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Riformare politiche e programmi per combattere l’antigitanismo

Sono 12 le raccomandazioni contenute all’interno del documento politico stilato da ENAR, Ergo Work e Central Council of German Sinit e Rom e altre realtà. Il testo promuove un approccio globale per combattere l’antigitanismo focalizzando l’attenzione su una serie di raccomandazioni. Associazione 21 luglio ha pubblicato a questo link le prime quattro, e a questo secondo link le seconde quattro per giungere poi all’attuale ultima pubblicazione che completa il quadro.

Raccomandazione 9: porre fine a tutte le forme di antigitanismo

Le istituzioni dell’UE e i governi nazionali dovrebbero affrontare e porre fine a qualsiasi forma di antigitanismo strutturale, comprese tutte le forme di segregazione, sfratti forzati, razzismo ambientale e altre manifestazioni di antigitanismo in istruzione, occupazione, salute e alloggio. Le istituzioni dell’UE dovrebbero, invece, riformare politiche e programmi tradizionali pertinenti, come la garanzia europea per i giovani e l’iniziativa a favore dell’occupazione giovanile, prestando particolare attenzione all’accesso dei rom. Inoltre dovrebbero chiedere ai governi nazionali di mettere in atto strategie concrete per combattere l’antigitanismo in tutti i settori, inclusi l’educazione, la salute, l’edilizia abitativa e il mercato del lavoro, sia da parte dei datori di lavoro che delle agenzie di collocamento.

I governi nazionali dovrebbero affrontare in modo proattivo e porre fine alla segregazione fisica delle comunità rom, educare gli uffici di collocamento nonché i potenziali datori di lavoro sull’antigitanismo storico e presente, in particolare al fine di contrastare il fenomeno durante il processo di assunzione al fine di aumentare la loro consapevolezza e le loro competenze per il trattamento non discriminatorio dei clienti Rom e (potenziali) dipendenti.

Raccomandazione 10: consentire la libera circolazione

La Commissione europea e i governi nazionali dovrebbero garantire il diritto alla libera circolazione di tutti i cittadini europei e dovrebbero sostenere qualsiasi forma di antigitanismo che limiti i diritti dei cittadini a vite dignitose. I governi nazionali dovrebbero assicurare che le loro legislazioni nazionali siano in linea con la direttiva UE sulla libera circolazione e che le loro istituzioni rispettino i diritti di mobilità dei rom e adottare le misure necessarie affinché i Rom siano consapevoli dei loro diritti di mobilità.

Raccomandazione 11: Antigitanismo, un terreno per la ricerca di asilo, rifugiati e sfollamenti interni

La Commissione europea e i governi nazionali dovrebbero riconoscere che la catastrofica situazione dei rom sfollati interni e rom rimpatriati nei paesi dei Balcani occidentali contribuisce a peggiorare la situazione, aumentando così la pressione migratoria in un circolo vizioso. I governi dell’UE e i governi nazionali dovrebbero rispettare i diritti dei rifugiati, quali la libertà di religione e di movimento, il diritto al lavoro, l’istruzione e l’accessibilità ai documenti di viaggio; una disposizione chiave della Convenzione dell’UNHCR del 1951 relativa allo status dei rifugiati stabilisce che i rifugiati non dovrebbero essere rimpatriati o respinti in un paese in cui temono persecuzioni.

Raccomandazione 12: rafforzare la leadership, la partecipazione, l’empowerment e l’auto-organizzazione dei rom

Le istituzioni dell’UE e i governi nazionali dovrebbero trattare i rom, i sinti e altri gruppi che vivono antigitanismo come partner alla pari, sostenere l’auto-organizzazione compresa la promozione della leadership e il reclutamento di rom per posizioni di alto livello nelle pubbliche amministrazioni. Le istituzioni dell’UE e i governi nazionali dovrebbero assicurare che Rom, Sinti, Viaggiatori e altri stigmatizzati come “zingari” e le loro organizzazioni guidino la progettazione, l’attuazione, il monitoraggio, la valutazione e il perfezionamento delle politiche e delle misure che li riguardano a livello locale, regionale, nazionale e dell’UE, anche nominando le posizioni ad alto livello nelle amministrazioni pubbliche.

Non solo, assicurare che guidino anche la produzione di conoscenza sui rom, che siano rappresentati tutti i gruppi sociali, in particolare quelli soggetti a discriminazione, abilitare e sostenere l’auto-organizzazione libera, indipendente e diversificata di rom, sinti, viaggiatori e altri, comprese le organizzazioni che mettono in mostra l’arte e la cultura rom. Infine, promuovere programmi educativi e culturali sostenibili per informare il pubblico sulle comunità rom, la portata e la gravità dell’antigitanismo che affrontano nella vita di tutti i giorni, ma anche sulla loro diversità, la loro storia.

Lo “zingaro” che ruba i bambini, dal racconto di Cervantes all’ “angelo biondo”

“Fai il buono, altrimenti viene lo zingaro e ti porta via”. Una frase nota nel linguaggio comune e di frequente utilizzo che incarna uno stereotipo antico e fiabesco. Basta fare un passo indietro, tornare agli inizi del XVII secolo e ricordare la storia raccontata da Miguel Cervantes. Nel suo libro “La piccola zingara”, lo scrittore spagnolo descrive la storia di una eroina che rubava i bambini.

