Giorno della Memoria: al Senato il ricordo dello sterminio dei rom, a Roma l'ennesimo sgombero
Si stima che tra i caduti per mano del regime nazifascista vi siano tra i 500.000 e 1,5 milioni di rom e sinti. La persecuzione, l’internamento, il confino e lo sterminio di tali comunità, tuttavia, restano ancora una pagina di storia, italiana ed europea, oscurata e dimenticata.
Se ne è parlato quest’oggi, in occasione della Giorno della Memoria, durante il convegno “La deportazione e l’internamento. Storie di donne rom durante il fascismo” organizzato dalla Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato e la CILD (Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili) in collaborazione con l’Associazione 21 luglio, presso la Sala Caduti di Nassirya del Senato.
«Spiace constatare come nel giorno in cui nel mondo si commemorano le tante vittime rom e sinte del nazifascismo, a Roma, nel cuore del Giubileo della Misericordia, le autorità locali abbiano effettuato proprio oggi l’ennesimo sgombero forzato di un insediamento rom nella Capitale: un’azione che calpesta e viola i diritti umani di uomini, donne e bambini», ha affermato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, in riferimento allo sgombero di oggi a Roma, nei pressi della stazione Nomentana.
Lo sterminio di rom e sinti – da alcuni battezzato come “Porrajmos”, (il grande divoramento, in lingua romanès), da altri come “Samudaripen” (tutti morti) – non ha avuto un riconoscimento ufficiale durante i processi di Norimberga del 1945, nonostante fosse richiamato più volte negli atti presentati ai tribunali militari internazionali.
Lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington D.C. riporta che solo nel 1979 il Parlamento Federale della Germania dell’Ovest ha riconosciuto la persecuzione per motivi razziali perpetrata dal regime nazista nei confronti del popolo rom.
Il 15 aprile 2015 il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione per istituire la Giornata internazionale per la commemorazione dell’Olocausto dei rom (International Roma Holocaust Memorial Day), da celebrarsi il 2 agosto di ogni anno, in ricordo dei 2.897 rom uccisi nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau nella notte tra il 2 e il 3 agosto 1944 (Guarda la video testimonianza del sopravvissuto Piero Terracina).
Anche l’Italia, durante il fascismo, ha conosciuto il fenomeno delle persecuzioni e del rastrellamento delle comunità rom e sinte. Tuttavia, nel nostro Paese non è ancora avvenuto un riconoscimento ufficiale per commemorare questo capitolo di storia nazionale. A tal proposito, lo scorso anno, i senatori Luigi Manconi, Manuela Serra, Francesco Palermo e altri membri della Commissione Diritti Umani del Senato, hanno presentato un disegno di legge che prevede di includere il riferimento allo sterminio di rom e sinti nella legge istitutiva del Giorno della Memoria (la legge n.11 del 20 luglio 2000), che si celebra il 27 gennaio di ogni anno.
«Dimenticando la parola “rom” nelle commemorazioni delle vittime si toglie a questa minoranza una parte importante della sua storia – ha detto oggi il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Manconi – In Italia circa 25 mila rom e sinti sono stati internati ai tempi del fascismo e in un momento come quello odierno, in cui i rom sono il bersaglio di una forte ondata di odio, è più che mai opportuno ricordare le persecuzioni di cui sono stati vittime, per restituire loro dignità e riconoscerli come titolari di diritti».
Le persecuzioni di rom e sinti in Italia, ai tempi del fascismo, sono avvenute attraverso quattro tappe temporali, a cominciare dai primi interventi diretti del regime nei confronti degli “zingari” stranieri presenti sul territorio nazionale.
Il 19 febbraio 1926 una circolare del Ministero degli Interni disponeva infatti il respingimento delle carovane in entrata nel territorio nazionale «anche se muniti di regolare passaporto», e di espulsione di quelle già soggiornanti in Italia e di origine straniera. La disposizione verso queste persone veniva ribadita nell’estate successiva e ne veniva sottolineata «la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell’igiene pubblica».
Gli anni tra il 1938 e il 1942 sono stati invece segnati dall’esecuzione di una regolare pulizia etnica alle frontiere. A partire dal gennaio del ’38 venivano raccolte le liste dei nomi delle famiglie rom presenti in Istria e dal mese successivo avvenivano le prime deportazioni verso il confino, dal porto di Civitavecchia verso la Sardegna. Dal 1940 la stessa sorte toccava agli “zingari” intercettati in Trentino Alto Adige.
Dall’11 settembre 1940 il capo della Polizia ordinava un sistematico rastrellamento di tutti i rom «di nazionalità italiana certa o presunta» ancora presenti sul territorio nazionale. In numerose località italiane venivano predisposti diversi luoghi di concentramento: alcuni riservati solo agli “zingari” (Agnone, Boiano, Tossicia, Gonars, Prignano sulla Secchia, Berra); in altri venivano deportati rom e non solo (Vinchiaturo, Isole Tremiti, Casacalenda). Ai rimanenti toccava la reclusione all’interno delle carceri o la fuga sul Monte Maiella.
Nell’ultimo periodo, tra il 1943 e il 1944, veniva attuata la “soluzione finale” attraverso le deportazioni nei campi di sterminio nazisti.
Tra le vittime delle persecuzioni, numerose erano le donne. Le loro storie, e quelle delle loro famiglie, sono state ricordate, nel corso del convegno al Senato, dalle ricercatrici Licia Porcedda (École des hautes études en sciences sociales di Parigi) e Rosa Corbelletto (Università degli Studi di Torino).
In particolare, è stata ricordata la vita di Rosa Raidich durante il periodo dei rastrellamenti, madre di due bambini, che venne inviata al confino in Sardegna nel 1938 all’età di 27 anni. Nel 1943 sarebbe dovuto scadere il periodo di confino, ma – anziché rientrare a casa – a Rosa venne prolungato per altri cinque anni, in quanto «zingara pregiudicata pericolosa per l’ordine e la sicurezza pubblica».
Costretta in una terra che non conosceva e dove non era la benvenuta, si ritrovò povera tra gente povera, isolata e con quattro figli da vestire e sfamare (durante la segregazione diede alla luce altri due bambini). Per sopravvivere e dar da mangiare alla sua famiglia, la donna fu costretta a prostituirsi e a chiedere l’elemosina.
Per commemorare le vittime di ieri e tenere alta l’attenzione sulle discriminazioni che ancora oggi colpiscono rom e sinti in Italia, nel corso del convegno è intervenuta anche Ivana Nikolic, giovane attivista rom, da Torino, che ha parlato del Manifesto Primavera Romanì, un documento per un’Italia unita, libera e che abbracci la diversità culturale di cui è composta, redatto da 25 giovani rom, sinti e non rom, italiani e stranieri, tra cui la stessa Ivana. Ivana Nikolic è peraltro stata tra le organizzatrici del flash mob “Attenti a non ripetere”, che si è tenuto a Torino il 24 gennaio scorso, per ricordare tutte le vittime del nazifascismo.
«Il genocidio dei rom – ha detto il presidente della Cild Patrizio Gonnella, in conclusione del convegno – deve essere ricordato sempre e da tutti, altrimenti non saremo mai capaci di costruire una società senza razzismo e violenza».