleonora Di Maggio. In quella sede, tuttavia, nessuna soluzione adeguata è stata offerta alle famiglie sgomberate, se non la divisione dei nuclei familiari (donne e bambini in case famiglia, uomini a parte). Soluzione – la stessa proposta ai rom al momento dello sgombero – che non può essere ritenuta adeguata e che le famiglie hanno comprensibilmente rifiutato.
Successivamente i rom si sono spostati sullo stesso terreno dal quale erano stati sgomberati, dove hanno trascorso la notte riparandosi dalla pioggia con mezzi di fortuna. La mattina dopo, tuttavia, le forze dell’ordine sono intervenute per sgomberare le famiglie una seconda volta.
A quel punto i rom, accompagnati dagli attivisti di Associazione 21 luglio e Amnesty International, si sono spostati nella sede del Municipio Roma III, in piazza Sempione, nel cui atrio, in seguito a un accordo con le autorità municipali, hanno potuto trascorrere la notte in attesa di un pronto intervento da parte delle istituzioni capitoline per affrontare e risolvere l’emergenza in cui i 39 rom sono stati costretti dallo sgombero.
«Il tempo passa e le autorità di Roma Capitale non hanno ancora trovato nessuna soluzione all’emergenza che esse stesse hanno creato con un’azione inutile, costosa e frutto di una totale amnesia istituzionale», scrivono oggi Associazione 21 luglio e Amnesty International.
«Dopo essere stati vittime di due sgomberi in due giorni, i rom sono stati letteralmente abbandonati a loro stessi. Rivolgiamo quindi un appello alla sensibilità del sindaco Ignazio Marino e dell’Assessore al Sostegno Sociale e Sussidiarietà di Roma Capitale Rita Cutini – affermano le due organizzazioni –  affinché, urgentemente, venga individuata una soluzione abitativa adeguata per questi uomini, donne e bambini».
«Una volta che la situazione alloggiativa di questa comunità sia stata risolta – concludono le due organizzazioni – il sindaco Ignazio Marino e le altre autorità competenti dovranno verificare perché gli sgomberi continuano ad essere compiuti con modalità che violano gli standard internazionali relativi a consultazione genuina, notifica previa ed offerta di alternative adeguate, e creare i presupposti perché tali violazioni di diritti umani non si ripetano ulteriormente, ad esempio attraverso l’adozione di una circolare che guidi il comportamento di ufficiali impegnati nelle operazioni di sgombero».

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Roma, Associazione 21 luglio e Amnesty International contro l'ennesimo sgombero

amnesty international sgombero[tfg_social_share]Ci sono anche 11 minori, di cui alcuni di pochi mesi, e persone affette da gravi patologie tra i 39 rom che sono stati sgomberati questa mattina da un insediamento informale nei pressi della stazione ferroviaria Val d’Ala, nella periferia nord-est di Roma.
Le famiglie, rese senza tetto dallo sgombero forzato, hanno appena raggiunto l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune per chiedere un’alternativa adeguata. Per Associazione 21 luglio e Amnesty International, che hanno assistito alle operazioni, lo sgombero viola i diritti umani delle persone coinvolte in quanto realizzato senza le garanzie previste dagli standard internazionali.
Le operazioni di sgombero sono cominciate questa mattina intorno alle ore 7.30 alla presenza degli ufficiali della Polizia di Roma Capitale (guarda le foto). Le abitazioni dei 15 nuclei familiari sono state abbattute e i 39 rom, tutti originari della Romania, sono stati allontanati dall’insediamento nel quale vivevano.
Appresa l’intenzione delle autorità comunali di sgomberare i 39 rom, tra cui alcune persone che necessitano di cure per via delle gravi patologie di cui soffrono, l’Associazione 21 luglio, lo scorso 4 luglio, aveva scritto alla Direzione Accoglienza e Inclusione del Dipartimento Politiche Sociali di Roma Capitale per chiedere un intervento immediato volto a evitare la realizzazione di uno sgombero forzato, illegale e in violazione dei diritti umani.
L’8 luglio, Amnesty International aveva chiesto chiarimenti al Comune di Roma in merito allo sgombero e alle misure adottate per garantire il rispetto degli standard vigenti. Da tale dialogo è emersa l’assenza di un’offerta di alloggio alternativo alle famiglie interessate dallo sgombero.
Di fronte all’assenza di un intervento in grado di riportare tale operazione entro un ambito di legalità, pertanto, Associazione 21 luglio e Amnesty International hanno dovuto constatare che, così come sono state condotte, le operazioni non hanno rispettato le garanzie procedurali in materia di sgomberi previste dal Comitato sui Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite.
Lo sgombero di stamane, infatti, non è stato accompagnato da una genuina consultazione con gli interessati né da una notifica formale e nessuna alternativa abitativa adeguata è stata offerta loro – se non la divisione familiare (donne e bambini in case famiglia, uomini a parte) che le persone hanno comprensibilmente rifiutato – rendendo così i 39 rom, in particolare i bambini, vulnerabili a ulteriori violazioni di diritti umani.
Con quello di oggi, sale a 30 il numero di sgomberi forzati di insediamenti informali rom realizzati nella Capitale dall’attuale Giunta guidata dal sindaco Ignazio Marino, sottolinea l’Associazione 21 luglio. Lo sgombero odierno, secondo i dati dell’Associazione, è inoltre costato al Comune circa 50 mila euro mentre per i 30 sgomberi sono stati spesi, in totale, circa 1,5 milioni di euro.
Subito dopo essere state sgomberate, le famiglie rom coinvolte hanno deciso di recarsi davanti alla sede dell’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Roma, in viale Manzoni 16, per chiedere una soluzione abitativa adeguata.
Sul posto si trovano anche gli attivisti dell’Associazione 21 luglio e di Amnesty International, oltre all’Assessore alle Politiche Sociali del Municipio Roma III Eleonora Di Maggio, che ha assistito allo sgombero.
«Lo sgombero forzato di questa mattina rende evidente l’urgenza di una circolare che indichi le modalità con cui gli sgomberi devono essere realizzati, quando strettamente necessari, rispettando gli standard internazionali relativi a consultazione genuina, notifica previa ed offerta di alternative adeguate», afferma Amnesty International. «Il Sindaco Marino ed il governo italiano non possono guardare dall’altra parte mentre dei bambini vengono lasciati per strada».
«Perpetrando una politica basata sugli sgomberi forzati e sulla segregazione dei rom nei cosiddetti “villaggi della solidarietà” – affermano Associazione 21 luglio e Amnesty International – Roma non solo dimostra di non attuare la Strategia di Inclusione dei Rom e Sinti ma persiste nell’utilizzo di ingenti risorse economiche – che potrebbero essere riconvertite in progetti rivolti a tutti i cittadini, rom e non, in emergenza abitativa – per violare i diritti umani dei rom contribuendo ad alimentare il clima di ostilità nei loro confronti».
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