Nel corso della storia altre circostanze hanno tramandato e accresciuto la credenza secondo cui “i rom rubano i bambini”. Per raggiungere più velocemente i giorni nostri, basta guardare all’anno 2013 e alla storia dell’ “angelo biondo”: una bimba che si disse essere stata rapita e portata in un campo Rom in Grecia, e che si rivelò essere una bambina romni di origini bulgare, della stessa famiglia di uno degli abitanti dell’insediamento in questione.

E ancora all’ottobre del 2014 quando in Irlanda, una bambina rom di sette anni e un bambino rom di due furono sottratti ai genitori perché avevano i capelli biondi e gli occhi azzurri: le autorità locali pensarono che i bambini fossero stati rubati. Furono gli esami del DNA a confermare che entrambi erano figli delle famiglie a cui erano stati sottratti. Isteria collettiva, commenti razzisti e una serie di false denunce di bambini rubati dai rom furono la conseguenza più eclatante.
Come riporta un articolo del settimanale Internazionale del maggio 2015, la ricercatrice Sabrina Tosi Cambini nel libro “La zingara rapitrice” ha analizzato gli archivi dell’Ansa dal 1986 al 2007 e ha preso in considerazione le decine di notizie in cui si denunciavano presunti rapimenti e scomparse di bambini a opera dei rom. Lo studio ha analizzato trenta casi di presunti rapimenti e ha verificato che nessuno di questi casi si è dimostrato vero dopo le indagini della polizia e della magistratura.

Durante lo scorso mese di marzo (2019) in soli 3 giorni si sono registrati 22 attacchi violenti nei confronti di rom nella banlieu parigina. La violenza, incendio di baracche e edifici occupati, è stata provocata da una notizia che ha iniziato a circolare sui social network secondo cui alcuni rom, alla guida di un furgoncino bianco in circolazione tra Nanterre e Colombes, rubavano bambini. Gli attacchi contro i Rom sono stati provati da una diceria razzista “riportata da oltre 16 milioni di messaggi contenenti incitazioni all’odio e all’omicidio nei social network”, come sottolinea l’associazione La voix des Rroms e come riporta Tommaso Vitale professore a Sciences Po, CEE, USPC su “The Conversation”.

“Se alcuni stereotipi si esauriscono con l’andare degli anni, altri che pur pensavamo essere ormai superati, riappaiono e si diffondono nuovamente a seconda dei contesti e delle relazioni specifiche fra i Rom e le società locali in cui sono presenti. Una volta mobilitati, questi stereotipi esercitano una influenza profonda sugli immaginari e sulle rappresentazioni, sebbene l’intensità dei pregiudizi dipenda comunque dal livello di istruzione delle persone – scrive Tommaso Vitale su “The Conversation” – In Francia, il livello generale di ostilità contro i Rom, i Manouches e quanti sono generalmente chiamati “Tziganes” è certamente diminuito nel corso degli ultimi cinque anni, sebbene più della metà della società francese continui a pensare che i Rom non vogliano integrarsi in Francia. E quasi il 67% della popolazione ritiene sia un gruppo separato dal resto della società”.

Non dire rom.

NON DIRE ROM. Ricerca/azione sulla realtà "aumentata" del web. Modificare il linguaggio per smontare gli stereotipi

“Non dire rom” è una ricerca/azione portata avanti grazie alla collaborazione della testata on-line Roma Today. Diversamente dalla ricerca tradizionale, la ricerca/azione indaga il fenomeno non in maniera “statica” ma influendo direttamente sul contesto. Nello specifico questa ricerca si basa su un interrogativo: se modifichiamo il linguaggio che descrive la realtà, possiamo stimolare un cambiamento nella rappresentazione che, in senso più ampio, si ha di essa?
SCARICA LA RICERCA COMPLETA
SCARICA L’ABSTRACT
 

pregiudizi.

Informazione e pregiudizi: commento all'articolo di Veneziani su "Il Tempo"

Il 24 giugno 2017 è apparso su “Il Tempo” un pezzo di Marcello Veneziani intitolato “La leggenda dei Rom, la realtà degli zingari”. Nell’articolo il giornalista deplora come oggi l’informazione di massa, la politica e l’opinione pubblica si preoccupino di più delle discriminazioni e gli attacchi razzisti subiti dalla comunità Rom in Italia che degli atti criminali di cui molti di loro si rendono spesso colpevoli. Secondo il giornalista, questo sarebbe il risultato di una diffusa cultura del politically correct, che frenerebbe politica e informazione dal raccontare la realtà per quello che è, all’insegna dell’ideologia “buonista”. In realtà quanto asserisce Marcello Veneziani nel suo pezzo del 24 giugno è a sua volta intriso di stereotipi e pregiudizi sulla realtà della comunità rom residente in Italia.
Ecco perché abbiamo elaborato una risposta al suo pezzo, soffermandoci su tre punti in particolare.
1. La “natura nomade” dei rom
È uno dei pregiudizi più diffusi su questa comunità, tanto che il giornalista Veneziani ne attinge a piene mani nel suo articolo, parlando di “natura nomade” e addirittura di “statuto di nomadi”. In realtà, a fronte di una popolazione rom e sinti residente in Italia pari a circa 170-180 mila persone, solo il 3% ha uno stile di vita nomade. Anche per tale etnia, trasferirsi in diverse parte d’Italia è legata a bisogni economici, e non dal movente “culturale”. Parlare di “cultura nomade” è dunque sbagliato e pregiudizievole. È altrettanto vero, tra l’altro, che la maggior parte dei Rom – 4 su 5 per l’esattezza – non vive nemmeno nei campi, ma in appartamenti convenzionali, perfettamente integrati nel tessuto sociale e lavorativo del Paese.
2. La cittadinanza dei Rom
“Non dovrebbe la legge italiana, l’autorità, le forze dell’ordine intervenire di conseguenza, prevedendo in questi casi anche espulsioni?”. Così scrive Veneziani. A questo proposito, è bene notare che, tra i rom e sinti residenti in Italia, almeno la metà è in possesso di cittadinanza italiana. Tra quelli che vivono in baraccopoli, la percentuale scende al 37%, rimanendo comunque significativa.
Parlare di espulsioni è scorretto anche in riferimento a rom e sinti di cittadinanza romena o bulgara, in quanto appartenenti alla Comunità Europea e allo spazio Schengen. Si noti inoltre che circa 3,000 persone di etnia rom e sinti, nate e residenti in Italia e principalmente originarie dell’ex Jugoslavia, sono apolidi di fatto o a rischio apolidia e non possiedono alcun documento di identità. Parlare di espulsioni non è dunque plausibile per un buon numero di Rom residenti in Italia.
3. Il diritto alle case popolari
L’articolo deplora infine che i rom possano avere accesso a “case popolari che non siamo in grado di dare gli italiani indigenti”. Su questo punto, vogliamo sottolineare che le case popolari vengono assegnate dai Comuni italiani alle famiglie presenti sulle liste di attesa secondo precisi criteri di vulnerabilità, tra cui non rientra certo l’appartenenza etnica. Pertanto, la retorica secondo cui i rom priverebbero “gli italiani indigenti” del diritto a una casa popolare è da ritenersi quantomeno imprecisa.
Altrettanto si può riferire all’ipotesi che si costruiscano “per i rom quelle cittadine residenziali che non riusciamo a costruire per i terremotati”. Riteniamo che in questo contesto si stiano fondendo due tipi di emergenze (quella abitativa e quella dei terremotati) molto distanti tra loro e non equiparabili. Compararle in questo modo può quindi risultare ingannevole.
Richiamiamo quindi all’adozione di un’informazione libera dai pregiudizi e di un linguaggio più corretti.

Per un'informazione senza pregiudizi: Associazione 21 luglio risponde a "Il Giornale"

Pubblichiamo di seguito la lettera inviata alla redazione de “Il Giornale” in risposta all’articolo “Priorità: espellere certi Rom dall’Italia alla faccia del politicamente corretto”, uscito l’8 giugno scorso sul blog “Avanti senza paura” di Andrea Pasini.
Perché per un’informazione corretta, è indispensabile combattere luoghi comuni e pregiudizi.
 
Gentile Andrea Pasini,
Associazione 21 luglio Onlus è un’organizzazione nazionale, composta da rom e non rom, che si occupa della promozione e della tutela dei diritti dei rom e dei sinti in Italia.
Le scriviamo in merito ad un post uscito sul suo blog per “Il Giornale” in data 8/6/2016 dal titolo “Priorità: espellere certi Rom dall’Italia alla faccia del politicamente corretto” (questo il link) che, al di là delle sue opinioni, presenta inesattezze e si basa su dati errati che ci teniamo a segnalarle.
Quando nel post afferma che il nostro Paese è uno Stato in cui «i rom rappresentano numericamente un’emergenza sociale non minore che in Francia», se di emergenza sociale vuole parlare, i conti non tornano. Secondo le rilevazioni del Pew Research Center con riferimento al 2014, i rom residenti in Francia sono stimati nel numero di 500.000 unità, mentre in Italia – come lei ha scritto – la stima non supera le 180.000 unità. Tra questi, almeno la metà hanno cittadinanza italiana e solo 35.000-40.000 vivono nei cosiddetti “campi rom”. Tale numero rappresenta lo 0,06% della popolazione italiana, una realtà numericamente insignificante che si fa fatica a considerare come “Emergenza”.
Farlo è fuorviante e strumentale. Prima di lei ci aveva provato il 21 maggio 2008 l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi quando aveva dichiarato la cosiddetta “Emergenza Nomadi” nelle Regioni di Lazio, Campania, e Lombardia e poi, successivamente per le Regioni di Piemonte e Veneto. L’”Emergenza Nomadi” è stata dichiarata illegittima dal Consiglio di Stato una prima volta il 16 novembre 2011 con sentenza n. 6050, poi in data 2 maggio 2013 rigettando il ricorso presentato dal Governo italiano il 15 febbraio 2012 e chiudendo così ogni possibilità di ulteriori appelli.
Nel suo post si sofferma a lungo su una presunta impossibilità delle comunità rom verso una inclusione supportando la tesi con quello che lei chiama il «rifiuto del concetto stesso di vita stanziale» da parte dei rom. Affermando ciò lei non fa altro che rafforzare uno stereotipo evidentemente ancora persistente nell’immaginario collettivo ma molto lontano dalla realtà. Secondo i dati raccolti dal “Monitoraggio della società civile sull’attuazione della Strategia Nazionale d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti in Italia nel 2012 e 2013”, il nomadismo di queste popolazioni è stimato intorno al 3%, una cifra quindi irrisoria sul totale, ed è legato solo a sporadiche attività lavorative stagionali.
Veniamo ad uno degli ultimi concetti che esprime nel suo testo: «l’abitudine ammessa da loro stessi a vivere alle nostre spalle e confortata da ripetuti episodi di cronaca di vivere a spese nostre […] perché vengono assisti dal nostro Stato con erogazioni a pioggia».
Su tale affermazione riteniamo sia necessario fare un po’ di ordine e le ultime vicende accadute a Roma possono senz’altro aiutarci. Ci riferiamo all’inchiesta della magistratura denominata “Mafia Capitale” (famose ormai le intercettazioni di Salvatore Buzzi che svelano come “migranti e campi rom rendono più della droga”) e l’inchiesta più recente legata allo scambio di tangenti proprio nell’Ufficio Rom del Comune di Roma che ha coinvolto colletti bianchi, politici e cooperative. Un business milionario già denunciato dalla nostra organizzazione nel 2014 con la pubblicazione del report “Campi Nomadi S.P.A.”.
Le diverse inchieste hanno dimostrato l’infondatezza delle sue affermazioni perché le «erogazioni a pioggia» non sono servite per azioni di assistenza o di inclusione ma per andare ad ingrossare le tasche dei tanti attori istituzionali che ruotavano – e tutt’ora ruotano – attorno alla gestione dei “campi” senza investire in quello che, teoricamente, doveva essere lo scopo di quei fondi ossia l’emancipazione dalle condizioni di disagio e povertà in cui, come lei stesso scrive, molti rom vivono.
L’Italia si è tristemente guadagnata l’appellativo de “il paese dei campi”, l’unico in Europa a finanziare con soldi pubblici soluzioni abitative segreganti e non adeguate agli standard internazionali in materia di diritto all’alloggio. E questo non certo per scelta dei rom che vivono nel nostro Paese.
Cordialmente
 
Foto di: Le Monde

Insulto De Rossi, «Auspichiamo intervento giustizia sportiva»

In seguito all’insulto rivolto dal calciatore della Roma Daniele De Rossi nei confronti dell’attaccante croato della Juventus Mario Mandzukic («Muto, zingaro di m…»), in occasione della partita di calcio tra le due squadre giocata domenica sera a Torino, Associazione 21 luglio e Popica Onlus, organizzazioni impegnate nella promozione dei diritti umani di rom e sinti in Italia, auspicano un pronto intervento da parte della giustizia sportiva, così come avvenuto solo pochi giorni fa in occasione della lite tra gli allenatori di Napoli e Inter, Maurizio Sarri e Roberto Mancini.
L’ingiuria rivolta da De Rossi a Mandzukic, ripresa dalle telecamere e diffusa dai media e sul web, si connota per l’utilizzo di un linguaggio improprio e altamente offensivo che ha come conseguenza ultima quella di arrecare un danno alle persone appartenenti alla comunità rom e sinta e di contribuire a diffondere pregiudizi e stereotipi negativi nei loro confronti.
La parola “zingaro”, infatti, è un eteronimo imposto dalla società maggioritaria nei confronti di un gruppo che non si definisce così. Il termine è percepito come offensivo dai rom e dai sinti che vivono nel nostro Paese e, nel tempo, ha acquistato una accezione fortemente negativa, paragonabile a un insulto razziale come “negro”, per citare un esempio.
L’ingiuria di domenica sera allo Juventus Stadium giunge soltanto a pochi giorni dai pesanti insulti (“frocio”, “finocchio”) rivolti dall’allenatore del Napoli Sarri al tecnico interista Mancini. 
Parole, che hanno creato una forte ondata di indignazione, che sono costate al tecnico partenopeo due giornate di squalifica in Coppa Italia, sebbene il giudice sportivo non abbia considerato l’aggravante discriminatoria.
Di fronte ai fatti di Torino, pertanto, Associazione 21 luglio e Popica Onlus si attendono dalla giustizia sportiva una risposta almeno dello stesso livello, in modo da scoraggiare, in futuro, comportamenti simili da parte dei protagonisti del mondo del calcio e porre un deciso argine alla diffusione di sentimenti ostili e incitanti all’odio, che non possono e non devono trovare spazio nelle cronache domenicali dello sport più amato e seguito nel nostro Paese.
Foto: Roma Today

Quel pregiudizio che mi rende triste

Sulta è la matriarca della sua famiglia, ha 8 figli e 37 nipoti sparsi per il mondo. Si rattrista per l’atteggiamento discriminatorio che percepisce nei suoi confronti camminando per la strada: «Quando entro in un negozio vedo la gente mettere subito la mano al portafoglio: vorrei dire loro che non sono lì per rubare!». 
Sulta porta i segni degli anni sul volto, molti dei quali vissuti in Italia. Quando è arrivata, nel’75, all’epoca esisteva ancora la Jugoslavia, suo Paese di origine. Aveva già partorito tre figli e appena giunta qui è nata la quarta. Non sapeva ancora parlare la lingua e si è fatta tatuare sul polso l’anno di nascita della sua bambina.
Racconta che ad oggi solo quattro dei suoi otto figli sono rimasti in Italia, gli altri sono emigrati in Paesi diversi. Ha quasi perso il conto di tutti i suoi nipoti, che si moltiplicano considerando i figli di fratelli e sorelle, ma è un sollievo pensare che stanno tutti bene.
Della guerra in Jugoslavia sa poco o niente, l’ha vissuta da lontano e preferisce pensare alle persone che vivono in pace.
Guardando indietro verso il passato ricorda: «Tante volte siamo andati a dormire senza mangiare. Se andavo a chiedere l’elemosina mangiavamo, altrimenti no».
Eppure sente sempre gli sguardi addosso quando cammina per le strade della città, di occhi che la guardano con diffidenza e con la lente del pregiudizio: «Quando entro in un negozio vedo la gente mettere subito mano al portafoglio. Mi piacerebbe dire loro che non sono lì per rubare».

Salvini e i rom: più che ruspe, informazione

La tragedia di due giorni fa nella Capitale – un gravissimo fatto di cronaca trasformato in una campagna d’odio anti-rom – ha dato il la al leader della Lega Nord Matteo Salvini per avventarsi su quanto accaduto e reiterare, a pochi giorni dal voto regionale, la sua personale crociata a base di discorsi d’odio (hate speech) nei confronti dei rom e sinti in Italia.
Una campagna, che ha come effetto quello di soffiare sul fuoco dell’ostilità e dell’intolleranza verso tali comunità, partita già lo scorso dicembre, quando Salvini presentò la lista “Noi con Salvini” in vista della campagna elettorale per le elezioni regionali 2015.
Abbiamo analizzato i discorsi di Salvini, individuandone le tesi principali (vedi sotto). Ne emerge un quadro di frasi, slogan propagandistici e retorica stigmatizzante che amplifica e replica stereotipi e pregiudizi negativi, sfociando nel rischio concreto di una graduale sedimentazione ed escalation dell’antiziganismo, il sentimento d’odio verso rom e sinti.
Gli effetti di una tale diffusione e di un tale grado di accettazione dell’antiziganismo sono vari, ma si possono riassumere in tre principali ripercussioni:

  • Ripercussioni materiali, in termini di trattamenti o atteggiamenti discriminatori, sulla vita quotidiana di rom e sinti, in particolare nella sfera dell’impiego e dell’abitare;
  • Un graduale innalzamento della soglia di accettazione nei confronti di discorsi e retoriche apertamente ed esplicitamente penalizzanti e stigmatizzanti, con il rischio di facilitare occasionali derive violente;
  • Un enorme ostacolo per l’applicazione di politiche effettivamente inclusive rivolte a rom e sinti, dovuto al fatto che un’elevata diffusione di sentimenti antizigani funge da enorme fattore deterrente per l’attuazione di politiche di inclusione sociale da parte delle amministrazioni locali.

 
Per contrastare il fenomeno dell’hate speech, occorrerebbe  anzitutto un cambiamento culturale che coinvolga l’insieme della società: dai politici agli insegnanti, ai professionisti dell’informazione fino all’insieme dell’opinione pubblica. Per facilitare tale processo, sono più che mai necessari strumenti dissuasivi efficaci per arginare tali derive del discorso politico, di cui tuttavia il nostro Paese non dispone in maniera sufficiente rendendosi così terreno fertile per la diffusione dell’hate speech e ritardando il momento in cui l’utilizzo della retorica dell’odio nelle sue diverse declinazioni smetterà di essere proficua e comporterà anzi un caro prezzo da pagare, ad esempio in termini di isolamento politico.
«Gli Stati parte devono dedicare la dovuta attenzione a tutte le manifestazioni di discorsi d’odio di stampo razzista e adottare misure efficaci per combatterli», si legge nella Raccomandazione Generale sui discorsi d’odio diffusa a fine 2013 dal Comitato delle Nazioni Unite per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD).
Di fronte alla valanga di dichiarazioni rilasciate negli ultimi mesi, settimane e giorni dal leader leghista Matteo Salvini, di fronte alla constatazione della scarsità di strumenti, in Italia, per mettere un argine ai discorsi d’odio, di fronte alle ricadute devastanti che tali discorsi hanno sulle vite di rom e sinti e sulla percezione pubblica nei loro confronti, il rischio, per chi vorrebbe un’Italia libera da discriminazioni e pregiudizi, è di lasciarsi travolgere dal senso di rassegnazione e dalla constatazione del vanificarsi dei propri sforzi. Si verrebbe così tentati dall’alzare bandiera bianca, non provare più a scardinare stereotipi e luoghi comuni, restare in silenzio.
Eppure sappiamo bene che non possiamo, e mai potremo farlo, perché quella dei diritti umani è una sfida che si gioca e che si vince a poco a poco, un tassello dopo l’altro. Per questo la nostra Associazione – insieme, ne siamo certi, a tutti gli uomini e le donne in Italia che condividono le nostre preoccupazioni e la nostra sfida – continuerà a denunciare e a raccontare fatti e storie nell’intento di decostruire gli stereotipi negativi e i pregiudizi diffusi nei confronti di rom e sinti. Quell’onda antizigana che Matteo Salvini ha cavalcato pur di guadagnarsi il consenso elettorale. Sulla pelle dei rom.


 

 

MATTEO SALVINI E LA RETORICA ANTI – ROM


Non vogliono lavorare e integrarsi

Salvini: “Ma i rom rubano tutti?” “Troppi. Ce ne saranno 3 che lavorano non so 5… su 180 mila che sono in Italia” (15 aprile 2015, Matrix, Canale 5).
Oggi nel nostro Paese, sono circa 35 mila i rom e i sinti che vivono nei cosiddetti “campi rom”, 1 su 5 del totale dei circa 170-180 mila rom e sinti presenti in Italia. Tutti gli altri vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono una vita come quella di ogni altro cittadino, italiano o straniero, residente sul territorio nazionale. Le loro storie, purtroppo, sono poco conosciute, sia perché molto spesso i media prediligono dare spazio a notizie dove rom e sinti sono protagonisti in negativo, sia perché i rom e sinti che conducono una vita “normale” preferiscono restare “mimetizzati” e non rivelare la propria identità.
I “campi rom” non sono pertanto i luoghi dove queste persone vorrebbero vivere “per cultura”, bensì il posto che le istituzioni hanno individuato per relegarvi, su base etnica, tali comunità. Si tratta di luoghi di marginalizzazione, dove le persone sono di fatto escluse dal tessuto sociale, e che certamente favoriscono anche fenomeni di devianza e criminalità. Questi luoghi, creati e gestiti dalle istituzioni, costano diversi milioni di euro alle casse pubbliche. Nella Capitale, nel solo 2013, per mantenere in vita il “sistema campi” sono stati spesi 24 milioni di euro: un ingente flusso di denaro affidato senza bando pubblico, in maniera diretta, a enti e cooperative per la sola gestione dei “campi”, mentre quasi nulla è stato destinato all’inclusione sociale delle persone e alla prospettiva di una loro fuoriuscita da questi luoghi. Un sistema nel quale è potuta infiltrarsi anche la Mafia Capitale.

Hanno troppi privilegi. Prima gli italiani

Salvini: “Non esiste che ci siano migliaia di queste persone a cui gli italiani pagano luce, acqua, e gas. Non esiste che non paghino l’Imu” (8 aprile 2015, Otto e Mezzo, La7).
“Ci sono tanti toscani magari alluvionati che dicono anch’io vorrei avere una casa per 15 persone con l’affitto pagato e vorrei campare senza fare una mazza dalla mattina alla sera” (1 dicembre 2014, Piazza Pulita, La7).
Vivere in un “campo rom” non è un privilegio; al contrario, è una condanna. Significa subire quotidianamente violazioni dei propri diritti umani, dal diritto all’alloggio al diritto all’istruzione, dal diritto alla salute al diritto al gioco, sino al diritto alla famiglia. I “campi nomadi”, rappresentano da anni un’anomalia tutta italiana (il nostro Paese è l’unico in Europa dove esistono “campi per soli rom” istituzionali) e buona parte di essi rientra nella definizione di “baraccopoli” adottata dalla agenzia delle Nazioni Unite UN Habitat.
Sono spesso delimitati da recinzioni e sistemi di videosorveglianza e di controllo degli ingressi; in molti casi sono collocati al di fuori del tessuto urbano e distanti dai servizi primari, come scuole, ospedali e supermercati; sono spesso caratterizzati da condizioni igienico-sanitarie critiche, sono sovraffollati e si compongono di unità abitative prive di spazi adeguati. Il “campo rom”, inoltre, si configura come luogo discriminatorio su base etnica, in quanto riservato esclusivamente a persone di “etnia rom”. Per altre categorie di persone in emergenza abitativa nel nostro Paese, infatti, il “campo” rom non è contemplato tra le soluzioni per rispondere alle loro esigenze.
Quanto al “prima gli italiani”, infine, non è da dimenticare che oltre la metà dei rom e dei sinti presenti in Italia sono cittadini italiani, cui si aggiunge una consistente fetta di persone nate e cresciute in Italia, ma prive della cittadinanza italiana, che non hanno neanche mai visitato il Paese di origine dei genitori e che non ne conoscono la lingua.

Hanno solo diritti, diritti. E niente doveri

Salvini: “Mi domando perché quando parlo di rom ci sono sempre diritti, diritti, diritti e i doveri arrivano in sedicesima fila” (1 dicembre 2014, Piazza Pulita, La7).
Quando si parla di diritti dei rom si fa riferimento ai loro diritti umani, quei diritti cioè sanciti per primi dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, che appartengono a ogni persona al mondo in quanto, appunto, essere umano. I diritti umani dei rom in Italia sono costantemente violati, in particolare, dalla “politica dei campi” che il nostro Paese continua ad attuare nei loro confronti.
Le condizioni al di sotto degli standard che si registrano nei “campi rom” hanno del resto attirato l’attenzione e le condanne da parte di numerosi enti di monitoraggio internazionali ed europei e organizzazioni per la tutela dei diritti umani, dal Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite al Consiglio d’Europa, dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali alla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza. Solo pochi mesi fa, per esempio, la Commissione Europea ha richiesto all’Italia informazioni sulle condizioni abitative dei rom nel nostro Paese, paventando l’ipotesi dell’apertura di una procedura d’infrazione: «Dispositivi di alloggio di questo tipo risultano limitare gravemente i diritti fondamentali degli interessati, isolandoli completamente dal mondo circostante e privandoli di adeguate possibilità di occupazione e istruzione», si legge nella lettera della Commissione.

Sfruttano i bambini e non li mandano a scuola

Salvini: “Il diritto umano viene violato da queste persone che sfruttano i bambini e non li mandano a scuola e li usano per accattonare e per fare altro” (22 aprile 2015, Il Fatto Quotidiano).
Sono la segregazione abitativa, l’esclusione sociale e la discriminazione, anche istituzionale, ad avere conseguenze devastanti sulla condizione di vita dei minori rom. Un minore rom che nel nostro Paese vive in un insediamento formale o informale, esposto a situazioni potenzialmente nocive per la salute, avrà una aspettativa di vita mediamente più bassa di circa 10 anni rispetto al resto della popolazione e avrà un alto rischio di contrarre le cosiddette “patologie da ghetto”, come ansie, fobie e disturbi del sonno e dell’attenzione.
La precarietà e l’inadeguatezza dell’alloggio, inoltre, hanno evidenti conseguenze sul percorso scolastico: in 1 caso su 5 un minore rom in emergenza abitativa non inizierà mai il percorso scolastico e avrà probabilità prossime alle 0 di accedere ad un percorso universitario. Le sue possibilità di poter frequentare le scuole superiori non supereranno l’1%, mentre da maggiorenne avrà 7 possibilità su 10 di sentirsi discriminato a causa della propria etnia.
Salvini: “Perché i tribunali dei minorenni vanno a rompere le palle alle mamme e ai papà italiani se hanno qualche problema e non vanno a casa di questa gente” (10 aprile 2015, Mattino 5, Canale 5).
Secondo la ricerca “Mia madre era rom” dell’Associazione 21 luglio, che ha preso in considerazione i fascicoli relativi a minori rom affrontati dal Tribunale per i Minorenni di Roma tra il 2006 e il 2012, un minore rom, a Roma e nel Lazio, rispetto ad un suo coetaneo non rom, ha 60 volte la probabilità di essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni e 50 volte la probabilità che per lui venga aperta una procedura di adottabilità. Di conseguenza, è il dato più emblematico, un bambino rom ha 40 volte la probabilità di essere adottato rispetto a un bambino non rom.

Ruspe nei campi rom. Sgomberarli tutti

Salvini: “Nella nostra Italia non c’è spazio per i campi rom. Nella nostra Italia noi mandiamo una letterina a questi signori dicendo fra tre mesi si sgombera. Organizzati. Fra tre mesi qua arrivano le ruspe. Organizzati. La casa la compri, la affitti, chiedi la casa popolare, fai il mutuo ma non puoi più campare alle spalle degli italiani. Fra tre mesi si sgombera, basta vai a fare il rom da qualche altra parte” (28 febbraio 2015, comizio a Piazza del Popolo, Roma)
È vero: nella nostra Italia non ci dovrebbe esser spazio per i “campi rom”. Per via delle ripetute violazioni dei diritti umani che essi comportano, come già descritto nei precedenti punti. I “campi”, dunque, andrebbero superati, come l’Italia si è del resto già impegnata a fare con il varo, nel febbraio 2012, della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti. La soluzione per il superamento dei “campi”, tuttavia, non è la ruspa, come propone Matteo Salvini, anche perché terminata l’azione distruttiva delle ruspe uomini, donne e bambini non svanirebbero di certo nel nulla. La soluzione per superare i “campi” e l’assistenzialismo inutile e inefficace risiede invece nel l’attuazione di efficaci percorsi di inclusione sociale volti a favorire la fuoriuscita da tali ghetti etnici di persone in emergenza abitativa. In questo modo, d’altra parte, si eviterebbe di continuare a utilizzare ingenti risorse pubbliche per mantenere in piedi il “sistema campi”, senza che un euro venga destinato all’inclusione sociale dei loro abitanti, ma investito nel reiterare un circolo vizioso di discriminazione, povertà e marginalizzazione.
 
Foto: Umbria24.it

Rom protagonisti negativi, anche in assenza di notizie

rom[tfg_social_share]Protagonisti negativi. Anche in assenza di notizia. Un articolo pubblicato sul quotidiano Il Tempo offre, ancora una volta, un’immagine stereotipata delle comunità rom, contribuendo ad alimentare nell’opinione pubblica un clima di ingiustificato allarmismo sociale.
Lo sottolineano Associazione 21 luglio e Associazione Carta di Roma a proposito del pezzo intitolato «Così i rom assediano la Capitale. Ecco le 100 favelas di Roma» pubblicato l’11 agosto.
«Ad agosto, si sa, le notizie scarseggiano, capita spesso allora di leggere sui giornali articoli su quegli argomenti che, pure in assenza di novità, attirano l’attenzione del lettore. Sarà questa la ragione alla base del titolo che leggiamo oggi sul quotidiano Il Tempo, “Così i rom assediano la Capitale. Ecco le 100 favelas di Roma”? Oppure è la volontà di portare avanti una campagna mediatica martellante che ha per protagonista – in negativo – la comunità rom, anche in mancanza di elementi nuovi sui quali scrivere?», afferma l’Associazione Carta di Roma, nata nel dicembre 2011 per dare attuazione alla Carta di Roma, il protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, siglato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CNOG) e dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) nel 2008.
L’autore del pezzo denuncia che «i nomadi hanno circondato la città» e racconta il suo viaggio tra «i 100 insediamenti abusivi di Roma». Il giornalista apre con il racconto dell’aggressione subita da alcuni presunti rom per aver scattato delle foto e prosegue con il racconto di questo “viaggio” durante il quale guarda in lontananza gli insediamenti. Nessun fatto, nessuna notizia. Nessun accertamento circa gli abitanti di quelle baracche o abitazioni di fortuna.
«I rom vengono ripetutamente connotati come “un’emergenza”, a cui si associa lessico da battaglia per alimentare un clima di allarme sociale – afferma l’Associazione 21 luglio – L’emergenza non viene supportata dai fatti visto che a Roma non c’è stato alcun sensibile incremento di insediamenti informali tale da giustificare allarmismi, ma ci si assesta sui soliti numeri che caratterizzano la capitale ormai da almeno un decennio. Per quanto riguarda le presenze negli insediamenti informali contiamo circa 2.200 persone. Sui 2.866.000 residenti della città questa cifra è pari allo 0,07 % della popolazione di Roma, numeri che da soli sembrano ridimensionare le proporzioni dell’”assedio”».
L’articolo, del resto, si pone in violazione dei principi della Carta di Roma e non fa altro che alimentare i soliti stereotipi, generalizzando e descrivendo esclusivamente condotte antisociali, senza mai approfondire l’argomento: se la notizia è che a Roma ci sono le baraccopoli perché non chiedere a chi le abita come si sta e perché è disposto a vivere in condizioni così precarie? Manca totalmente la voce dei rom, viene negata loro la possibilità di replicare all’accusa di presunto “assedio” della capitale. Se anche l’intento fosse stato di dare, come notizia, il numero di insediamenti informali, questo non è stato fatto, poiché sono più dei 100 dell’articolo, tra i 150 e i 200, da anni».
«Tutto questo – conclude Associazione 21 luglio – alimenta il sospetto che l’unico intento dell’articolo non fosse raccontare fatti, ma descriverli parzialmente con toni allarmistici che non corrispondono alla realtà».

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Sabrina: "Noi rom non siamo come ci dipingono i media"

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Sabrina, 23 anni, vive nel “campo rom” di San Nicolò d’Arcidano, in Sardegna


[tfg_social_share]Sabrina Milanovic ha 23 anni, è italiana e vive in un “campo rom” a San Nicolò d’Arcidano, in provincia di Oristano, in Sardegna. È stanca dei pregiudizi e degli stereotipi negativi diffusi nei confronti della sua comunità e vorrebbe impegnarsi per promuovere e valorizzare i diritti dei rom nella sua cittadina e nel resto d’Italia.
«Noi rom veniamo continuamente discriminati e questo succede non perché la gente sia cattiva o in malafede. Ma semplicemente perché non ci conosce e di noi sa solo le cose brutte che scrivono i giornali. Ma noi non siamo come ci dipingono i media e non è giusto che per colpa di alcuni a subirne le conseguenze debbano essere tutti i rom»
Dallo scorso ottobre Sabrina frequenta il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato dall’Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).
«Io voglio fare qualcosa in prima persona per combattere contro i pregiudizi nei confronti del mio popolo, per affermare i nostri diritti e per promuovere un’immagine differente di noi».
A San Nicolò d’Arcidano, la comunità rom è costituita da circa un centinaio di persone, il 3,5% della popolazione totale, composta da 2.800 abitanti. Dal 2011 i rom vivono in un nuovo “campo” dopo che un incendio aveva distrutto l’insediamento provvisorio in cui viveva la comunità.
Sabrina non vorrebbe vivere in un “campo” ma in una casa come ogni altro cittadino italiano.
«Vivere in un campo vuol dire vivere la vita in maniera amplificata. Le casette sono tutte attaccate e non hai un minimo di privacy».
Nel “campo” di San Nicolò d’Arcidano, “campo” realizzato dal Comune, gli abitanti rom vivono in baracche di 40 mq ciascuna all’interno delle quali, in alcuni casi, arrivano a dividere lo spazio anche 11 persone.
Secondo il Comitato per la Prevenzione della Tortura, istituito dal Consiglio d’Europa, lo spazio minimo nelle celle per ogni detenuto dovrebbe essere di 7 mq, cioè il doppio dello spazio a disposizione di alcuni residenti rom nel “campo” in provincia di Oristano.
Per Sabrina la strada per rafforzare i diritti delle comunità rom passa attraverso il lavoro.
«Bisogna che anche i rom abbiano opportunità lavorative. Questo servirà a combattere i pregiudizi, a favorire l’integrazione e il vivere insieme. In questo modo potremo non essere più giudicati per quello che non siamo».
L’appello
Nell’ambito della Campagna “Stop all’apartheid dei Rom!“, l’Associazione 21 luglio ha lanciato un appello nazionale con raccolta firme, rivolto ad otto Presidenti di Regione, per chiedere l’abrogazione delle Leggi regionali che istituiscono i “campi nomadi” in Italia, ghetti che alimentano la segregazione delle comunità rom e sinte e rendono impossibile l’inclusione sociale. Tra le regioni considerate figura anche la Sardegna. Per firmare l’appello “Inclusione per le comunità rom e sinte in Italia” clicca qui

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